Raffaello Sanzio, Sacra Famiglia, 1506, Ermitage di San Pietroburgo |
Il bambino cresceva, pieno di sapienza.
Dal Vangelo secondo Luca (2,22-40)
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, (Maria e Giuseppe) portarono il bambino (Gesù) a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui. Parola del Signore.
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Il Natale è diventato nel corso del tempo anche
festa della Famiglia più per ragioni culturali e sociali, che non per una
diretta implicazione di questo particolare aspetto della vita umana e sociale con
il mistero dell’incarnazione. E’ stato Papa Benedetto XV a istituire questa
festa liturgica e ad estenderla a tutta la Chiesa nel 1921, con lo scopo di
proporre alle famiglie cristiane l’esempio della Santa Famiglia di Nazareth
come modello a cui ispirarsi per affrontare e superare le sempre più numerose
problematiche del vivere in famiglia all’origine di quelle che oggi consideriamo
una vera e propria crisi di questa istituzione umana. Nonostante tutte le difficoltà ad essa
connesse, la Chiesa continua a considerare la famiglia il luogo privilegiato
per la formazione e lo sviluppo il più possibile armonico della persona umana e
per l’educazione alla fede delle giovani generazioni.
La
Santa Famiglia di Nazareth si presenta a noi in tutta la sua particolarità,
dovuta alla presenza di Gesù con cui i genitori, Maria e Giuseppe, devono
continuamente fare i conti. In questo loro compito del tutto unico sono aiutati
dalla loro fedeltà a Dio e dal rispetto delle leggi antiche come vediamo oggi
nel Vangelo, da cui deriva il reciproco rispetto umano e la comune adesione allo
specifico progetto divino nel quale sono stati personalmente coinvolti, cioè
l’incarnazione del Figlio di Dio e la custodia della sua crescita umana fino al
momento della sua manifestazione al mondo. Ogni giorno essi trovano la ragione prima
della loro comunione non tanto negli affetti e nei sentimenti, quanto nella
piena disponibilità alla volontà divina, come disse Maria all’Arcangelo
Gabriele in occasione dell’annunciazione: “Ecco
la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).
Sostenuti da questa fonte della loro fede, speranza e carità, insieme e
all’ascolto della parola e alla preghiera, riescono a superare tutte le
difficoltà e a vivere nella pace di Dio.
Senza
aver la presunzione di offrire facili ricette per tutti i problemi connessi con
la crisi della famiglia, a cominciare dalle difficoltà relazionali dei coniugi
per finire con quelle educative dei figli, la comune adesione di ciascun membro
al progetto di Dio, condiviso ogni giorno nella preghiera, penso possa essere
una buona base di partenza per prevenire, affrontare e superare nella vita
coniugale e nella famiglia tutti quei conflitti che molto spesso sono la causa
di rotture irreparabili. Buona Domenica!
don Marco Belladelli.
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