domenica 24 dicembre 2017

Il Vangelo della salute del 25/12/2017


Solennità del Natale di nostro Signore Gesù Cristo
S. Messa della Notte
Oggi è nato per voi il Salvatore
Dal Vangelo secondo Luca   (2,1-14).
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». Parola del Signore.
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La liturgia del giorno di Natale si sviluppa in quattro celebrazioni diverse: della vigilia, della notte, dell’aurora e del giorno. Tralasciamo quella della vigilia e cominciamo con il commento della S. Messa della notte.
La famosa canzone di S. Alfonso Maria de’ Liguori “Quanno nascette Ninno”, da cui fu tratta la più popolare Tu scendi dalle stelle, attesta l’antica la tradizione di recarsi in chiesa nel cuore della notte per celebrare il mistero della nascita di Gesù. Quella notte -  dice S. Alfonso - era così luminosa che “pareva miezojuorno...”.
Anche noi continuiamo a uscire di casa nel cuore della notte, sfidando le tenebre, per accogliere la luce del mistero nascosto da secoli, ma ora manifestato ai suoi santi (Col 1,26). Seguiamo Giuseppe, che in ossequio al bando imperiale del famoso censimento, secondo il quale ognuno doveva farsi registrare nella sua città di origine, “dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta”.
Cesare Augusto con la sua decisone ha determinato le condizioni della nascita di Gesù, però in tutta la sua grandezza e potenza non si è accorto di nulla, e cioè che in quell’oscuro e lontano angolo dell’impero romano si stava realizzando l’evento più grande che la storia abbia mai conosciuto. In quella nascita, apparentemente comune a quella di tanti uomini, si compivano le promesse dei Profeti tanto attese dal popolo d’Israele.
L’Evangelista Luca descrive la nascita di Gesù con una semplicità disarmante: “Maria … diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.”. Tre frasi di cronaca apparentemente incapaci di rivelare un mistero tanto grande. Quanto inchiostro si spreca oggi, nell’era della comunicazione per eccellenza, per eventi che lasciano il tempo che trovano. Fari accesi e microfoni aperti con frotte di cronisti in stato d’assedio per suscitare curiosità morbosa, qualche emozione e poi più nulla. Avanti il prossimo …  
Da parte di san Luca invece nessuna enfasi, né retorica, ma semplicemente il mistero di Maria che ha partorito suo figlio, Il primogenito” di tutta la creazione (Col 1,15), come dirà S. Paolo, colui che era prima di me (Gv 1,30), come ci ha detto il Battista nelle Domeniche di Avvento, colui che era fin dal principio (Gv 1,1), come dice oggi l’evangelista Giovanni nel suo prologo. Insomma, non un uomo qualsiasi, ma il Figlio di Dio.
Le fasce servono per proteggerlo. Un neonato non può provvedere a se stesso. Nella sua fragilità ha bisogno di essere nutrito, lavato e soprattutto  amorevolmente custodito. Anche il Figlio di Dio ha bisogno di tutto questo. Quelle fasce sono anche annuncio del sudario e delle altre bende che avvolgeranno il suo cadavere dopo la morte, dalle quali sarà liberato non per opera dell’uomo.
In attesa di farsi cibo di vita eterna per tutta l’umanità (Gv 6,51), dorme nella mangiatoia, in un anfratto di quella grotta, dove Maria e Giuseppe hanno trovato rifugio per un evento tanto importante. Per terra avrebbe corso il rischio di essere calpestato dagli animali. In quella mangiatoia il Figlio di Dio sta sospeso a mezz’aria, tra cielo e terra, perché per lui e i suoi genitori “non c’era posto nell’alloggio”. Un segno dell’ostilità terrena che fin da ora lo circonda e lo minaccia. Come non ha trovato posto neanche nella più malandata locanda della terra, così anche oggi il Figlio di Dio trova davanti a se ancora tanta indifferenza ed ostilità.
Gli Angeli indicano ai pastori proprio le fasce e la mangiatoia come segni per riconoscere il “salvatore, il Cristo Signore”. Fragilità e ostilità restano anche per noi i segni attraverso i quali riconoscere l’Emanuele, il Dio con noi.
Nella luce di questo evento Cielo e terra si congiungono, ma soprattutto Dio e l’uomo si uniscono molto di più di quanto lo siano stati fin dall’inizio della creazione. Affrettiamoci anche noi, cari amici, e guardiamoci bene intorno, perché anche oggi là dove c’è fragilità e ostilità ingiustificata contro il Bene troveremo il Dio fatto uomo, il nostro Salvatore. Allora il buio della notte si trasformerà nella luce splendente di mezzogiorno!
Buon Natale cari amici, con tutto il cuore !!!
don Marco Belladelli


Solennità del Natale di nostro Signore Gesù Cristo
S. Messa dell’aurora
I pastori trovarono Maria, Giuseppe e il bambino
Dal Vangelo secondo Luca (2,15-20) 
Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere».
Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.  
Parola del Signore.
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Il brano evangelico della S.  Messa dell’aurora è la continuazione di quello della notte. Dopo l’apparizione e l’annuncio degli angeli, i pastori vanno a vedere “questo avvenimento”. Lo riconoscono dal segno che era stato loro indicato, “Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia”. Dal canto loro, i pastori riferiscano “ciò che del bambino era stato detto loro”, suscitando lo stupore e la meraviglia di tutti i presenti. Il brano si conclude con le lodi a gloria di Dio per tutto quello che hanno visto e riconosciuto come opera sua.
Quella dei pastori è la nostra stessa prospettiva. Anche a noi, come a loro, viene annunciato un’avvenimento. Anche noi, come loro, viene offerto lo stesso segno da interpretare: una madre, con accanto a sé il figlio appena nato e il marito. Si tratta di riconoscere, attraverso il segno, il valore ed il significato dell’evento che ci sta davanti. Tutto questo è opera di Dio o è semplicemente “natura”?
Nonostante le luci, i colori, le emozioni e i sentimenti più nobili con cui nel corso della storia abbiamo cercato di camuffare la celebrazione del Natale a nostro uso e consumo, esso è e rimane fondamentalmente un evento della fede. Ed è per quella fede che ogni anno, come gli anonimi pastori di turno, siamo condotti davanti alla grotta di Betlemme, per confrontarci con quel mistero: il bimbo avvolto in fasce è il Dio fatto uomo, oppure no?
La via che ci viene indicata per entrare dentro a questo mistero è sempre quella dell’umiltà e dell’amore. E’ lo stesso umile atto di obbedienza chiesto ai nostri Progenitori, Adamo ed Eva, e che essi non sono stati in grado di offrire a Dio. Per noi è diverso. Il segno che ci sta davanti ci aiuta. Proviamo ad entrare in sintonia con l’umiltà di questo bambino, che giace in una mangiatoia. Egli ci condurrà nel profondo di noi stessi, a quella semplicità e umiltà che sono le vere dimensioni della nostra umanità, per un assenso desideroso di conformarsi alla verità e alla grazia, gesto di affettuoso e docile abbandono a Dio.
Come dice l’autore della lettera agli Ebrei, in quel segno Dio ci parla: “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo.” (Ebr 1,1ss).
Siamo davanti a qualcosa che per grandezza e straordinarietà può essere paragonato soltanto all’atto creativo. Come si può tacere un annuncio tanto importante per tutti gli uomini? Come si fa a non lasciarsi contagiare dalla gioia che sprigiona da questo giorno? Uniamoci ai pastori, agli Angeli e ai Santi e a tutte le creature dell’universo nella lode a Dio. Ancora Buon Natale! cari amici, chiunque voi siate e dovunque vi trovate. 
don Marco Belladelli

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Solennità del Natale di nostro Signore Gesù Cristo
S. Messa del giorno
Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi
Dal Vangelo secondo Giovanni  (1,1-18)
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.        
Parola del Signore.
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Il prologo del vangelo di Giovanni è uno dei brani più alti della letteratura neotestamentaria, sia dal punto di vista teologico che da quello squisitamente letterario. Una riflessione che mette l’interlocutore in rapporto con la totalità del mistero di Cristo, mistero che l’Evangelista ha personalmente sperimentato e di cui si è fatto annunciatore.
Del prologo mi limito a prender in considerazione due punti, il v. 14 e i vv. 12-13.
Il v. 14 è il centro di tutto: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. In questa affermazione Giovanni sintetizza la vicenda storica di Gesù e quello che lo ha preceduto: le origini intratrinitarie, la sua realtà personale, il mandato ricevuto dal Padre, origine stessa della sua incarnazione, la sua missione, l’accoglienza e il rifiuto che ha incontrato. L’umanità di Gesù, la sua carne, è la via attraverso cui il Verbo della vita si rivela al mondo. Colui che fin dal principio era presso Dio, perché Dio stesso, proprio Lui, l’Unigenito del Padre, ha abitato tra noi, cioè ha vissuto con noi, ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra povera realtà umana. Non c’è più niente della nostra umanità che gli possa essere estraneo, da qualsiasi punto di vista, a qualsiasi livello. 
Vedere la sua gloria significa due cose. Prima di tutto che attraverso questo “svuotamento” (Fil 2,7), Dio manifesta pienamente se stesso, perché tutti conoscano Lui e Colui che ha mandato e un giorno  ogni lingua proclami:"Gesù Cristo è Signore!", a gloria di Dio Padre.” (Fil 2,11). L’altro aspetto collegato al “vedere la gloria” ce lo ricorda S. Ireneo, quando dice: “La gloria di Dio è l’uomo che vive”. Gesù ha vissuto la nostra umanità, mostrandone tutta la sua straordinaria potenzialità vitale in essa presente. Perdonate la banalità dell’esempio: un bolide di formula uno ha bisogno di un grande pilota, di uno staff specializzato che lo supporti e di un di un circuito adeguato, per poterne esprimere tutte le sue potenzialità, e non del traffico di una grande città nell’ora di punta. Chi meglio del Verbo di Dio poteva mostrarci tutto quanto potenzialità è presente nella realtà della vita umana? Ed ecco lo stupore conclusivo: “pieno di grazia e di verità”. La vita vissuta secondo Dio si percepisce come una realtà totalmente “graziosa”, nel senso di assolutamente gratuita, donata ed immeritata per chiunque, e altrettanto piena della luce e della potenza propria della Verità, che si afferma in quanto tale, di fronte alla quale non esistono più né dubbi, né incertezze, né inquietudini.
Dopo queste riflessioni, il Natale va considerato come Dio che ritiene in tutto e per tutto degna di sé la nostra condizione umana, dalla nascita alla morte, nella sua grandezza e nella sua miseria. A questa prima e fondamentale considerazione si unisce l’altro aspetto del mistero dell’incarnazione, descritta nei vv. 12 e 13, cioè la partecipazione alla vita divina, offerta a tutti gli uomini, specialmente a coloro che hanno la grazia di essere cristiani: “A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.”.
Andiamo ad adorare Gesù Bambino alla grotta di Betlemme per riscoprire questa nostra condizione filiale nei confronti di Dio. Essa va intesa come un contributo nuovo ed insperato per l’umanità, addirittura superiore a quanto abbiamo ricevuto nell’atto creativo-generativo.
Dopo la nascita di Gesù, essere figli di Dio significa per ciascuno uomo essere partecipe della realtà stessa di Dio (cfr Evangelium vitae n. 30), per la quale è vinto e superato ogni principio e dinamismo di perdizione e/o corruzione operante nella storia dell’umanità, dal peccato di Adamo in poi, e nello stesso è comunicata, nella dimensione propria, la vita divina, che si manifesterà in modo pieno e stabile oltre la dimensione storica.
Sto dicendo cose più difficili del solito e chiedo scusa se risulto astruso e incomprensibile. Sono più che mai convinto che la sfida a cui è chiamata la Chiesa nel prossimo futuro, davanti ad una modernità ostile che ogni giorno conquista spazi culturalmente sempre più ampi e significativi,  si possa vincere soltanto se si è capaci di collegare gli uomini e le donne di oggi con il Mistero del Dio fatto uomo e del Dio misericordioso.
L’augurio che faccio è che ciascuno si lasci “sedurre” da questo grande Mistero. Parafrasando S. Paolo, lo dico per la Chiesa, ma anche per ciascuno di voi.
Ancora: Buon Natale a tutti !!!
don Marco Belladelli.

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