lunedì 7 marzo 2011

TESTAMENTO BIOLOGICO

DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO
Oggi, Lunedì 7 Marzo, si apre alla Camera la discussione sulla proposta di legge dell’on. Domenico Di Virgilio (PDL), già Presidente nazionale dei Medici Cattolici, sulle DAT, cioè le disposizioni anticipate di trattamento, chiamate anche testamento biologico o di vita. Come capita spesso, anche in questo caso cattolici divisi tra chi non vuole la legge, perché la considera l'anticamera dell'eutanasia, e chi invece ritiene questa l'unica via per evitare altri casi Welby e/o Englaro. Riporto di seguito quanto scrissi lo scorso anno su MANTOVACHIAMAGARDA nel 1° anniversario della morte di Eluana. Buona lettura! dM.


Un anno fa, esattamente il 9 Febbraio 2009, moriva nella clinica Città di Udine Eluana Englaro, dopo essere stata forzatamente privata della nutrizione e dell’idratazione artificiale, per volontà del padre, autorizzato dalle competenti autorità giudiziarie. Il caso, che ha diviso l’Italia in una polemica aspra e lacerante, ha avuto come protagonista unico ed irriducibile il signor Beppino Englaro, il quale dopo l’incidente stradale del 18 Gennaio 1992, causa dello stato vegetativo persistente di Eluana, ha condotto una estenuante battaglia legale perché si lasciasse morire la figlia, motivata da una presunta, e mai dimostrata, volontà espressa da Eluana stessa. Ricordiamo tutti la provocatoria raccolta di bottiglie d’acqua sul sagrato del Duomo di Milano, promossa da Giuliano Ferrara e dal suo quotidiano “Il Foglio”, come pure lo scontro istituzionale tra Presidenza della Repubblica e Governo a proposito del decreto d’urgenza emanato dal Consiglio dei Ministri per salvare la vita di Eluana e mai entrato in vigore, perché il Presidente Napolitano rifiutò la controfirma.
Dopo queste travagliate vicende, il Parlamento ha deciso di porre mano ad una legge sul fine vita, dal titolo: “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento”. Questa legge, più comunemente conosciuta come del testamento biologico o di vita, dopo un primo passaggio molto burrascoso al Senato, arriverà nei prossimi mesi alla Camera dei Deputati, dove il dibattito si preannuncia fin da ora ancor più focoso. Nonostante il tentativo del legislatore di mescolare le carte, allargando l’orizzonte a vari temi, come l’alleanza terapeutica e il consenso informato, due rimangono i punti davvero centrali della questione: 1. le dichiarazioni anticipate di trattamento, 2. come regolarsi nel caso di un soggetto incosciente, lo si lascia morire o lo si cura perché continui a vivere, eventualmente anche contro o a prescindere da una volontà precedentemente manifestata. Questo secondo aspetto riguarda esclusivamente il medico, in quanto s’intende regolarne il comportamento, quando si trova di fronte ad un paziente in grave pericolo di vita e incapace in alcun modo di esprimersi. Infatti all’art. 1 lettera f) la legge “garantisce” che “in caso di pazienti in stato di fine vita o in condizione di morte prevista come imminente, il medico debba astenersi da trattamenti sanitari straordinari, non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente od agli obiettivi di cura.” Come si evince dal testo, non si parla più di accanimento terapeutico, ma, con la “garanzia” legalmente tutelata, si fa  assoluto divieto al medico di praticare un qualsiasi tipo di intervento finalizzato a mantenere in vita questi soggetti. Di fatto si stanno creando i presupposti per introdurre in modo tacito e strisciante l’eutanasia passiva, per tutti quei casi dove fino ad oggi ci si è comportati esattamente al contrario, senza che qualcuno abbia mai neanche lontanamente pensato all’accanimento terapeutico.
A questo proposito vi racconto un episodio vissuto in prima persona nella mia esperienza ospedaliera. Una donna di quarant’anni, madre di due figli, sottoposta ad intervento chirurgico d’urgenza, dal quale era uscita in condizioni disperate, tanto che il marito era già pronto a firmare il consenso per la donazione degli organi e il fratello, tra l’altro lui pure medico, nella sala d’attesa della rianimazione inveiva contro l’accanimento terapeutico praticato, a suo dire, dai colleghi che avevano in cura la sorella. Il rianimatore di turno non volle sentire ragione e si piazzò per 24 ore ininterrottamente accanto al letto della paziente. Ad distanza di oltre dieci anni da quei fatti, la signora oggi gira ancora per Roma e gode di ottima salute. Se ci si fosse attenuti alle “garanzie” della legge in discussione in Parlamento, il medico avrebbe dovuto soltanto prepararsi a firmare il certificato di morte.
Per quanto riguarda invece le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (le DAT), cioè il tanto reclamato “Testamento di vita”, il punto fondamentale si cui si sta discutendo è quello di non creare le condizione per una “disponibilità” della vita equivalente ad un suicido assistito o addirittura a vere e proprie pratiche di eutanasia attiva. Tanto per rifarci ai recenti casi mediatici, manipolati ad arte per suscitare nell’opinione pubblica quell’emotività incontrollata che ben conosciamo, a scapito della doverosa razionalità, necessaria in materia, ci si chiede: è giusto staccare il respiratore, come è successo per Giorgio Welby? È giusto interrompere l’idratazione e la nutrizione, come è stato autorizzato per Eluana? L’altro problema legato alle DAT è: com’è possibile informare in modo completo ed esauriente una persona sana, che vuole stilare il proprio testamento biologico, di tutto quello che gli può capitare, perché decida ora che cosa eventualmente accettare o rifiutare delle possibili cure a cui sarà sottoposta? E’ vero che la legge prevede la possibilità di modificare o ritirare del tutto le proprie disposizioni. Ma come si fa a vivere pensando continuamente a come vorremmo morire? Chi ci garantisce poi che in caso di malattia grave, invece di essere curati, non verremo immediatamente inclusi tra coloro da lasciar morire, prima ancora di tentare tutto il possibile per salvarli? Anche perché il legislatore ha previsto la figura del “fiduciario”, cioè colui che deve tutelare il paziente incosciente, perché non si agisca in contrasto con quanto egli ha disposto. Insomma una specie di cane da guardia, da sguinzagliare contro i medici.
Quanto è stato fin qui detto, credo basti a suscitare quella benedetta inquietudine, capace di smuovere la nostra inerzia ad interessarsi accuratamente di quanto vogliono propinarci i nostri politici. Per un ulteriore approfondimento sul tema, vi invito a visitare il sito del Comitato Verità e Vita (www.comitatoveritaevita.it). Perché questa volta è davvero una questione di vita o di morte.
Don Marco Belladelli
Febbraio 2010

1 commento:

  1. Ringrazio chi mi ha insegnato che ognuno di noi deve portare la sua Croce fino alla fine.
    Cosa sappiamo noi di che cosa ci aspetta ad un certo punto della nostra vita? Possiamo tutti identificarci in Welby o nella Englaro e pensare che cosa noi, nei loro panni, avremmo voluto che fosse fatto o che vorremmo fosse deciso per noi.
    E' un pensiero lecito desiderare che ci venga allontanato al più presto "il Calice", ma.....
    al di là della fede e nel rispetto di ognuno, credo fermamente che non si possa porre fine ad una vita, e, finché è vita, bisogna assicurare quanto la tecnologia oggi mette a disposizione per accompagnare la persona fino alla fine dei suoi giorni, senza farla "morire di fame e di sete". Altro, è l'accanimento terapeutico.
    Se siamo capaci di amore possiamo dimostrarlo proprio nel faticoso accompagnamento dei nostri cari nel percorso di sofferenza fino al giorno, in cui niente è più possibile per evitare la morte.
    I malati gravissimi hanno anche il potere di cambiarci nel profondo, di farci riflettere, di purificarci e innalzare il nostro modo di amare in previsione del vuoto che la loro scomparsa da questa vita lascia in noi. Credo che non possiamo di fronte alla sofferenza trovare dei rimedi, anche se suggeriti in vita, dalla persona malata, che ci sollevino e allontanino il nostro disagio e la nostra incapacità di gestire il nostro dolore.
    Ricordo con amore fraterno un malato di 45 anni che la sclerosi aveva reso incapace di respirare autonomamente, deglutire e di parlare, e, che a lievi cenni mi comunicava lettera dopo lettera il suo dolore, non per sé, ma per la sua famiglia e per il disagio che causava loro. Non voleva morire. Il suo percorso di malattia è stato molto lungo e doloroso ma dignitoso perché attentamente seguito dai medici e dalla sua famiglia fino al giorno in cui nulla è stato più possibile per evitare la morte.
    A lui dedicai, come volontaria ospedaliera, una poesia, che ora mi permetto di condividere:

    Rianimazione -
    (Per Lorenzo)

    Ti ho trovato, Fratello,
    imprigionato da quei fili di pietra,
    immobile e attonito,
    martellato da quei "beep....beep..."
    impazziti,
    violato nelle carni da aghi di acciaio
    e nel cuore da quel “n. 7”.
    Nei tuoi occhi ho intravisto,
    piccolo fiore
    il terrore antico del buio,
    ed a tratti bagliori di terre di ocra,
    di africano splendore;
    riflessi accecanti di ghiacciai azzurrati,
    di affascinanti paludi, di canne lacustri;
    di sospiri roventi,
    di vagiti di figli e di figli dei figli.
    Vi ho trovato un peccato, un amico,
    l'infangarsi ed il risorgere insieme.
    Singhiozzi, dignitoso e pudico
    ed è un fiume ormai in piena.
    Sono qui accanto a te, e,
    c'è il mio mondo che preme
    là, fuori dall'uscio,
    che separa il dolore dal vano.
    Un sussulto, laghi caldi , i tuoi occhi,
    celati da spessori di ghiaccio.
    La tua mano, una morsa
    che annaspa nell'aria ormai spessa
    e sfuggente.
    -Non temere, Fratello,
    se non ti parlo di comodi inganni,
    Tu lo sai, io lo so, non ci sarà
    un'alba nuova domani per te,
    un tramonto, una luna piena sul mare,
    un bambino da stringere al petto, e,
    promesse negate di amore.
    Non temere, Fratello,
    troverai tanti fili di seta dorati,
    che scopriranno, man mano, il tuo Cielo,
    morbidezze di carni ormai pure
    e quel seno di Madre che ora invochi,
    come ancora nell'alta marea.
    E la pace è con Te,
    e la pace è con me.
    Tu lo sai, io lo so
    che nel bere le tue pene,
    ti ho dato in cambio,
    Fratello, Amore.

    RispondiElimina