Alle celebrazioni per l’unità d’Italia divisi su tutto?
Tra poco meno di un mese ci troveremo a celebrare l’unità d’Italia divisi su tutto, o quasi. Più si avvicina la storica data del 17 Marzo, 150° anniversario della proclamazione del Regno d’Italia, e più aumentano i distinguo e le
differenziazioni circa il valore di questo traguardo storico e soprattutto sul modo di celebrarlo. Le divisioni di oggi vengono da lontano. Da sempre gli storici litigano gli uni con gli altri, tra chi esalta i moti risorgimentali, i loro campioni: Cavour, Mazzini e Garibaldi su tutti, le loro idee e le loro imprese, che hanno portato alla tanto agognata unità, come un bene irrinunciabile per una nazione moderna, e chi invece, documenti alla mano, in nome di un più o meno sano revisionismo dopo un secolo e mezzo evidenzia ancora limiti, costi, problemi di sempre irrisolti, insieme a quelli che si sono aggiunti strada facendo. Di fatto il giudizio storico sul Risorgimento, fenomeno culturale e politico molto complesso e articolato, che ha dato origine all’Italia unita, rimane a tutt’oggi molto controverso e per niente univoco.
Duecento anni fa, sotto l’influenza della rivoluzione francese, si era affermata l’idea che la divisione politica e territoriale dell’Italia fosse la causa prima della sua sudditanza internazionale e del suo mancato progresso culturale, sociale ed economico. Oggi c’è ancora chi esalta l’unità nazionale come la sconfitta delle forze reazionarie e nostalgiche dell’ “ancien regime”, e non accetta che né da parte degli storici, né tanto meno dai politici, si evidenzino a riguardo problemi o visioni diverse. D’altra parte non si può negare che la tanta sospirata unità politica e territoriale abbia coinciso con la fine di un primato culturale dell’Italia, universalmente riconosciuto e ininterrotto nei secoli, a partire dai fasti dell’impero romano fino alla campagna napoleonica. Se poi si esclude la pacifica annessione del Granducato di Toscana, per tutte le altre regioni: Lombardia, Triveneto, Centro, Sud d’Italia e Sicilia, si è trattato di una vera e propria conquista di territori appartenenti a Stati legittimi e indipendenti da parte della monarchia sabauda. Conquista che ha comportato guerre sanguinose, come quelle di Solferino e San Martino sui nostri colli morenici, e al meridione azioni repressive con eccidi e massacri. Insomma, secondo gli storici la nostra unità nazionale non è proprio il risultato di un sentimento popolare condiviso da Bolzano a Lampedusa. Non meravigliamoci allora se il Presidente della Provincia dell’Alto Adige si defila dal partecipare alle prossime celebrazioni. Ancor più paradossale è lo scambio di posizioni tra destra e sinistra. Oltre la retorica di maniera, stupisce la tiepidezza con cui l’attuale maggioranza di governo di centrodestra, tradizionalmente più sensibile ai valori della patria e dell’identità nazionale, guarda alle prossime celebrazioni, contrariamente a quanto invece dà a vedere l’opposizione di sinistra, le cui radici culturali affondano nell’internazionalismo socialista. Ciliegina sulla torta, è arrivata puntuale anche la polemica del ministro leghista, On. Calderoli, sull’opportunità di dichiarare una festa nazionale. Con il povero Pappagone, la maschera partenopea interpretata da Peppino De Filippo, viene da chiedersi: siamo vincoli o sparpagliati?
Visitando la primavera scorsa il sacrario di El Alamein in Egitto, dove migliaia di nostri soldati di ogni regione d’Italia, di ogni estrazione sociale e di ogni parte politica hanno combattuto, per molti fino al sacrificio della vita, gli uni a fianco gli altri, sono stato colpito da una lapide, posta sull’ultima altura, difesa strenuamente, prima di cedere al nemico, che recitava così: “Qui una voce si leva possente e ammonisce a mai disperare nei destini d’Italia”. Sono parole ispirate da un sentimento di amor patrio, che non ha nulla a che vedere con le dispute degli storici, ancor meno con i teatrini della politica e che finora non ho ritrovato in nessuno dei vari discorsi celebrativi. Nel 150° anniversario dell’unità d’Italia, faccio mia quella voce possente e quel monito di speranza, come augurio per un futuro migliore per tutti gli Italiani.
Don Marco Belladelli.