Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.
Dal Vangelo secondo Marco (6, 1-6)
In quel tempo, Gesù venne nella sua
patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando,
rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza
è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?
Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses,
di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per
loro motivo di scandalo.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando. Parola del Signore.
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Dopo la fede della
Emorroissa e di Giàiro, oggi ci confrontiamo con il rifiuto di Gesù da parte
dei suoi compaesani. Anche se Marco non lo dice esplicitamente, sappiamo essere
Nazareth la località in cui ha vissuto prima di iniziare il suo ministero
pubblico (cfr Mc 1,9). Per il modo di agire di Gesù, l’episodio è molto simile
a quello di Cafarnao (cfr 1,21ss). Tornato nella sua città dove è cresciuto,
come abitudine di ogni ebreo osservante, di sabato va in sinagoga. La sua fama
di “Maestro” è giunta anche lì. In molti vanno ad ascoltare il suo
insegnamento e sono colti da stupore. Uno stupore che, invece di aprire i cuori
alla fede, si trasforma in uno scandalo, cioè rafforza le ragioni della contrarietà.
Conoscendo bene la storia di Gesù e le tappe della sua crescita umana, i suoi
concittadini si interrogano su come possa aver maturato tanta sapienza e da
dove gli venga tanta potenza per compiere tanti e tali prodigi. La familiarità
e l’assidua frequentazione spesso ci rendono incapaci di cogliere la vera
identità e la ricchezza dell’altro. Negli ambienti chiusi è più facile che si
verifichi una tale situazione. Una miopia che diventa un rifiuto, come se Gesù
fosse un impostore.
Non è però un problema semplicemente
di tipo psico-sociologico. Quando Gesù stesso si meraviglia della loro
incredulità e qualifica il comportamento dei nazaretani come “disprezzo per
un profeta”, si
capisce che la questione non riguarda la sua persona, ma l’origine divina del
suo ministero. Si tratta di un vero e proprio rifiuto di Dio e della sua opera
di salvezza, tanto che, di fronte ad una tale incredulità, Gesù è
impossibilitato ad agire. L’esatto contrario di quanto è avvenuto per Giàiro e
l’Emoroissa. La sua ‘meraviglia’ ci
deve far riflettere se anche noi qualche volta lo abbiamo disprezzato allo stesso modo.
Lo smacco di Nazareth
non è la fine del ministero di Gesù. Marco continua il suo racconto mettendo in evidenza che “percorreva i villaggi d’intorno,
insegnando”. Pur riferendoci poco o nulla del contenuto dei vari
discorsi di Gesù, anzi dimostrandosi più interessato alla sua opera
taumaturgica per l’abbondanza dei particolari riportati, possiamo con certezza affermare
che l’insegnamento rimane la principale attività di Gesù. La folla non è
attratta dal suo eloquio suadente, proprio di un affabulatore, o dall’argomentare
suggestivo e rigoroso, tipico del filosofo, ma dalla potenza incisiva della sua
Parola, una forza che apre i cuori. Soltanto dopo averlo ascoltato ci si rende
conto che a Gesù si può chiedere qualsiasi cosa, anche quelle impossibili.
La Parola di Gesù è
Parola di Dio, Parola di vita. E’ piena della potenza creatrice di Dio e della
forza purificatrice e risanatrice dello Spirito Santo. Non ascoltare Gesù e non
accogliere dentro di sé la sua Parola come Parola di Dio, è segno di una
durezza di cuore preoccupante.
Ogni uomo è dotato di
coscienza, ambito intimo nel quale avviene l’incontro e il dialogo con Dio.
L’annuncio del Vangelo, quando è veramente tale, ha la capacità di farci
riconoscere la voce di Dio, distinguendola da tutte le altri voci che
ascoltiamo, fino al punto da sentirci attratti da questa voce, come quella del
nostro Creatore e Salvatore. Dentro di noi c’è come un desiderio profondo, una
nostalgia di questa voce, come dice S. Agostino all’inizio del suo famoso
scritto, Le Confessioni: “Il
nostro cuore è inquieto, finché non riposa in te.”. Guai a noi se per
qualsiasi ragione al mondo perdessimo questa capacità di distinguere,
riconoscere e di lasciarci attrarre dalla Parola di Dio, come è capitato agli
abitanti di Nazareth di duemila anni fa. Buona Domenica!
don
Marco Belladelli.
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