Casaloldo, solennità del Corpus Domini 2008 presieduta da Mons. Pompeo Piva. |
Prima parte dell’omelia nel 1° anniversario della morte di Mons. Pompeo Piva, Convento di S. Maria del Gradaro, Mantova, 06/02/10.
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LETTURE – V del Tempo Ordinario “C”.
1° Isaia 6,1-2.3-8
Salmo 138(137)
2° 1Cor. 15,1-11
+ Vg. Lc 5,1-11.
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Cari Amici, prima di tutto “Grazie!” a nome mio personale e di coloro che hanno voluto questo incontro. Grazie! per la vostra presenza, per la vostra preghiera, per il vostro immutato affetto per don Pompeo, a un anno dalla sua morte. Sono sicuro che anche lui dal cielo apprezza e ricambia, come può fare chi si trova ormai nella beatitudine del Paradiso.
Come dissi un anno fa, anche oggi ripeto: “sono qui per esplicito mandato di don Pompeo”. Custodire e tutelare la sua memoria è diventato per me un dovere, sempre in conseguenza di quel mandato ricevuto da lui stesso. Al di là della sua affabilità con tutti, sapeva bene di chi poteva fidarsi e chi no, chi dopo la sua morte avrebbe continuato a rispettare in ugual misura la sua grandezza e le sue fragilità, senza prevaricare le sue decisioni, senza mistificare il suo pensiero, la sua ricerca e il suo insegnamento, senza accodarsi con i potenti di turno per quei teatrini dove è sempre di scena l’ipocrisia. Tutte cose che sono puntualmente accadute. Ma tant’è! Conosciamo bene questi nostri tempi, nei quali non c’è più pudore e vergogna per niente. Il vigore e il rigore morale delle coscienze è un bene sempre più raro anche nella Chiesa, quando diventa normale asservire tutto alla convenienza del momento e alla logica di chi comanda. Il servizio alla Verità, al Bene, al prossimo, … al diavolo! Mi vengono in mente le parole di satana a Gesù nella terza tentazione: “Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai ”. (Mt 4,9-10). In certi casi si assiste, nostro malgrado, a vere e proprie prostituzioni.
Stiamo facendo memoria di un caro defunto e lo facciamo nel nome di quella infinità Misericordia che tutti comprende e di cui tutti abbiamo assoluto bisogno, come dell’aria che respiriamo e dell’acqua che ci disseta. La divina Misericordia è la risposta di Dio alla nostra complicità con il mistero d’iniquità, per la quale vediamo buono ed appetibile superare ogni limite, contravvenire ad ogni divieto, dare sfogo alla nostra libertà, fino al trionfo della superbia, fino a diventarne e a scoprircene schiavi. A quella Misericordia, prima o poi, tutti dovremo rendere conto. Non dimentichiamolo.
Oggi vorrei ripartire da quell’applauso che un anno fa ha coronato la fine della mia omelia in Duomo. Qualcuno ha avuto il coraggio di dire che era una cosa preparata. Che meschinità! Riprendo da lì non per vanagloria, ma perché credo che quello fosse un segno da interpretare. Fu per me inaspettato. Ne rimasi molto sorpreso e interiormente turbato. Anche perché ad esso si contrappose in modo evidente e stridente il gelo che invece aleggiava nel presbiterio, freddezza che alla fine ha avuto il sopravvento, fino a smorzarlo, come un getto d’acqua buttato sul fuoco, innescatosi improvvisamente e inopinatamente. E questo la dice lunga sulle condizione morale e spirituale dei nostri preti. Dobbiamo pregare molto per loro! Di quell’applauso e di quel contrasto ho chiesto ragione a chi più di me ha frequentazione e familiarità con il Soprannaturale. E mi è stato risposto che quello era il ‘segno’ della approvazione Celeste per tutto quello che era stato detto. A questo punto mi sono chiesto: “Che cosa ho detto di tanto particolare?”. Raccontando i passaggi fondamentali della vita di Pompeo, ho cercato di rendere evidente come avesse messo Dio al primo posto nella sua vita. E come questo trasparisse da ciò che era e da ciò che faceva, dal suo modo di relazionarsi con gli altri, dal suo modo di predicare, d’insegnare, di fare ricerca teologica. Pensate che è arrivato a dire e a scrivere che perfino l’etica, su cui ha indagato per quasi tutta la sua vita, è seconda rispetto a Dio. Anche l’accanimento invidioso con cui è stato perseguitato per tutta la vita, era conseguenza di questa sua scelta prioritaria.
Facendo eco alle parole Pietro negli Atti degli Apostoli, “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5,29), priorità di Dio e non della Chiesa in sé e per sé. La Chiesa quando si manifesta come sacramento della presenza di Dio nel mondo. Sacramento di quel mistero di salvezza che è la morte e risurrezione di Gesù Cristo. A tal proposito, basta leggere l’inedito che è stato pubblicato in questa occasione, per capire in che modo intendeva questa priorità di Dio e fino a quali estreme conseguenze la applicava.
Pompeo, oggi però, avrebbe prima di tutto commentato per noi la Parola di Dio. Vogliamo anche noi ora piegarci a questo ascolto di una Parola oggi particolarmente in sintonia con il ricordo di un prete e della sua missione tra noi.
In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Don Marco Belladelli.
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Pensiero iniziale e finale dell’omelia nel 2° anniversario della morte di Mons. Pompeo Piva, Casaloldo (Mantova), 06/02/2011.
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Ringrazio voi, cari Amici di Casaloldo, per la stima e l’affetto che continuate ad avere per don Pompeo, a due anni dalla sua morte. Ringrazio in particolare don Alberto che, per rispetto alla mia lunga amicizia con don Pompeo, mi ha invitato a presiedere questa celebrazione in sua memoria.
(Segue il commento del brano evangelico proposto dalla liturgia:
Dal vangelo secondo Matteo Mt 5, 13-16
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».) …
Ora, per commemorare don Pompeo, vorrei manifestarvi un pensiero che nella ormai memorabile omelia per le sue esequie non manifestai, ma rimase chiuso nel mio cuore. Per questo faccio riferimento al testo della lettera ai Romani che fu proclamato in quell’occasione:
Fratelli, non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione. Lo sappiamo: l'uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui, affinché fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. (Rom. 6,3-6).
Non è mia intenzione allinearmi all’enfasi retorica, tipica dei nostri giorni, di coloro che nella circostanza della morte di persone di chiesa, come nel nostro caso, con troppa leggerezza e superficialità gridano al “Santo subito”. Pompeo non è un santo. Nel bene e nel male egli è stato ciò che è stato e ciò che ciascuno di noi ancora ricorda con piacere e nostalgia, perché ha preso sul serio il dono di Grazia che ha ricevuto da Dio nel battesimo e perché, come abbiamo fatto noi oggi, ha accolto la Parola di Dio come parola che salva. Questa era la ragione della sua affabilità e semplicità, capace di relazionarsi con tutti, del suo impegno efficace e fecondo nel ministero, nell’insegnamento e nella ricerca teologica. Essere un cristiano serio significa non confondere il bene con il male, il vero con il falso, il gusto con l’ingiusto, contrariamente a quanto avviene oggi, anche nella Chiesa, dove, non si sa bene per quale ragione, ma pare che molti si sentano superiori al comandamento di Dio e dispensati dal rispettarne i principi fondamentali. La testimonianza di don Pompeo, insieme con la particolare comunione che oggi abbiamo con lui per l’affetto umano e per la grazia dell’Eucaristia, ci renda altrettanto seri, per essere oggi il sale della terra e la luce del mondo.
Don Marco Belladelli
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