S.
Messa dell’aurora.
I pastori trovarono Maria, Giuseppe e il bambino.
Appena gli angeli si furono
allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo
dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto
conoscere».
Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato
nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato
detto loro.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Parola del Signore.
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Il brano evangelico della S. Messa dell’aurora è la continuazione di
quello della notte. Dopo l’apparizione e l’annuncio degli angeli, i pastori
vanno a vedere “questo avvenimento”. Lo riconoscono dal segno che era stato loro indicato, “Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva
nella mangiatoia”. Dal canto loro, i pastori riferiscano “ciò che del bambino era stato detto loro”,
suscitando lo stupore e la meraviglia di tutti i presenti. Il brano si conclude
con le lodi a gloria di Dio per tutto quello che hanno visto e riconosciuto
come opera sua.
Quella dei pastori è la nostra stessa
prospettiva. Anche a noi, come a loro, viene annunciato un avvenimento. Anche
noi, come loro, viene offerto lo stesso segno da interpretare: una madre, con accanto
a sé il figlio appena nato e il marito. Si tratta di riconoscere, attraverso il
segno, il valore ed il significato dell’evento che ci sta davanti. Tutto questo
è opera di Dio o è semplicemente “natura”?
Nonostante le luci, i colori, le emozioni e i
sentimenti più nobili con cui nel corso della storia abbiamo cercato di
camuffare la celebrazione del Natale a nostro uso e consumo, esso è e rimane
fondamentalmente un evento della fede. Ed è per quella fede che ogni anno, come
gli anonimi pastori di turno, siamo condotti davanti alla grotta di Betlemme,
per confrontarci con quel mistero: il bimbo avvolto in fasce è il Dio fatto
uomo, oppure no?
La via che ci viene indicata per entrare dentro
a questo mistero è sempre quella dell’umiltà e dell’amore. E’ lo stesso umile
atto di obbedienza chiesto ai nostri Progenitori, Adamo ed Eva, e che essi non
sono stati in grado di offrire a Dio. Per noi è diverso. Il segno che ci sta
davanti ci aiuta. Proviamo ad entrare in sintonia con questo bambino, che giace
in una mangiatoia, egli ci condurrà nel profondo di noi stessi, a quella
semplicità e umiltà che sono le vere dimensioni della nostra umanità, per un assenso
desideroso di conformarsi alla verità e alla grazia, gesto di affettuoso e
docile abbandono a Dio.
Come dice l’autore della lettera agli Ebrei, in
quel segno Dio ci parla: “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in
diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha
parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e
per mezzo del quale ha fatto anche il mondo.” (Ebr 1,1ss).
Nel silenzio che avvolge la grotta di Betlemme,
come l’abbiamo rappresentata nel presepe realizzato nelle nostre case,
ascoltiamo Dio che ci parla per mezzo del Figlio. In lui troviamo il senso
della vita, perché tutto ha in lui compimento, nel segno dell’amore, oltre i
nostri limiti e le nostre manchevolezze.
Siamo davanti a qualcosa che per grandezza e
straordinarietà può essere paragonato soltanto all’atto creativo. Come si può
tacere un annuncio tanto importante per tutti gli uomini? Come si fa a non
lasciarsi contagiare dalla gioia che sprigiona da questo giorno? Uniamoci ai
pastori, agli Angeli e ai Santi e a tutte le creature dell’universo nella lode
a Dio. Ancora Buon Natale! cari
amici, chiunque voi siate e dovunque vi trovate.
don Marco Belladelli
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