Paolo Veronese, La risurrezione della figlia di Giairo, 1546, Louvre - Paris. |
XIII Domenica del Tempo Ordinario, “B”.
Fanciulla,
io ti dico: Alzati!
Dal Vangelo secondo Marco (5, 21-43).
In quel tempo, essendo Gesù passato
di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli
stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il
quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La
mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e
viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare. Parola del Signore.
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Dopo la tempesta sedata e la guarigione del pagano indemoniato di Gerasa, Marco ci racconta due miracoli includendoli uno nell’altro, un legame probabilmente storico, visto il loro incastro. Gesù è appena sbarcato a Cafarnao, quando viene immediatamente chiamato dal capo della sinagoga per guarire la figlia gravemente malata, come estremo tentativo per salvarla. Lungo la strada una donna affetta da gravi problemi ginecologici si fa largo tra la folla per arrivare fino a Gesù e toccare il suo mantello, sperando pure lei in una in una guarigione impossibile, considerata la sua situazione. Entrambi gli episodi sono manifestazione della potenza divina, uno più straordinario dell’altro. I benefici che ne derivano in entrambi i casi sono dovuti alla fede e si concludono con un insieme di sentimenti di stupore e di timore religioso che prende i protagonisti davanti alla manifestazione della potenza divina: “La donna impaurita e tremante” (v.33); … “Essi furono presi da grande stupore” (v.42). Nel racconto di Marco c’è spazio anche per la folla, che cerca Gesù, lo aspetta, lo segue ovunque, da una sponda all’altra del lago, non lo abbandona mai, come se non fosse mai sazia della sua presenza, della sua parola e della sua azione. Un rapporto, quello della folla con Gesù, più istintivo che consapevole, fondato sulla certezza di poter trovare in lui l’aiuto di cui ciascuno ha bisogno, come è stato per Gìairo e per l’Emorroissa.
Mentre il capo della sinagoga si prostra e prega Gesù con insistenza perché guarisca la figlia ormai moribonda, ritenendolo l’unico capace di porre rimedio alle sue gravissime condizioni di salute, la donna malata si avvicina a lui furtivamente, a causa della sua condizione di impurità dovute alle continue perdite di sangue di cui era affetta, con la speranza che soltanto lui avrebbe potuto guarirla. E Gesù non si sottrae ad entrambe le richieste, che vedono in lui la loro unica possibilità di salvezza, segue docilmente Gìairo fino a casa sua e acconsente al gesto estremo della donna. Quest’ultima si ritrova immediatamente guarita e a Gìairo, che ammonito da Gesù non perde la fede neanche all’annuncio della morte della figlia, gli viene riconsegnata la figlia. Siamo davanti a due esempi di “fede che salva”, una fede che, oltre le situazioni che stanno vivendo e le apparenze umane, vede in Gesù il Figlio di Dio e confida nella potenza divina che opera in lui. Attraverso il timore di aver fatto qualcosa di scorretto, e lo stupore di aver ottenuto molto di più di ciò che si aspettavano dalle loro richieste, entrambi i protagonisti vengono a trovarsi davanti al mistero della persona di Gesù nel quale si manifesta l’onnipotenza creatrice e salvatrice di Dio stesso. La “fede che salva” non ha nulla a che vedere con un generico senso religioso, naturalmente presente in ogni uomo. La fede cristiana deve essere “fede che salva”, mettendo al centro la persona e il mistero di Gesù, insieme alla certezza che in lui Dio stesso ci ascolta e ci soccorre, in tutta la sua onnipotente misericordia. La “fede che salva” è un rapporto vivo con Gesù, oggi qui presente per risvegliare in ciascuno di noi quella stessa fede, profonda e radicale, capace di riconoscere la manifestazione potente di Dio che salva e dona la vita a chiunque ricorra a lui.
Buona
Domenica!
don
Marco Belladelli.
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