APPROVATE LE D.A.T. O TESTAMENTO BIOLOGICO
Ieri le televisioni e oggi i giornali nazionali danno grande rilievo all'approvazione della legge sulle D.A.T. , cioè le 'Dichiarazioni Anticipate di Trattamento', più comunemente note come "Testamento biologico". Presentata come l'ennesima conquista della civiltà dei diritti e come un passo avanti di tutta la società italiana, contro l'oscurantismo di chi invece pretenderebbe di mortificare la libertà individuale, personalmente la considero come un ulteriore passo verso una umanità sempre più individualista, prigioniera della sua solitudine e completamente destrutturata da relazioni interpersonali sane. A questo proposito, ripropongo quello che scrissi circa otto anni fa, quando iniziò la discussione di questa legge in Parlamento.
E’
una questione di vita
o
di morte!
Un
anno fa, esattamente il 9 Febbraio 2009, moriva nella clinica Città di Udine
Eluana Englaro, dopo essere stata forzatamente privata della nutrizione e
dell’idratazione artificiale, per volontà del padre, autorizzato dalle
competenti autorità giudiziarie. Il caso, che ha diviso l’Italia in una
polemica aspra e
lacerante, ha avuto come protagonista unico ed irriducibile il
signor Beppino Englaro, il quale dopo l’incidente stradale del 18 Gennaio 1992,
causa dello stato vegetativo persistente di Eluana, ha condotto una estenuante
battaglia legale perché si lasciasse morire la figlia, motivata da una
presunta, e mai dimostrata, volontà espressa da Eluana stessa. Ricordiamo tutti
la provocatoria raccolta di bottiglie d’acqua sul sagrato del Duomo di Milano,
promossa da Giuliano Ferrara e dal suo quotidiano “Il Foglio”, come pure lo scontro istituzionale tra Presidenza della
Repubblica e Governo a proposito del decreto d’urgenza emanato dal Consiglio
dei Ministri per salvare la vita di Eluana e mai entrato in vigore, perché il
Presidente Napolitano rifiutò la controfirma.
Dopo
queste travagliate vicende, il Parlamento ha deciso di porre mano ad una legge
sul fine vita, dal titolo: “Disposizioni
in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni
anticipate di trattamento”. Questa legge, più comunemente conosciuta come
del testamento biologico o di vita,
dopo un primo passaggio molto burrascoso al Senato, arriverà nei prossimi mesi
alla Camera dei Deputati, dove il dibattito si preannuncia fin da ora ancor più
focoso. Nonostante il tentativo del legislatore di mescolare le carte,
allargando l’orizzonte a vari temi, come l’alleanza terapeutica e il consenso
informato, due rimangono i punti davvero centrali della questione: 1. le
dichiarazioni anticipate di trattamento, 2. come regolarsi nel caso di un
soggetto incosciente, lo si lascia morire o lo si cura perché continui a vivere,
eventualmente anche contro o a prescindere da una volontà precedentemente
manifestata. Questo secondo aspetto riguarda esclusivamente il medico, in
quanto s’intende regolarne il comportamento, quando si trova di fronte ad un
paziente in grave pericolo di vita e incapace in alcun modo di esprimersi.
Infatti all’art. 1 lettera f) la legge “garantisce”
che “in caso di pazienti in stato di fine
vita o in condizione di morte prevista come imminente, il medico debba
astenersi da trattamenti sanitari straordinari, non proporzionati, non efficaci
o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente od
agli obiettivi di cura.” Come si evince dal testo, non si parla più di
accanimento terapeutico, ma, con la “garanzia”
legalmente tutelata, si fa assoluto
divieto al medico di praticare un qualsiasi tipo di intervento finalizzato a
mantenere in vita questi soggetti. Di fatto si stanno creando i presupposti per
introdurre in modo tacito e strisciante l’eutanasia passiva, per tutti quei
casi dove fino ad oggi ci si è comportati esattamente al contrario, senza che
qualcuno abbia mai neanche lontanamente pensato all’accanimento terapeutico.
A
questo proposito vi racconto un episodio vissuto in prima persona nella mia
esperienza ospedaliera. Una donna di quarant’anni, madre di due figli,
sottoposta ad intervento chirurgico d’urgenza, dal quale era uscita in
condizioni disperate, tanto che il marito era già pronto a firmare il consenso
per la donazione degli organi e il fratello, tra l’altro lui pure medico, nella
sala d’attesa della rianimazione inveiva contro l’accanimento terapeutico
praticato, a suo dire, dai colleghi che avevano in cura la sorella. Il
rianimatore di turno non volle sentire ragione e si piazzò per 24 ore
ininterrottamente accanto al letto della paziente. Ad distanza di oltre dieci
anni da quei fatti, la signora oggi gira ancora per Roma e gode di ottima
salute. Se ci si fosse attenuti alle “garanzie”
della legge in discussione in Parlamento, il medico avrebbe dovuto soltanto
prepararsi a firmare il certificato di morte.
Per
quanto riguarda invece le Dichiarazioni
Anticipate di Trattamento (le DAT), cioè il tanto reclamato “Testamento di vita”, il punto
fondamentale si cui si sta discutendo è quello di non creare le condizione per
una “disponibilità” della vita
equivalente ad un suicido assistito o addirittura a vere e proprie pratiche di
eutanasia attiva. Tanto per rifarci ai recenti casi mediatici, manipolati ad
arte per suscitare nell’opinione pubblica quell’emotività incontrollata che ben
conosciamo, a scapito della doverosa razionalità, necessaria in materia, ci si
chiede: è giusto staccare il respiratore, come è successo per Giorgio Welby? È
giusto interrompere l’idratazione e la nutrizione, come è stato autorizzato per
Eluana? L’altro problema legato alle DAT è: com’è possibile informare in modo
completo ed esauriente una persona sana, che vuole stilare il proprio
testamento biologico, di tutto quello che gli può capitare, perché decida ora
che cosa eventualmente accettare o rifiutare delle possibili cure a cui sarà
sottoposta? E’ vero che la legge prevede la possibilità di modificare o
ritirare del tutto le proprie disposizioni. Ma come si fa a vivere pensando
continuamente a come vorremmo morire? Chi ci garantisce poi che in caso di
malattia grave, invece di essere curati, non verremo immediatamente inclusi tra
coloro da lasciar morire, prima ancora di tentare tutto il possibile per
salvarli? Anche perché il legislatore ha previsto la figura del “fiduciario”,
cioè colui che deve tutelare il paziente incosciente, perché non si agisca in
contrasto con quanto egli ha disposto. Insomma una specie di cane da guardia,
da sguinzagliare contro i medici. Quanto
è stato fin qui detto, credo basti a suscitare quella benedetta inquietudine,
capace di smuovere la nostra inerzia ad interessarsi accuratamente di quanto
vogliono propinarci i nostri politici.
Perché questa volta è davvero una questione di vita o di morte.
don
Marco Belladelli
Febbraio 2010
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