XXXII Domenica del
tempo Ordinario “C”
Dio non è dei morti, ma dei viventi.
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che
non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha
prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli,
suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”.
C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza
figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono
senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla
risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in
moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito;
ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai
morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché
sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di
Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del
roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di
Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». Parola del Signore.
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In queste ultime
Domeniche dell’Anno Liturgico la Chiesa riflette sulle realtà ultime della fede
cristiana. Sono i temi che il Catechismo
raggruppa nel capitolo de “ i novissimi”. Quattro realtà, morte,
giudizio, inferno e paradiso, riassunti negli articoli del Credo riguardanti la risurrezione della carne e la vita eterna. Sono
verità importanti sulle quali si fonda la Speranza cristiana, la terza virtù
teologale insieme alla Fede e alla Carità. Avere Speranza significa vivere la
concretezza del quotidiano costantemente orientati verso ciò che ci attende,
fiduciosi che Dio realizzerà quanto ha promesso. Ogni giorno il Signore ci dona
segni e grazie per sostenerci nella fedeltà. Sostenuti dalla Speranza, come da
una certezza incrollabile, guardiamo con sempre maggior fiducia alle cose
future.
Vediamo ora che cosa ha detto Gesù su ciò che ci aspetta dopo la morte.
Vediamo ora che cosa ha detto Gesù su ciò che ci aspetta dopo la morte.
Dopo un lungo viaggio,
iniziato al cap. 9 del racconto di Luca, siamo finalmente arrivati a
Gerusalemme. Gesù sceglie il Tempio come luogo privilegiato in cui svolgere la
sua missione nella città santa. Per gli Ebrei il Tempio è il luogo più sacro
che esista sulla terra. E’ unico al mondo e soltanto nel Tempio era possibile celebrare
i sacrifici prescritti dalla Legge nelle varie circostanze liturgiche e della
vita, necessari per entrare in comunione con Dio. Non va confuso con le sinagoghe,
presenti dovunque ci sia una comunità ebraica, nelle quali ci si riunisce ogni
sabato per pregare e ascoltare la lettura della Toràh, cioè la legge di Mosè, e
dei Profeti. Il Tempio era governato dai sacerdoti, i quali dopo il ritorno
dall’esilio babilonese avevano gradualmente assunto anche la guida politica del
popolo. La maggior parte di essi apparteneva al gruppo dei Sadducei, composto
quasi esclusivamente dall’aristocrazia ebraica. Erano loro a trattare con i Romani
per conto del popolo d’Israele. Contrariamente ai Farisei, rispettavano
soltanto la legge scritta e non seguivano i dettami della tradizione orale. Non
credevano nella vita eterna e nemmeno nella risurrezione dei morti. Ritenuti i responsabili
della disfatta di Israele, scomparvero quasi del tutto dopo la prima guerra
giudaica, la famosa rivolta contro i Romani, conclusasi con la distruzione di
Gerusalemme nel 70 dC, che fu anche una guerra civile, una resa dei conti tra
le varie fazioni interne al popolo d’Israele.
Sono loro oggi ad
interrogare Gesù. Non credendo nella risurrezione dei morti, gli sottopongono
il caso della donna, moglie di sette mariti. Un esempio preconfezionato che
abitualmente veniva usato nelle scuole rabbiniche. Una situazione paradossale
da risultare secondo loro insolubile e quindi adatto per negare l’esistenza di una
vita dopo a morte.
Gesù nel Tempio non si
confonde con i tanti maestri della legge. In questo luogo egli più che mai esercita
l’autorità stessa di Dio e rivela le verità del Cielo. Nella sua risposta
infatti non avanza ipotesi teologiche da dimostrare, ma come Dio, parla delle
cose di Dio. La sua non è l’opinione di uno scienziato, o l’espressione di una
particolare competenza, né tantomeno di una esperienza, ma la Verità di Dio. Lo
si evince quando dice: “ Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché
tutti vivono per lui. ”. Egli parla per conoscenza diretta e le sue affermazioni ci
aprono al mistero che ci attende.
Dopo la morte “quelli
che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non
prendono né moglie né marito ”, perché nell’al di là non c'è
più bisogno di assicurare la continuità della specie, così viene superata la
distinzione di genere tra maschio e femmina. E’ sufficiente questa prima
affermazione per smontare tutto il castello costruito dai Sadducei con il caso
che avevano presentato.
Seconda affermazione: “ infatti
non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli
della risurrezione, sono figli di Dio ”. La morte ci introduce in
una dimensione caratterizzata da immortalità ed eternità, in tutto e per tutto
uguale a quella degli Angeli, nella quale si compie e si manifesta la nostra
vera identità, quella di figli di Dio. Dopo la morte godremo quindi in pienezza
della nostra relazione filiale con Dio in un'esistenza simile a quella degli
Angeli. Gli Angeli sono entità personali, individuali e spirituali, la cui
caratteristica fondamentale consiste nello stare alla presenza di Dio per
servirlo presso di noi, come fedeli messaggeri della sua volontà. Il rapporto
filiale invece fa riferimento al rapporto di Gesù con il Padre. “Figli
di Dio ” quindi come lo è stato Gesù sulla terra e come lo è
ora in Cielo. In sintesi: con la morte si passa alla dimensione dell’eternità,
per una esistenza spirituale, simile a quella degli Angeli.
Dalle parole “quelli che sono
giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti”
comprendiamo che alla
morte segue immediatamente il giudizio personale, il confronto faccia a faccia
con il Signore Gesù nella sua autorità e potenza di Figlio di Dio. Sarà Lui a
decidere la nostra destinazione: il Paradiso cioè l’ammissione al rapporto filiale
con Dio, il Purgatorio, per purificarci dalle pene che ci siamo meritati con i
nostri peccati; l’inferno, per coloro che volontariamente e consapevolmente
hanno contravvenuto alla volontà di Dio. Perché il nostro Dio è il Dio dei
viventi, non dei morti.
Sono realtà importanti,
su cui è necessario riflettere con molta attenzione. Vivere pieni di Speranza
cambia sostanzialmente l’esistenza terrena. Significa dare un senso e un fine
alla vita senza i quali si rischia di cadere vittime del vuoto, del nulla e
della disperazione.
Buona Domenica!
don Marco Belladelli.
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