venerdì 15 dicembre 2017

COSTUME E SOCIETA'/6

APPROVATE LE D.A.T. O TESTAMENTO BIOLOGICO
Ieri le televisioni e oggi i giornali nazionali danno grande rilievo all'approvazione della legge sulle D.A.T. , cioè le 'Dichiarazioni Anticipate di Trattamento', più comunemente note come "Testamento biologico". Presentata come l'ennesima conquista della civiltà dei diritti e come un passo avanti di tutta la società italiana, contro l'oscurantismo di chi invece pretenderebbe di mortificare la libertà individuale, personalmente la considero come un ulteriore passo verso una umanità sempre più individualista, prigioniera della sua solitudine e completamente destrutturata da relazioni interpersonali sane. A questo proposito, ripropongo quello che scrissi circa otto anni fa, quando iniziò la discussione di questa legge in Parlamento. 
E’ una questione di vita
o di morte!
Un anno fa, esattamente il 9 Febbraio 2009, moriva nella clinica Città di Udine Eluana Englaro, dopo essere stata forzatamente privata della nutrizione e dell’idratazione artificiale, per volontà del padre, autorizzato dalle competenti autorità giudiziarie. Il caso, che ha diviso l’Italia in una polemica aspra e
lacerante, ha avuto come protagonista unico ed irriducibile il signor Beppino Englaro, il quale dopo l’incidente stradale del 18 Gennaio 1992, causa dello stato vegetativo persistente di Eluana, ha condotto una estenuante battaglia legale perché si lasciasse morire la figlia, motivata da una presunta, e mai dimostrata, volontà espressa da Eluana stessa. Ricordiamo tutti la provocatoria raccolta di bottiglie d’acqua sul sagrato del Duomo di Milano, promossa da Giuliano Ferrara e dal suo quotidiano “Il Foglio”, come pure lo scontro istituzionale tra Presidenza della Repubblica e Governo a proposito del decreto d’urgenza emanato dal Consiglio dei Ministri per salvare la vita di Eluana e mai entrato in vigore, perché il Presidente Napolitano rifiutò la controfirma.
Dopo queste travagliate vicende, il Parlamento ha deciso di porre mano ad una legge sul fine vita, dal titolo: “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento”. Questa legge, più comunemente conosciuta come del testamento biologico o di vita, dopo un primo passaggio molto burrascoso al Senato, arriverà nei prossimi mesi alla Camera dei Deputati, dove il dibattito si preannuncia fin da ora ancor più focoso. Nonostante il tentativo del legislatore di mescolare le carte, allargando l’orizzonte a vari temi, come l’alleanza terapeutica e il consenso informato, due rimangono i punti davvero centrali della questione: 1. le dichiarazioni anticipate di trattamento, 2. come regolarsi nel caso di un soggetto incosciente, lo si lascia morire o lo si cura perché continui a vivere, eventualmente anche contro o a prescindere da una volontà precedentemente manifestata. Questo secondo aspetto riguarda esclusivamente il medico, in quanto s’intende regolarne il comportamento, quando si trova di fronte ad un paziente in grave pericolo di vita e incapace in alcun modo di esprimersi. Infatti all’art. 1 lettera f) la legge “garantisce” che “in caso di pazienti in stato di fine vita o in condizione di morte prevista come imminente, il medico debba astenersi da trattamenti sanitari straordinari, non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente od agli obiettivi di cura.” Come si evince dal testo, non si parla più di accanimento terapeutico, ma, con la “garanzia” legalmente tutelata, si fa  assoluto divieto al medico di praticare un qualsiasi tipo di intervento finalizzato a mantenere in vita questi soggetti. Di fatto si stanno creando i presupposti per introdurre in modo tacito e strisciante l’eutanasia passiva, per tutti quei casi dove fino ad oggi ci si è comportati esattamente al contrario, senza che qualcuno abbia mai neanche lontanamente pensato all’accanimento terapeutico.
A questo proposito vi racconto un episodio vissuto in prima persona nella mia esperienza ospedaliera. Una donna di quarant’anni, madre di due figli, sottoposta ad intervento chirurgico d’urgenza, dal quale era uscita in condizioni disperate, tanto che il marito era già pronto a firmare il consenso per la donazione degli organi e il fratello, tra l’altro lui pure medico, nella sala d’attesa della rianimazione inveiva contro l’accanimento terapeutico praticato, a suo dire, dai colleghi che avevano in cura la sorella. Il rianimatore di turno non volle sentire ragione e si piazzò per 24 ore ininterrottamente accanto al letto della paziente. Ad distanza di oltre dieci anni da quei fatti, la signora oggi gira ancora per Roma e gode di ottima salute. Se ci si fosse attenuti alle “garanzie” della legge in discussione in Parlamento, il medico avrebbe dovuto soltanto prepararsi a firmare il certificato di morte.
Per quanto riguarda invece le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (le DAT), cioè il tanto reclamato “Testamento di vita”, il punto fondamentale si cui si sta discutendo è quello di non creare le condizione per una “disponibilità” della vita equivalente ad un suicido assistito o addirittura a vere e proprie pratiche di eutanasia attiva. Tanto per rifarci ai recenti casi mediatici, manipolati ad arte per suscitare nell’opinione pubblica quell’emotività incontrollata che ben conosciamo, a scapito della doverosa razionalità, necessaria in materia, ci si chiede: è giusto staccare il respiratore, come è successo per Giorgio Welby? È giusto interrompere l’idratazione e la nutrizione, come è stato autorizzato per Eluana? L’altro problema legato alle DAT è: com’è possibile informare in modo completo ed esauriente una persona sana, che vuole stilare il proprio testamento biologico, di tutto quello che gli può capitare, perché decida ora che cosa eventualmente accettare o rifiutare delle possibili cure a cui sarà sottoposta? E’ vero che la legge prevede la possibilità di modificare o ritirare del tutto le proprie disposizioni. Ma come si fa a vivere pensando continuamente a come vorremmo morire? Chi ci garantisce poi che in caso di malattia grave, invece di essere curati, non verremo immediatamente inclusi tra coloro da lasciar morire, prima ancora di tentare tutto il possibile per salvarli? Anche perché il legislatore ha previsto la figura del “fiduciario”, cioè colui che deve tutelare il paziente incosciente, perché non si agisca in contrasto con quanto egli ha disposto. Insomma una specie di cane da guardia, da sguinzagliare contro i medici. Quanto è stato fin qui detto, credo basti a suscitare quella benedetta inquietudine, capace di smuovere la nostra inerzia ad interessarsi accuratamente di quanto vogliono propinarci i nostri politici. Perché questa volta è davvero una questione di vita o di morte.
don Marco Belladelli
Febbraio 2010


Nessun commento:

Posta un commento