martedì 1 marzo 2011

Un pensiero, una preghiera e ... qualcosa di più per Yara.

Sono molto scosso e turbato per il ritrovamento del cadavere di Yara Gambirasio. E ancor più, come pare dai primi particolari delle indagini, per quello che ha dovuto patire, per poi morire miseramente. Il cuore me lo diceva, ma non volevo ascoltarlo. Poi la realtà si è imposta in tutta la sua crudezza e obbliga al confronto e a interrogarsi su quanto di nostro, di questo nostro tempo, di questo nostro mondo ci sia in quel campo. "Abbandonata come un nucchio di stracci", dice la sua Mamma. Lei, che per i suoi figli sarebbe pronta a dare la vita, quanto male gli fa vedere
questo scempio sacrilego. Sì, un vero e proprio sacrilegio, che si rinnova e che si perpetua, tutte le volte che vengono meno rispetto e amore per la vita, per tutta la vita e per la vita di tutti, a cui ci ha con forza richiamato Giovanni Paolo II, in quell'accorato appello che ci ha rivolto 16 anni or sono nella Evangelium Vitae: " In nome di Dio: rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana!  Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità!".  (EV. 5).
Per continuare a ricordare Yara e la sua Famiglia, vi propongo alcune riflessioni di Antonio Socci, pubblicati oggi su "Libero", nelle quali paragona Yara a santa Maria Goretti. Quelli di Socci, come spesso gli capita di fare, pensieri provocatori. Accolgiamo la provocazione in tutta la sua vis polemica, perché ci aiuta ad aprirci oltre le nostre resistenze, spirituali prima e poi morali. Buona lettura! dM.
Posted: 28 Feb 2011 11:16 PM PST
Yara non è la protagonista di una storia di orrore. E’ il suo assassino che sprofonda nell’orrore. Lei invece è la protagonista eroica di una luminosa storia di dignità.
La sua è – perché non dirlo – una testimonianza di santità scritta col sangue del martirio.
Forse non la capiremo perché adesso il circo dei media darà il via alle solite polemiche sulle indagini, sugli inquirenti e alimenterà mediocri scontri mediatici.
Il fango ci impedirà di vedere la cosa più importante e preziosa: la purezza di questa fanciulla e il suo eroismo.
La cultura dominante non sa fare i conti con la purezza. Né con la santità. Non le conosce. Una parola enorme, la santità, da maneggiare con cura, ma anche giusta. E abbagliante, gloriosa.
In queste ore di strazio infatti con Yara viene in mente un altro nome, un altro volto. Del resto avevano la stessa età, 12-13 anni. Ed è la stessa vicenda.
La storia di Yara Gambirasio è accaduta cento anni dopo quella di Maria Goretti, ma non ci sono grandi differenze.
Anche Yara – se saranno confermate le ipotesi degli inquirenti – è stata selvaggiamente uccisa con un coltello per essersi opposta a un tentativo di stupro.
Maria Goretti è stata canonizzata nel 1950 da Pio XII, ma anche lei era una ragazzina normale come Yara e si è trovata in un’analoga trappola infernale. Certo, i tempi sono cambiati e anche i luoghi sono diversi. Mentre Maria viveva nella miseria delle paludi pontine dei primi anni del Novecento, Yara è nata e cresciuta nella moderna e civile Lombardia di oggi.
Ma la Lombardia è la regione più progredita e prospera d’Europa senza per questo aver perso la sua anima cattolica, le radici della sua fede, soprattutto nella bergamasca. La stessa terra e la stessa fede raccontate nell’ “Albero degli zoccoli”: Yara non solo è stata battezzata ed educata nella fede cattolica, non solo frequentava la parrocchia e una scuola cattolica, ma aveva ricevuto proprio l’anno scorso la cresima, il sacramento che ci fa soldati di Cristo, pronti a tutto per difendere la dignità di figli di Dio che il Salvatore ci ha donato.
Molti pensano che sia tutto “per modo di dire”, forse anche tanti cattolici vivono con scontata ovvietà quei misteri grandi che sono i sacramenti, che invece non sono scontati e ovvi per nulla, perché ci danno davvero una forza divina. Ci divinizzano.
Yara, nella sua semplicità di tredicenne, pulita, semplice, pura, ha difeso la sua dignità con lo stesso eroismo dei martiri.
Come Maria Goretti. Come le prime martiri, agli albori del cristianesimo, così amate e venerate dalla Chiesa: spesso erano proprio coetanee di Yara.
I santi non sono degli ufo, delle entità particolari, degli esseri superiori. Sono semplicemente i cristiani che vivono da cristiani, sono i nostri figli, i nostri amici. Uomini e donne vere.
Sono la testimonianza che l’umile quotidiano può essere vissuto con eroismo, con eroismo cristiano, anche da una ragazzina acqua e sapone.
Anzi, forse tanto più da creature come lei che – nella storia cattolica – sono visibilmente le predilette dal Cielo: non a caso nelle apparizioni mariane gran parte dei prescelti sono adolescenti e soprattutto ragazzine adolescenti.
Forse così amate dalla Madonna proprio perché così somiglianti a lei, alla giovinetta che a Nazaret ricevette l’annuncio dell’Angelo.
Del resto proprio a pochi chilometri dal paese di Yara, a Ghiaie di Bonate, nella primavera del 1944, si sono verificate le tredici apparizioni della Madonna, appunto a una fanciulla, Adelaide Roncalli (speriamo che la diocesi di Bergamo di affretti a riconoscerle ufficialmente).
E il messaggio della Madonna alle Ghiaie aveva al centro proprio l’unità e la santità della famiglia che stava per essere minacciata da tempi assai avversi.
Infatti è la famiglia che di lì a poco tutta la cultura moderna avrebbe bombardato. A questo proposito va detto che la tragedia di Yara ha messo davanti al mondo anche la silenziosa e immensa testimonianza dei suoi genitori.
La famiglia Gambirasio – nello strazio di questa terribile prova – è stata ed è un esempio limpidissimo di dignità, di unità, di fede e di amore. E poi la fede cristiana è sempre comunitaria.
Infatti tutta la parrocchia di Brembate, quella famiglia di famiglie che è la parrocchia, tutto il popolo cristiano di quel paese bergamasco ha illuminato l’Italia: si è visto a Brembate un popolo commosso e addolorato che non ha mai cessato, giorno e notte, di pregare, con il suo parroco e che non ha mai cessato di darsi da fare – con tenacia bergamasca – per ritrovare Yara.
Il suo martirio è un dolore immenso. Ma giustamente il parroco ha detto che questo angelo adesso è in Cielo, fra le braccia della Madonna.
E, voglio aggiungere, si può pensare a Yara (e parlarle) come a una Maria Goretti del XXI secolo.
Dovremmo vedere che l’eroismo è un connotato della fede cristiana. E’ eroico oggi essere cristiani. Come è eroica la purezza. E’ la cosa più anticonformista che ci sia.
I nostri figli che scelgono la purezza e la dignità scelgono una strada di eroismo e di dileggio, di umiliazione e di bellezza. Del resto Gesù disse ai suoi amici: “Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi…”.
I lupi sbranano le carni. Ma più spesso viviamo in un clima dove l’aria che respiriamo sbrindella le anime, le perde.
I giovani come Yara sono i veri eroi da guardare, non i fasulli eroi creati dai media. Infatti chi oggi insegna più ai giovani la purezza, la dignità, il rispetto di sé, del proprio corpo e della propria anima?
Per questo penso che la testimonianza di Yara non sarà veramente capita. Così voglio aggiungere un’ulteriore considerazione.
La vicenda di Yara si è conclusa proprio nei giorni in cui tornano fuori, per l’ennesima volta, le polemiche sulla presenza del crocifisso nei luoghi pubblici, a cominciare dalle scuole.
Un’errata idea di laicità ancora una volta vorrebbe cancellarli perché dicono che laicità significa neutralità. E’ ovvio che lo Stato sia neutrale fra le confessioni religiose.
Ma lo Stato non è neutrale fra il Bene e il Male.
E il crocifisso – come ha scritto tanti anni fa Natalia Ginzburg – è il segno delle vittime, cioè del Bene, che dalla storia cristiana è entrato a far parte della cultura di tutti, anche dei non cristiani.
Il segno anche laico che siamo tutti con i crocifissi e non con i crocifissori.
Anche la cultura laica afferma che non si può essere neutrali fra le vittime e i carnefici. Infatti in tutte le scuole d’Italia, in questi giorni, parlando di Yara, tutti si sentiranno dalla parte della fanciulla assassinata.
Nessuno si sentirà “equidistante”. Tanto meno lo è lo Stato laico. Il crocifisso esprime questo stare dalla parte delle vittime.
La Ginzburg scriveva che fa bene guardare il crocifisso perché “di esser venduti, traditi e martoriati e ammazzati per la propria fede, nella vita può succedere a tutti. A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi della scuola.
Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto o accade di portare sulle spalle il peso di una grande sventura.
A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l’idea della croce nel nostro pensiero.
Tutti, cattolici e laici portiamo o porteremo il peso di una sventura, versando sangue e lacrime e cercando di non crollare. Questo dice il crocifisso.
Lo dice a tutti, mica solo ai cattolici.
Alcune parole di Cristo, le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente.
Ha detto ‘ama il prossimo come te stesso’. Sono il contrario di tutte le guerre. Il contrario degli aerei che gettano le bombe sulla gente indifesa.
 Il contrario degli stupri e dell’indifferenza che tanto spesso circonda le donne violentate nelle strade (…). Il crocifisso fa parte della storia del mondo”.

Antonio Socci

1 commento:

  1. Dopo avere letto lo scritto di Socci: Una vera " lectio magistralis", oso timidamente esprimere semplicemente il mio sentimento di vicinanza alla famiglia e a quelle donne che hanno vissuto il trauma della violenza e che sono state più fortunate di Yara, riuscendo a tornare a casa, anche se, umiliate, ferite e annientate nella loro dignità.
    Yara avrebbe potuto essere mia figlia, la figlia di tutti noi, nostra sorella o nostra amica. Un omicidio su una minorenne, pulita, amante della vita, della famiglia, dello sport. Mai avrebbe pensato che in un ritorno a casa, una sera come tante, con tante cose da raccontare a cena alla sua famiglia, avrebbe incontrato un mostro sotto le specie di uomo che avrebbe frantumato in un attimo tutti sogni della sua vita in fiore.
    Il dolore della famiglia non è possibile immaginarlo o trovare parole adeguate a descriverlo e sembra impossibile che questa madre possa sopravvivere, una volta asciugate le lacrime, quando il vuoto lasciato e il pensiero del terrore vissuto da Yara nei suoi ultimi istanti, non la lascerà.
    La mia ribellione va soprattutto, come donna e come madre, ai mostri che vivono tra noi, agli uomini, incapaci di frenare i loro istinti bestiali, che sono tanti e abusano delle donne, delle adolescenti e delle bambine e che spesso restano impuniti o scontano pene inadeguate ai crimini commessi.
    Mi domando a proposito del Vangelo del 20-02 e del commento allo stesso, pubblicato su questo blog, che parlava di perdono:
    -Potranno mai questi genitori e noi tutti perdonare questo mostro?
    Desidero riportare uno stralcio del commento che io leggo e rileggo senza riuscire a farlo mio. Forse, se fra i lettori ci fosse qualche persona che è riuscita in questo percorso di perdono e di amore, potrebbe aiutarmi a capire e a credere che è possibile e che può "essere di questo mondo".
    -"...........Consapevoli della nostra ritrovata amicizia con Dio, niente sarà più impossibile, anche amare i nostri nemici..................."
    "......perché per primi abbiamo fatto l'esperienza di amore più forte dell'inimicizia ogni volta che ci riuniamo per l'Eucaristia rifacciamo questa esperienza di riconciliazione, da nemici ad amici di Dio. Questa è la nostra forza per amare i nemici; pregare per loro e assomigliare nella perfezione a Dio stesso che "fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi" fino a sentirci "figli del Padre vostro che è nei cieli"

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