Gesù, nostro contemporaneo
Febbraio, per la Chiesa è tempo
di grandi convegni. Non era ancora terminato quello dedicato ad arginare la piaga
della pedofilia, svoltosi presso l’Università Gregoriana, che nei giorni tra il
9 e l’ 11 già si accendevano le luci su un’altra ribalta internazionale,
organizzata questa volta dalla Conferenza Episcopale Italiana presso
l’auditorium di via della Conciliazione, dal titolo “Gesù nostro contemporaneo. Dopo il successo di “Con Dio o senza Dio tutto
cambia” del Dicembre
2009 (vedi
LA VOCE DI MN
del 17/12/09), il Comitato del Progetto Culturale presieduto dal cardinal Ruini
ha chiamato a confronto Cardinali, Arcivescovi, Ministri della Repubblica, Docenti
universitari ed esperti di tutto il mondo, anche di diversa confessione e religione,
su un punto quanto mai fondamentale per il presente e il futuro della fede
cristiana, e cioè l’incontro con Gesù risorto, vivo e presente in mezzo a noi,
Signore della storia. Il convegno si è aperto con la prolusione del cardinal
Bagnasco, Presidente dei Vescovi italiani, il quale dopo aver evidenziato il logico
sviluppo tematico da Dio a Gesù Cristo, faceva osservare con sorpresa come oggi
nel mondo occidentale si vada sempre più diffondendo una certa reticenza nei
confronti di quest’ultimo. Molto interessanti gli interveti di due illustri
teologi. Il biblista protestante tedesco, Klaus Berger, ha affermato come in
Gesù gli uomini sono stati liberati per sempre dalla invisibilità di Dio, e in
quanto immagine vivente di Dio, il Nazzareno è nostro contemporaneo. Il
milanese, Pierangelo Sequeri, ha sviluppato invece il tema della prossimità di
Dio, principio che, a suo dire, obbliga la Chiesa a prendere le distanze prima
di tutto dalla tentazione di collocarsi e compromettersi al livello della sovranità
politica, e in secondo luogo a non creare conflitti religiosamente alimentati. Ha
concluso, indicando come sfida che sta davanti a noi oggi, quella di avere fede
nel legame che unisce spirito e istituzione, elemento fondamentale che
caratterizza il cristianesimo. Laddove questo legame viene meno, si finisce per
ricreare le condizioni che portano sempre e soltanto verso il Calvario per il
povero Cristo di turno. Pieno di suggestioni l’intervento del giovane insegnate
e scrittore palermitano, Alessandro D’Avenia. Chiamato ad una riflessione sul
tema: “I giovani e Gesù”, con la sua freschezza di spirito e di linguaggio ha
evocato in modo incisivo come a Gesù non importassero i grandi numeri, il
consenso e il successo, ma soltanto gli uomini e le donne che incontrava in
quanto persone, e come sapesse renderli liberi, restituendoli all’amore perduto
del Padre. Nel suo intervento conclusivo il cardinal Ruini, pur riconoscendo
che quasi sempre in tutto il mondo quando si parla di Dio si fa riferimento al
Dio di Gesù Cristo, si è interrogato sul rischio reale che oggi al Gesù vivo e
vero della fede, si vada gradualmente sostituendo un Gesù immaginario,
risultato di una brutta letteratura o addirittura fabbricato a nostro uso e
consumo. L’unica risposta concreta possibile a questa domanda, dice il
porporato, sta in un ritorno generale alla missione, come fu all’inizio,
duemila anni fa. Il convegno può dirsi riuscito per il grande contributo che in
pochi giorni ha dato all’approfondimento di un tema che da 250 anni a questa
parte è al centro del dibattito culturale dell’occidente, e cioè l’irrisolta
questione del rapporto tra il Gesù della fede e il Gesù storico. Visto il tema,
tra gli interventi che ho ascoltato, mi sarei aspettato che qualcuno raccogliesse
l’orientamento di Papa Ratzinger, secondo il quale il Cristo dei Vangeli è più
sensato e convincente di qualsiasi altra ipostesi storico-scientifica, come ha
scritto cinque anni fa nell’introduzione al 1° volume del suo “Gesù di Nazaret
”. E sempre Benedetto XVI, nella lettera
d’indizione dell’ Anno della fede, ricorda che la Chiesa, prima della chiamata generale
alla missione, ha bisogno di vera conversione. Si tratta di sviste o di
omissis?
don Marco Belladelli.
Nessun commento:
Posta un commento