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Domenico Fetti, Parabola del buon Samaritano, 1620 - Venezia |
XV Domenica del Tempo Ordinario, “C”.
Chi è il mio prossimo?
+ Dal Vangelo secondo Luca (10, 25-37).
In quel
tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese:
«Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse:
«Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il
Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la
tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse:
«Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Parola del Signore.
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Ai settantadue discepoli inviati in missione Gesù aveva detto: “vi mando come agnelli in mezzo a lupi”. L’incontro con un dottore della legge, che lo interroga per metterlo alla prova, è un esempio concreto di ciò che intendeva. La domanda che Gesù si sente rivolgere è la stessa del giovane ricco nel vangelo di Marco: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” (10,17). In entrambi i casi gli interlocutori replicano a Gesù con un’ulteriore domanda per sottrarsi alla radicalità della proposta evangelica. Poi i due racconti si sviluppano in modo diverso. A questo punto Luca ci propone la famosa parabola del “Buon Samaritano”, che ascolteremo questa Domenica nella liturgia. Un esempio e un messaggio fondamentali per ogni cristiano e per ogni uomo.
Il racconto di Luca ha come presupposto l’atteggiamento
dichiaratamente ostile del maestro della legge che provoca Gesù con una domanda
sulla vita eterna, fine specifico di ogni religione. La risposta interlocutoria
di Gesù: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?” rivela la
malizia del maestro della legge e il biasimo per non conoscere a sufficienza la
sua materia. Un peccato molto grave per un rabbi. Sarà invece proprio Gesù,
venuto non per abolire ma per portare a compimento (cfr Mt 5,17), ad indurlo a
considerare l’importanza decisiva del comandamento dell’amore di Dio e del
prossimo, sintesi di tutta la Legge antica. Vista la mala parata, il dottore
della legge cerca di recuperare con una seconda domanda: “E chi è il mio prossimo?”.
E’ allora che Gesù racconta la bellissima e famosissima parabola del Buon
Samaritano, uno dei testi più conosciuti e commentati di tutto il Nuovo
Testamento, divenuta icona, spesso anche abusata, di tutto ciò che, più o meno,
ha a che fare con solidarietà, disinteresse, altruismo, generosità, a
prescindere. Penso per esempio all’enfasi con cui oggi si guarda al vasto mondo
del volontariato, dove spesso dietro la facciata della solidarietà sociale si
nascondono interessi di gruppo, neanche tanto ben celati, ed egoismi soggettivi
in cerca di rivincite sulle frustrazioni della vita. Il messaggio di Gesù è ben
altra cosa. Il comportamento del Buon Samaritano è in perfetta sintonia
con il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, evocato poco prima dal
maestro della legge, e che Gesù durante l’ultima cena ha lasciato come suo
testamento alla Chiesa nella nuova formulazione: “amatevi gli uni gli altri, come
io vi ho amato” (Gv 13,34). La risposta della parabola infatti si
può sintetizzare nel fatto che se uno ama, sa sempre chi è il suo prossimo. L’amore
del Buon Samaritano evoca pure la
parabola del giudizio finale al cap. 25 di Matteo, quando i giusti sono
chiamati a partecipare della beatitudine eterna, perché quello che hanno fatto:
“a uno solo di questi miei fratelli più
piccoli, l'avete fatto a me” (v. 40). Il vero Buon Samaritano è Gesù stesso che muore in croce per noi, è
lui il dono d’amore infinito di Dio per noi. Soltanto accogliendo lui nella
nostra vita saremo capaci di aprirci a Dio per amare come lui e trasformare la
tutta nostra vita in un atto di amore. Per Gesù l’amore perfetto e
disinteressato del Buon Samaritano, cioè la sua capacità di compassione e di farsi prossimo, non è altro che la conseguenza dell’aver
accolto l’amore di Dio “con tutto il tuo
cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente
”. Proporre come esempio un Samaritano
è chiaramente provocatorio, prima di tutto perché, come ci ricorda Giovanni,
tra Samaritani e Giudei non correva buon sangue (cfr Gv 4,9), e poi perché Gesù
è appena stato rifiutato dai Samaritani, considerati eretici, impuri e
disprezzati più dei pagani, tanto da essere meritevoli del castigo del fuoco
eterno (cfr Lc 9,53ss). Se il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo è
stato compreso e accolto in modo così eccelso addirittura da un samaritano, non c’è giustificazione per
nessuno. Molto spesso pensiamo che per imitare il buon samaritano sia
necessario un grande sforzo di volontà, al limite della violenza su se stessi,
per superare il peso specifico dell’egoismo radicato nella nostra natura.
Quando invece facciamo esperienza della grazia di Dio in noi, comprendiamo che
tutto comincia da lì, senza più nessun limite. Nella prima lettura ascoltiamo:
“Questo
comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te.
Non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e
farcelo udire e lo possiamo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi
attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo
eseguire? Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel
tuo cuore, perché tu la metta in pratica” (Deuteronomio 30,11-14).
Insomma è Dio che per primo si fa nostro prossimo in Gesù, Parola fatta carne,
e poiché - come dice S. Agostino - Dio
è “più intimo a me della mia
interiorità”, ci trasforma dal di dentro, perché il “Va'
e anche tu fa' lo stesso” valga per tutti, in modo assoluto,
chiunque tu sia, a qualsiasi popolo appartenga, in qualsiasi luogo della terra
ti trovi, in qualunque momento della tua vita.
Buona Domenica!
don Marco Belladelli.
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