I SEGNI DELLO SPIRITO - MANTOVACHIAMAGARDA/2




Introduzione a LUCE AI MIEI PASSI
Per il terzo anno consecutivo l’Associazione onlus “Restituiamogli i sogni” mi ha chiesto di scrivere i commenti ai Vangeli della Domenica, raccolti questa volta in un vero e proprio volume, da diffondere tra gli Associati e gli Amici, che con i loro contributi sostengono le iniziative di solidarietà a favore dei Bambini bisognosi di aiuto in ogni parte della terra.
Nella crisi a tutto tondo che il mondo intero sta attraversando, il Vangelo rimane e rimarrà un messaggio di vita, di amore e di speranza per tutti. Forse gli uomini di Chiesa non sono sempre come li vorremmo, ma nonostante questo, la Parola di Gesù non è offuscata. Aiutare qualcuno a leggere il Vangelo, a comprenderlo meglio, a sentirsene attratto, come da una luce che illumina le nostre tenebre, come da una voce amica tra tante che ci disorientano, fino a riconoscere la presenza viva di Gesù accanto a noi, è sempre una sfida che vale la pena di affrontare. Se in questi tre anni, tra le migliaia di persone a cui è giunta questa pubblicazione, anche uno solo avesse fatto questa esperienza, vuol dire che il gioco valeva la candela e la mia fatica non è stata inutile.

Ogni anno abbiamo cercato di migliorare, introducendo elementi sempre nuovi. Siamo passati dall’idea dell’agenda, a quella di un bell’album fotografico, ad un vero e proprio libro. Quest’anno la novità non si ferma alla confezione, ma riguarda anche il contenuto. Insieme ai commenti dei Vangeli 2011-2012 e alle foto dell’amico Gianfranco Magotti, troverete riportate delle “Preghiere”, attraverso le quali sarete aiutati ad aprire il cuore a Dio. Non è sufficiente capire la Parola di Dio. Nessuno dubita che Gesù fosse un sant’Uomo, ma questo non cambia un uomo in un cristiano serio. Soltanto attraverso la preghiera, cioè quel dialogo intimo e profondo che nasce e si sviluppa nella nostra coscienza, impariamo a riconoscere e a stare davanti a Dio in persona, senza averne paura, fino a scoprirlo “Amico”. Sono Preghiere che nascono nel profondo dell’anima di Anna, che le ha scritte. Hanno un’ispirazione divina. Vi sorprenderete per quello che provocano nella vostra anima. Qualcuno che le ha lette si è anche arrabbiato. Anche questo va bene, perché vuol dire che non lasciano indifferenti, ma che riescono a metter in moto il nostro spirito. Dopo che le avrete lette, mi direte se ho ragione o mi sono sbagliato. 

Vedo già qualcuno sorridere: ci vuole ben altro per questo nostro mondo che non le emozioni e la sagra dei buoni sentimenti. Mi permetto in proposito un’ultima parola. Come diceva quel tale: “Datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo”. Da dove vogliamo cominciare a rifare questo mondo? Quale punto d’appoggio, se non te stesso? Nessuno può cambiare niente e nessuno attorno a sé, se non se stesso. E allora da dove cominciare se non dal nostro spirito? La spiritualità è tutto il nostro mondo interiore, dove molto spesso abbiamo accatastato una montagna di desideri, aspirazioni, ideali, valori, convinzioni, e chi più ne ha, più ne metta. Stanno là, nella più totale confusione, in attesa che mettiamo un po’ d’ordine, per dare un po’ di senso alla nostra vita. Mi rendo conto di essere troppo pretenzioso, ma lasciare le cose come stanno mi sembra proprio una vigliaccata. Oggi abbiamo bisogno di Spiritualità. Senza una solida base spirituale, continueremo a vivere in questa emergenza morale, nella quale sarà sempre più difficile distinguere il bene dal male. “Luce ai mie passi” è soltanto un modesto contributo a questa sfida, che non possiamo premetterci di perdere. Grazie!                                             
Don Marco Belladelli
NOVEMBRE 2011
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Madrid 2011 e i papaboys di B. XVI
Non era poi così scontato che alla fine tutto si risolvesse in un successo per Benedetto XVI, alla sua terza GMG. Aveva cominciato a Colonia nel 2005, a pochi mesi dalla sua elezione. C’era molta attesa attorno a lui, perché si trattava della sua prima uscita pubblica, tra l’altro proprio in Germania. Gli osservatori erano più curiosi di vedere come se la sarebbe cavata negli appuntamenti ufficiali, che non nei momenti salienti dell’incontro con i giovani. Di Sidney 2008 ricordo soltanto un’affermazione fatta dal Papa stesso il 22 Dicembre di quell’anno, nel discorso di auguri alla Curia Romana, durante il quale abitualmente si sofferma ad analizzare gli appuntamenti più importanti dei mesi precedenti. A proposito della GMG di Agosto disse: “Analisi in voga tendono a considerare queste giornate come una variante della moderna cultura giovanile, come una specie di festival rock modificato in senso ecclesiale con il Papa quale star. Con o senza la fede, questi festival sarebbero in fondo sempre la stessa cosa, e così si pensa di poter rimuovere la questione su Dio.”. Una risposta a chi aveva evidenziato una certa difficoltà di Ratzinger ad entrare in sintonia con il mondo giovanile, contrariamente a quanto invece succedesse con il beato Giovanni Paolo II, al quale bastava improvvisare un gesto originale o una battuta al momento giusto per catalizzare l’attenzione di milioni di persone.
La XXVI GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTù di Madrid 2011 si è conclusa invece a suon di record. Le cronache parlano di numeri mai raggiunti. Alla santa Messa di Domenica hanno partecipato più di due milioni di persone, superando l’assemblea della famosa GMG di Roma nell’anno del Grande Giubileo del Duemila. I giovani presenti tra il 16 e il 21 Agosto provenivano da oltre 180 paesi. Altri numeri parlano di oltre 14.000 sacerdoti e 744 Vescovi, in mezzo alla moltitudine di giovani. Tanta gente venuta da tutto il mondo nella laicissima Spagna di Zapatero per pregare e riflettere sul Vangelo. La Spagna dei matrimoni gay e delle libertà individuali, trasformata negli ultimi anni in un vero e proprio paese dei balocchi per i gaudenti di tutto mondo, dove ogni cosa sembrava essere improntato al piacere e alla libertà del singolo. Nonostante le manifestazioni degli indignados dei primi giorni, tutto si è svolto nella massima serenità. La vera grande novità è stato quel filing tanto speciale, creatosi tra Benedetto XVI e i giovani, non ipotizzabile fino a pochi giorni prima. Il Papa ha parlato a loro, e loro lo hanno ascoltato. Sabato sera, quando durante la veglia è scoppiato un furioso temporale, il Pontefice ha interrotto la sua omelia e, ai collaboratori che volevano portarlo in un luogo più riparato, ha risposto: “Io resto qui con i giovani”. E’ rimasto infatti straordinariamente edificato dal loro esempio, che nonostante l’acqua e il vento hanno continuato a pregare in silenzio, in adorazione della santissima Eucaristia. Ecco perché l’immagine più significativa di questa GMG spagnola rimane quella della veglia notturna di sabato 20 Agosto all’aeroporto militare di Cuatro Vientos, con un milione e mezzo di persone in ginocchiate in silenzio davanti al Santissimo Sacramento. Nell’udienza di mercoledì 24 Agosto, per riassumere quanto aveva vissuto a Madrid nei giorni precedenti Benedetto XVI ha usato l’immagine di “una vera cascata di luce” e poi ha aggiunto: “Ringrazio Dio per questo dono prezioso, che dà speranza per il futuro della Chiesa: giovani con il desiderio fermo e sincero di radicare la loro vita in Cristo, rimanere saldi nella fede, camminare insieme nella Chiesa”. Il Papa è rimasto fortemente impressionato dall’entusiasmo con cui i giovani lo hanno accolto: “Rimane in me l'impressione del loro entusiasmo, di una fede giovane, e piene di coraggio per il futuro, di volontà di servire così l'umanità”. Insomma, possiamo affermare che è nata la nuova generazione dei Papaboys di B. 16, come lo chiamano familiarmente loro. Una generazione fatta di ragazzi tra i 18 e i 25 anni, quelli nati nel tempo della multimedialità, con il cellulare in mano e la testa nel computer. Anche loro sentono la chiamata di Gesù e ne sono affascinati.  Il loro entusiasmo è un segno di speranza per il futuro della Chiesa e del mondo intero.
Don Marco Belladelli.
Ottobre 2011
Medjugorie, 30 anni di apparizioni
Era il 24 Giugno 1981, quando due ragazzine tra i 15 e i 16 anni, cristianamente educate per quel che permetteva il regime comunista dell’ex Jugoslavia, mentre in un pomeriggio assolato di inizio estate passeggiavano lungo una polverosa strada del loro piccolo villaggio dell’Erzegovina, videro apparire su una collina piena di sassi e di rovi la Madonna. A Ivanka e Mirjana, questi erano i loro nomi, il giorno seguente si unirono altri tre coetanei, Vicka, Marija, Ivan e il piccolo Jakov di soli 10 anni. Diventa così il 25 Giugno l’anniversario della lunga serie di apparizioni quotidiane che dopo trent’anni non vede soluzione di continuità. La notizia si diffuse velocemente per tutto il circondario e nei giorni immediatamente successivi Medjugorie, così si chiama la località degli eventi, è invasa da migliaia di persone.
Alle apparizioni si accompagnano segni straordinari, guarigioni inspiegabili e conversioni altrettanto sconcertanti. I governanti socialisti succeduti al colonnello Tito, defunto da un anno, colti di sorpresa, corrono ai ripari. Con le armi dell’ideologia e della forza cercano di mettere fine a quella che giudicano una macchinazione della Chiesa contro il regime. Intimidiscono i giovani veggenti, minacciano le loro famiglie e chiunque li sostenga. Il primo a pagare con l’arresto, il carcere e le torture è il parroco, il quarantenne padre francescano Jozo Zovko. Ma i pellegrini non si fermano. Anzi, cominciano ad arrivare italiani, tedeschi, polacchi e da ogni altra parte del mondo. Mancando le adeguate strutture di accoglienza, si  accontentano della modesta ospitalità offerta dalle famiglie del luogo, che aprono le loro case e cedono i loro letti. Esattamente dieci anni dopo, secondo la parola profetica della Regina della Pace, titolo con cui Maria si è presentata ai veggenti, scoppia la guerra serbo-croata per l’indipendenza di Zagabria da Belgrado, alla quale farà seguito quella bosniaca per la libertà di Sarajevo. Nonostante questi drammatici eventi di violenze e di morte, a Medjugorie tutto continua a crescere nel segno di Maria, che l’ha scelta come sua nuova dimora terrena.
In trent’anni attorno al mistero “Medjugorie” giorno per giorno si sono moltiplicate le domande. Sarà vero o sarà tutto falso? Perché un ciclo di apparizioni tanto frequenti (ogni giorno da trent’anni a questa parte!) e tanto prolungate nel tempo? Perché la Chiesa non si è ancora pronunciata in modo chiaro? Che senso hanno quegli innumerevoli messaggi ripetitivi della Madonna? Che cosa sono i dieci segreti? Quando si realizzeranno? Ai dubbi si aggiungono poi gli immancabili scandali per le fragilità umane, primo far tutti l’annoso e irrisolto conflitto tra il Vescovo di Mostar e la Provincia croata dei Frati Francescani Minori per l’assegnazione delle parrocchie dell’Erzegovina. Oggi chi arriva a Medjugorie, lembo di terra croata sotto bandiera bosniaca, si trova immerso in una frenetica cittadina dove, attorno alla ormai caratteristica chiesa parrocchiale dai due campanili, fino al 1981 vera cattedrale nel deserto e unico riferimento certo per chi si avventurasse da quelle parti, sono cresciuti a dismisura e disordinatamente alberghi e pensioni, negozi e bancarelle per soddisfare le esigenze dei milioni di pellegrini che ormai la invadono durante tutto il tempo dell’anno. Sono persone di ogni età e di ogni ceto sociale, provenienti da tutto il mondo, dalle Americhe, all’Estremo Oriente, all’Australia, dall’Africa alla Scandinavia. Non manca davvero nessuno. Rispondono alla chiamata di Maria. Altri invece sono mossi dalla curiosità per le cose sensazionali che sentono raccontare da amici e conoscenti. Alla fine, ciò che li accomuna è l’esperienza della conversione del cuore. Ben presto al torpore che abitualmente occupa le anime degli uomini e delle donne del terzo millennio si sostituisce inspiegabilmente un sentimento nuovo e sconosciuto. E’ la gioia di chi ritrova la Madre del cielo e con lei anche il Padre Nostro. E ti accorgi di cominciare a pregare, senza che nessuno te lo dica, senza che nessuno te lo insegni, con la stessa naturalezza con cui respiri, perché a Medjugorie Maria sta preparando la nuova umanità, donne e uomini secondo il cuore di suo Figlio Gesù.
Don Marco Belladelli.
Settembre 2011

Il beato Clemente Vismara,
protettore dei bambini.
Il 26 Giugno scorso, in piazza Duomo a Milano, è stato beatificato padre Clemente Vismara, missionario del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere). Nato nel Settembre del 1897 ad Agrate Brianza (MI), a otto anni rimane orfano di padre e di madre. Dopo aver partecipato alla prima guerra mondiale, nel 1920 entra nel PIME. Tre anni dopo è ordinato sacerdote e viene subito inviato nell’allora Birmania, oggi Myanmar, regione del sudest asiatico, recentemente assurta all’attenzione dei media per la protesta dei monaci buddisti contro la dittatura della giunta militare al potere e per le azioni repressive della stessa nei confronti del premio Nobel per la pace, San Suu Kyi.
A quel tempo, in quelle terre non c’era nessuna presenza cristiana. Bisognava cominciare dal nulla. Nonostante le ostilità dell’ambiente, il clima malsano e la miseria economica e culturale che lo circonda, con la sua tenacia padre Clemente dopo pochi anni riesce a fondare 4 distretti missionari, con oltre 2000 battezzati. Inizia con l’offrire agli indigeni un’occupazione gratificante. Ma il problema che gli stava più a cuore era la situazione e la condizione degli orfani. Nel 1931 aveva già aperto due orfanatrofi, uno maschile e l’altro femminile. Nel 1955 viene inviato a circa 250 km di distanza, in una regione dal clima più salubre, ma dove non c’era nulla ed era necessario ricominciare tutto da capo. Agli inizi degli anni 60 aveva già costruito prima di tutto l’orfanatrofio, e poi la Chiesa. Nel 1966 con l’indipendenza e il nuovo regime di ispirazione socialista viene anche l’espulsione di tutti gli stranieri, missionari compresi. Riaperte le frontiere, ritorna in Birmania e continua il suo lavoro, fondando nuovi distretti missionari, fino alla sua morte, avvenuta nel Giugno del 1988, quando era ormai prossimo alla veneranda età di 91 anni, di cui ben 65 vissuti in missione. Al suo funerale accorrono numerosi sia i buddhisti che i mussulmani.
Padre Clemente è stato soprattutto un educatore. Lui, che aveva vissuto sulla sua pelle l’esperienza di perdere i genitori ancora in tenera età, è diventato il padre di centinaia di orfani. Era sempre circondato da ragazzi, tanto che in una lettera scriveva: “Se aveste ad entrare nella casa del missionario, che trovereste? Un prete circondato da ragazzi. Se aveste ad imbattervi su pei monti nella carovana in cerca di fortuna tra villaggi pagani, chi sarebbero i componenti di questa carovana apostolica? Dei ragazzi circondanti il prete. È così in tutte le ore del giorno, in tutti i luoghi, in tutte le occupazioni del missionario”. Alcuni bambini addirittura li ha comprati per strapparli a volte alla miseria, altre volte invece alle famiglie distrutte dal consumo di oppio. Questo strano commercio, che agli occhi di noi occidentali può suscitare scandalo e addirittura indignazione, è ciò che più di ogni altra cosa ci svela il significato di questo particolare aspetto della vita di padre Clemente. Un aneddoto ci aiuta a capire lo spirito che lo animava. Negli atti del processo di beatificazione leggiamo la testimonianza di un amico buddhista, che gli diceva: “Padre Vismara, tu dai da mangiare a tanti bambini, ma quando diverranno grandi, loro non ti daranno niente”, al quale lui rispondeva: “Io faccio queste cose non per me, ma solo per Dio. Io lavoro per Dio. A me basta amarli come li ama Dio. E se se ne andranno, non importa. Basta che siano brave persone, che credono in Dio, che pregano e cercano di essere buoni”. Egli ci insegna a dare la priorità ai bambini. Padre Clemente ha fatto esattamente il contrario di quello che avviene oggi nella nostra società, dove presi dall’ebbrezza per la libertà individuale, abbiamo finito per sovrapporre le generazioni, le une alle altre come gli strati di una zuppa inglese, relegando così i giovani a se stessi e per abbandonarli al loro destino. Perfino nella Chiesa non c’è più tempo per i bambini. Capita che molti di essi arrivino alla prima Comunione o alla Cresima senza aver mai incontrato un prete come padre spirituale, se non fugacemente o per ragioni puramente organizzative. Ben venga un nuovo patrono per i bambini che li protegga dal nostro egoismo e disinteresse per loro.
Don Marco Belladelli.
Agosto 2011
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Chiesa: oltre la pedofilia, la verità
Qualche tempo fa leggevo sul Corriere della Sera (27/05/2011) la lettera di una signora stupita del fatto che il caso di un prete pedofilo, nel più remoto angolo della terra, interessi i media mondiali più del fenomeno della pedofilia in se stesso e nelle sue reali dimensioni di patologia sociale dei nostri giorni. Due esempi su tutti: è comunemente risaputo infatti che la maggioranza degli abusi sui bambini avvengono purtroppo in famiglia e non in sacrestia, come pure altrettanto nota è la piaga del turismo sessuale, che porta ogni anno migliaia di europei ad abusare dei bambini del terzo mondo, senza che si faccia nulla più di qualche pubblico gesto di ipocrita indignazione per arginare questa intollerabile oscenità. Alla fine la signora avanzava il sospetto che i media siano più interessati a combattere la Chiesa e non la pedofilia. Nella sua risposta, il conduttore della rubrica, pur riconoscendo un certo accanimento nei confronti della Chiesa, soprattutto da parte dei suoi nemici storici, ai quali non par vero di avere tra le mani argomenti tanto validi, metteva in evidenza il fatto che ognuno viene giudicato nei suoi atti per la posizione sociale che occupa e per la relativa fiducia che per tale posizione gli viene accreditata. Ecco perché, a suo dire, la pedofilia di un prete è più grave di quella dello zio o di un qualsiasi altro adulto, e interessa  maggiormente i media. Di questo ne è ben consapevole anche Papa Benedetto XVI, quando nella lettera ai Cristiani d’Irlanda del Marzo 2010, rivolgendosi alle vittime degli abusi, dice: “Avete sofferto tremendamente e io ne sono veramente dispiaciuto. So che nulla può cancellare il male che avete sopportato. È stata tradita la vostra fiducia, e la vostra dignità è stata violata”. Ma il cristiano quando pecca, soprattutto in modo grave e scandaloso, prima di tradire la fiducia di chicchessia, commette un male ancor più grande: rinnegare la verità. Nello scandalo della pedofilia, ciò che ha lasciato sgomento il Papa è il costatare che la Chiesa, per difendere il proprio buon nome, nascondeva la verità, fino a oscurare la luce del Vangelo. Ricordate il dialogo tra Pilato e Gesù durante il processo di quest’ultimo? Il Procuratore romano lo interroga a proposito della sua dignità regale. Gesù risponde: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. A questo punto Pilato ribatte: “Che cos'è la verità?” (cfr Gv 18,33-38). Benché fosse straconvinto dell’innocenza di Gesù, alla fine le ragioni di opportunità politica per la condanna a morte avranno il sopravvento sulla verità. Tutte le volte che la verità viene sacrificata a qualsiasi altro fine, fosse anche apparentemente il più nobile e sacrosanto, non soltanto si commette un grave peccato, ma si causano mali gravissimi, dalle conseguenze altrettanto imperdonabili. L’assenza di verità è la via maestra dell’arbitrio e di ogni genere di abuso. Per questo il primo e fondamentale provvedimento deciso da Benedetto XVI contro la pedofilia è stato un’azione di trasparenza, per accertare la verità dei fatti, prendere le relative contromisure, punire i colpevoli, risarcire e soccorrere le vittime. In una recente intervista a IL FOGLIO (04/06/2011), anche il Cardinale di Vienna, Christoph von Schönborn, uno dei porporati più accreditati oggi nella Chiesa, dice: “Se la chiesa vuole essere una guida spirituale per la società, … deve confrontarsi con i suoi peccati. Perché non si può richiamare il mondo alla verità se la verità non si ha il coraggio di farla propria”. Non è casuale che le linee guida per la diocesi di Vienna contro la pedofilia abbiano come titolo: “La verità vi farà liberi”. Pur mettendo in guardia che al libertinismo degli ultimi decenni non succeda un tempo di puritanesimo altrettanto dannoso, dice ancora il cardinale: “Cercare la verità è un’operazione che può essere penosa ma indispensabile. E’ l’unica condizione per avere misericordia da Dio. Viviamo in un periodo nel quale tutti fuggono dalla verità. La chiesa non può permettersi di fare questo”.
Don Marco Belladelli
Luglio 2011.
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Beato Giovanni Paolo II, un gigante.
Il 1° Maggio scorso, Papa Benedetto XVI ha beatificato il suo predecessore, Giovanni Paolo II, a soli sei anni dalla sua morte. Un nuovo record, che si aggiunge ai tanti altri che hanno caratterizzato la vita Karol Wojtyla.
Nato a Wadowice, nel sud della Polonia, il 18/05/1920, a nove anni perde la madre, Emilia, e tre anni dopo anche il fratello maggiore, Edmund il medico, contagiato da un paziente che aveva in cura, affetto da scarlattina. Nel 1939 si trasferisce con il padre, ex ufficiale dell’esercito asburgico, a Cracovia per frequentare l’università. Intanto i tedeschi invadono la Polonia e comincia la II guerra mondiale, particolarmente drammatica per questo paese, stretto nella morsa di due grandi potenze, la Germania di Hitler da una parte e l’Unione Sovietica di Stalin dall’altra. Nel 1941 muore anche il padre e Karol rimane completamente solo, in un mondo ridotto in macerie. Si mantiene agli studi lavorando in una cava di calcare e l’anno seguente entra nel seminario clandestino del cardinal Sapieha, l’arcivescovo di Cracovia. Ordinato sacerdote il 1 Novembre del ’46, viene immediatamente mandato a Roma per il dottorato in teologia. Nel ’48 torna in patria dove, nonostante il regime comunista, intraprende un’intensa attività pastorale, prima in parrocchia e poi all’università. Nel 1958 viene nominato Vescovo ausiliare di Cracovia, cinque anni dopo ne diventa Arcivescovo e nel 1967 è creato Cardinale da Paolo VI. Nel frattempo si è svolto il Concilio Vaticano II, al quale ha attivamente partecipato, intessendo molti e intensi rapporti con vescovi di tutto il mondo, facilitato dal parlare 11 lingue. Dopo la morte improvvisa di Papa Luciani, il 16 Ottobre del 1978 viene eletto Papa con il nome di Giovanni Paolo II.
Un pontificato durato quasi 27 anni, il terzo più lungo della storia, durante i quali Karol Wojtyla ha pubblicato 14 lettere encicliche, ha proclamato 482 tra santi e beati, più di tutti i suoi predecessori messi insieme, ha percorso 1.163.865 Km in aereo, con i suoi 104 viaggi apostolici fuori d’Italia e le 146 visite pastorali alle diocesi italiane. Non si possono contare invece le persone che ha incontrato, potenti e umili, ma soprattutto i tanti malati a cui ha stretto la mano e benedetto personalmente uno ad uno. Così è diventato il protagonista della storia mondiale, entrando nel cuore di miliardi di donne e uomini, di ogni parte del mondo, condizione sociale e credo religioso, come non era mai successo per nessun. Lo si è capito nei giorni successivi alla sua morte, quando milioni di persone hanno sfilato in silenzio davanti alle sue spoglie, con la stessa partecipazione di chi ha perso una persona cara. Molti attribuiscono questo successo alle sue straordinarie doti di comunicatore, dimenticando l’essenza della sua vita: la sua fede in Cristo. Le famose parole pronunciate in piazza San Pietro il 22 Ottobre 1978, in occasione della S. Messa di inaugurazione del suo pontificato sono, a mio modesto parere, la chiave di lettura di tutta la sua vita: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l'uomo. Solo lui lo sa!”. Come ha detto Benedetto XVI nella sua omelia del 1° Maggio: “Quello che il neo-eletto Papa chiedeva a tutti, egli stesso lo ha fatto per primo: ha aperto a Cristo la società, la cultura, i sistemi politici ed economici, invertendo con la forza di un gigante – forza che gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare irreversibile”. Aveva aperto la sua vita a Cristo già a nove anni, quando perse la Mamma e negli anni successivi, uno dopo l’altro, tutti suoi familiari. Chi non si sarebbe ribellato ad un destino così crudele e a tanta solitudine, aggravata dalle umilianti condizioni umane e sociali della sua Polonia? Invece la fede trasformò la sua debolezza in quella forza gigantesca per mezzo della quale trascinò dietro a sé il mondo intero. Ora, nella beatitudine del Paradiso, gli sarà più facile arrivare al cuore molti altri uomini, che ancora non hanno spalancato le porte a Cristo.
Don Marco Belladelli.
Giugno 2011
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Il Gesù di Ratzinger, volume secondo.
Uscito il 10 Marzo scorso, il secondo volume su ‘Gesù di Nazaret’, scritto dal Papa, è diventato subito un successo editoriale mondiale. Pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana e distribuito in Italia dalla Rizzoli con il sottotitolo: “La settimana santa. Dall’ingresso in Gerusalemme alla risurrezione”, in 380 pagine divise in nove capitoli, il nuovo libro di Ratzinger si occupa di ciò che è accaduto negli ultimi giorni di vita di Gesù, eventi diventati fondamentali per la fede cristiana, per la storia e per la salvezza di tutta l’umanità. Si comincia con la Domenica delle palme, per finire con la risurrezione, passando attraverso tutti gli altri fatti importanti di quei giorni: la cacciata dei mercanti e i discorsi di Gesù al tempio di Gerusalemme, la lavanda dei piedi e il problema del traditore, la preghiera sacerdotale e l’istituzione dell’Eucaristia, l’agonia nell’orto degli ulivi e l’arresto, i diversi processi, la crocifissione, la morte, la risurrezione e le apparizioni. Il libro si conclude con un’appendice dedicata all’ascensione.
Ratzinger pensava di scrivere il libro ancor prima di diventare Papa, come il punto d’arrivo della sua carriera accademica e inserendosi in un filone letterario, quello delle “Vite di Gesù”, iniziato alla fine del ‘700 con Lessing e che ha prodotto i suoi migliori risultati nel secolo scorso con Giovanni Papini, Karl Adam e Romano Guardini. Il suo intendimento però non è tanto quello di emulare gli illustri intellettuali e teologi che lo hanno preceduto, quanto piuttosto di proporre un nuovo metodo di esegesi evangelica, che superi i limiti del cosiddetto metodo storico-critico. Nella presentazione infatti ribadisce la sua critica verso questo metodo di esegesi, in modo ancor più forte e chiaro di quanto avesse già fatto nel primo volume, per il risultato di un Gesù troppo insignificante, perché troppo ancorato al passato per giustificare sia un impatto così rilevante come quello del cristianesimo nei suoi duemila anni di storia, sia un vero e proprio rapporto interpersonale vivo e presente, come esige la nostra fede. Ma l’aspetto ancor più importante che si evidenzia, soprattutto in questo secondo volume, è la ricerca personale del volto di Cristo fatta da Joseph Ratzinger, 264° successore di san Pietro. La sua prima e fondamentale preoccupazione è quella di illustrare la figura e il messaggio di Gesù. Insomma, il Papa nel suo libro si domanda: com’era il Gesù reale, vissuto duemila anni in Palestina? E qual’ era il suo messaggio, giunto fino a noi attraverso i quattro Vangeli? Il risultato della ricerca personale di Benedetto XVI diventa così il presupposto e lo stimolo autorevole per una ricerca, altrettanto seria personale di chi legge. Per invogliare alla lettura, concludo con un passo tratto dal 9° capitolo, dedicato all’evento della risurrezione, tanto fondamentale per il credo cristiano:
La fede cristiana sta o cade con la verità della testimonianza secondo cui Cristo è risorto dai morti. Se si toglie questo, si può, certo, raccogliere dalla tradizione cristiana ancora una serie di idee degne di nota su Dio e sull’uomo, sull’essere dell’uomo e sul suo dover essere – una sorta di concezione religiosa del mondo –, ma la fede cristiana è morta. Gesù in tal caso è una personalità religiosa fallita; una personalità che nonostante il suo fallimento rimane grande e può imporsi alla nostra riflessione, ma rimane in una dimensione puramente umana e la sua autorità è valida nella misura in cui il suo messaggio ci convince. Egli non è più il criterio di misura; criterio è allora soltanto la nostra valutazione personale che sceglie dal suo patrimonio ciò che sembra utile. E questo significa che siamo abbandonati a noi stessi. La nostra valutazione personale è l’ultima istanza. Solo se Gesù è risorto, è avvenuto qualcosa di veramente nuovo che cambia il mondo e la situazione dell’uomo. Allora Egli, Gesù, diventa il criterio, del quale ci possiamo fidare. Poiché allora Dio si è veramente manifestato. Per questo, nella nostra ricerca sulla figura di Gesù, la risurrezione è il punto decisivo. Se Gesù sia soltanto esistito nel passato o invece esista anche nel presente – ciò dipende dalla risurrezione.
Don Marco Belladelli.
Maggio 2011