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Giorgio de Chirico, “Cristo e la tempesta”, Olio su tela, 1914, Musei Vaticani, Roma |
XII Domenica del Tempo
Ordinario, “B”
Chi è costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?
Dal
Vangelo secondo Marco (4,35-41).
In quel
giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra
riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca.
C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto
che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora
lo svegliarono e gli
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?». Parola del Signore.
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“Chi è
costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?” è la domanda con cui
si conclude il brano evangelico proposto oggi dalla liturgia, un interrogativo
attorno al quale l’evangelista Marco sviluppa tutta la sua narrazione.
All’inizio del suo scritto egli ha già fornito una risposta molto precisa in
proposito, dichiarando apertamente di quale buona notizia voglia parlarci: “Inizio
del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (1,1), professione di fede che troverà
conferma nelle parole del Centurione, quando sotto la croce afferma: “Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!”
(15,39). Ma prima di arrivare alla piena adesione, lo stupore suscitato dal
Signore Gesù ci accompagna nel cammino di fede.
Terminato l’insegnamento con le parabole sul
regno di Dio e congedata la folla, Gesù decide di attraversare il lago di
Tiberiade con i discepoli: “Passiamo
all’altra riva”. Tutto quello che succede da questo momento in poi è
conseguenza di questa sua decisione consapevole di quanto accadrà. Lo
scatenarsi della natura, del vento e dell’acqua, contro le barche, mentre Gesù
dorme tranquillo e sereno a poppa, diventa l’occasione propizia per mettere una
prima volta alla prova la fede dei discepoli. Gesù lascia che i discepoli provino
il terrore di fronte al rischio di perdere la vita per orientare e rafforzare
la loro fede in lui e nella sua opera, anche se apparentemente il tutto può sembrare
insignificante, come un piccolo seme di senape. La paura e l’ansia devono
essere superati da una fede che, attraverso le più diverse esperienze di vita,
di giorno in giorno diventa sempre più forte e capace di affrontare qualsiasi
prova, anche il rischio della morte. Essere stati scelti da Gesù per stare con
lui e continuare la sua missione nel mondo, non significa essere dei
privilegiati, garantiti in tutto e per tutto contro ogni pericolo e minaccia
alla nostra vita. Come il cammino terreno di Gesù è stato disseminato da
difficoltà, dall’inizio alla fine, così sarà anche per i suoi discepoli, fino
alla fine dei tempi.
Tutto l’episodio è disseminato da domande, a
cominciare dall’angoscia dei discepoli che si vedono rovinati: “non t’importa che siamo perduti?”, richiesta
che in qualche modo evoca quella dei demoni nella sinagoga di Cafarnao “Che
vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?” (Mc 1,24). Anche Gesù
si rivolge ai discepoli con delle domande a proposito della loro paura e della
loro mancanza di fede: “Perché avete
paura? Non avete ancora fede?”. Una problematicità che orienta a superare
il panico dovuto al pericolo di perdere la vita con una fede incondizionata in
Gesù, cominciando a riconoscere in lui il padrone della natura. La domanda
finale: “Chi è costui, che anche il vento
e il mare gli obbediscono?”, induce ad una curiosità aperta su tutto il
ministero pubblico di Gesù, caratterizzato in numerose circostanze dalla
manifestazione della sovrumana potenza divina, come è avvenuto per la tempesta
sedata. In realtà si tratta di una
duplice domanda, che possiamo riformulare in questo modo: Chi è costui che compie tali cose? Chi è costui che chiede una tale
fede?, domande non soltanto per i discepoli che hanno vissuto l’esperienza
della tempesta e della potenza salvatrice di Gesù, ma per tutti i credenti di
ogni tempo e di ogni luogo, soprattutto per noi, che ogni Domenica ci riuniamo per
celebrare l’Eucaristia, per fare la stessa esperienza dei discepoli durante la
traversata del Mare di Galilea, e cioè riconoscere la presenza viva del Signore
in mezzo a noi e accogliere la sua grazia che ci salva.
Buona Domenica!
don Marco Belladelli.
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