La notizia viene dall’avanzatissima Inghilterra, per molti ritenuta un modello sociale a cui ispirarsi. Pare che il governo del conservatore David Cameron stia pensando ad una tassa sul divorzio, con un duplice obiettivo: reperire fondi per il mantenimento e l’assistenza dei figli dei divorziati, un capitolo di spesa particolarmente oneroso per le casse dell’erario; scoraggiare la troppa facilità con cui oggi si rompono i matrimoni. Alle ultime elezioni politiche del 2010, uno dei
punti programmatici dell’attuale maggioranza prevedeva la cura della broken society (la società rotta) inglese, il cui punto debole è stato individuato proprio nella famiglia. Prima ancora che economica, si tratta di una fragilità morale e a pagarne le conseguenze sono soprattutto le giovani generazioni. In Inghilterra il 15% dei bambini cresce senza un padre, il 70% della criminalità giovanile ha alle spalle situazioni familiari problematiche. A questo si devono aggiungere i 20 miliardi di sterline necessari ogni anno per far fronte ai problemi sociali derivanti dalle separazioni. Pare che un provvedimento analogo sia già stato introdotto in Norvegia con ottimi risultati.E da noi le
cose come vanno, a quarant’anni esatti dall’introduzione del divorzio? Era il 1
Dicembre del 1970, quando veniva approvata
Qualche tempo
fa, in una sera di mezza estate, mentre passeggiavo su un incantevole lungomare
calabrese, l’amico che mi accompagnava, da molto tempo divorziato e da
altrettanto più o meno felicemente convivente, mi confidava che quando nel
’74 si votò per il referendum abrogativo del divorzio, aveva deciso
per il suo mantenimento, convinto che fosse la vera soluzione alle
difficoltà matrimoniali. Riflettendo a posteriori sulla
sua esperienza personale e su quella di molti altri, si era reso conto che
invece alla fine il danno era peggiore del rimedio. Il post-separazione
non è mai come lo si era immaginato. Le nuove unione si rivelano spesso più
problematiche del primo matrimonio. I primi a risentirne sono i figli, spesso
sballottati a destra e sinistra come pacchi. A questo si aggiunga, come ha
evidenziato soprattutto la recente crisi economica, che separazioni e divorzi
hanno aumentato il numero dei nuovi poveri, cioè di coloro che non ce la fanno
ad arrivare a fine mese. Ma il vero problema, che forse non abbiamo ancora
messo a fuoco in tutta la sua gravità, come sta facendo il governo inglese, è
la fragilità morale dei singoli, incapaci di assumersi la benché minima
responsabilità. Era il 1964, tempi non sospetti, quando Piero Ottone, non certo
un bigotto, sul ‘Corriere della Sera’
scriveva: “l’istituto del divorzio, anche se ha il vantaggio di sanare di tanto in tanto le situazioni
insostenibili, ha il gravissimo difetto di indebolire la fibra morale dei
cittadini. Esso fa di loro, uomini e donne, persone che fuggono davanti alle
difficoltà, e non persone che le affrontano con coraggio. Il danno si
ripercuote su tutta la vita sociale. L’indebolimento, inoltre, si ripete a ogni
successivo matrimonio di chi si sia già divorziato. L’esperienza dei paesi col
divorzio conferma quanto sa benissimo ogni studioso di psicologia. Le
difficoltà del primo matrimonio risorgono quasi immutate nel secondo, perché la
loro causa fondamentale non risiede nel partner, cioè nell’altro coniuge, bensì
in noi stessi.”. C’è di che riflettere.
Don Marco Belladelli.
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