"Pie pellicane, Jesu Domine!" Canta la Chiesa nell'Adore te devote. |
XX Domenica del Tempo Ordinario, “B”.
La
mia carne è vero cibo, il mio sangue è vera bevanda.
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Parola del Signore.
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L’ultima affermazione di Gesù, già ascoltata domenica scorsa e
ripresa nel brano odierno: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.
Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia
carne per la vita del mondo” (6,51), è la ragione per una nuova obiezione da
parte dei Giudei: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. Dopo aver
superato le altre difficoltà poste dai suoi interlocutori, quali la necessità
della fede per comprendere il vero significato del segno del pane, il problema
della sua origine divina e il bisogno per ogni uomo di procurarsi un nutrimento
spirituale, oltre a quello materiale per il corpo, ora viene chiesto a Gesù
come sia possibile da parte sua farsi cibo di vita eterna per l’umanità. In
Giovanni, nonostante i cinque capitoli dedicati all’ultima cena (capp. 13-17),
non c’è il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, come nei tre sinottici e
in Paolo stesso (cfr 1 Cor 11,23ss), dove Gesù indica chiaramente come ciò sia
possibile attraverso il gesto sacramentale del pane spezzato e del calice di
vino condiviso con tutti i convitati, come viva memoria del sacrificio della sua
vita e come segni della nuova ed eterna alleanza, che sostituisce quella
antica. Anche il solo riferimento ad un tale evento in questo contesto, sarebbe
stato incomprensibile sia per chi lo stava ad ascoltare allora, che per i
lettori di oggi. Del resto, questo confronto tra lui e i Giudei ha avuto
origine dal fatto che coloro che lo hanno inseguito fin qui a Cafarnao hanno “mangiato
di quei pani” e si sono “saziati”. Gesù non fa altro che
ribadire in modo inequivocabile per tutti qual è il significato, il valore e
l’effetto di questo mangiare e bere: “Chi mangia la mia carne
e beve il mio sangue dimora in me e io in lui”. Per mezzo del gesto del
mangiare e del bere si realizza una unione tra Gesù ed i discepoli, descritta come
un “dimorare” l’uno nell’altro reciprocamente: il discepolo è
totalmente assimilato a Cristo e il Cristo vive totalmente nella persona del
discepolo, il “Christus totus”. Attraverso le parole di Gesù e il
segno del pane ci viene rivelata una realtà ed una possibilità a noi del tutto
sconosciuta ed inaccessibile, cioè il dono della vita di comunione con Dio per
mezzo di Cristo: “Come … io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me
vivrà per me”. Siamo al punto d’arrivo
di tutto il discorso. E’ importante riflettere sia sulla grandezza
straordinaria del sacramento dell’Eucaristia, sia sulla realtà di comunione che
Gesù ci ha rivelato. La sostanza e l’assoluta novità dell’esperienza cristiana
è riassunta in questo “dimorare in me e io in lui”. Il nostro
credere non consiste quindi nel far nostra una particolare visione del mondo,
né tanto meno nell’assoggettarsi ad una specialissima dottrina morale, oppure
inseguire chissà quali illusorie promesse. Si tratta piuttosto di acconsentire
a questa unione, che si realizza soprattutto attraverso il sacramento
dell’Eucaristia, per mezzo del quale Gesù si unisce a noi e rende la nostra
vita “eterna”, non soltanto perché durevole, per sempre, ma soprattutto perché partecipe
della vita stessa di Dio. Buona
Domenica!
DON MARCO BELLADELLI.
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