XV Domenica del Tempo Ordinario, “B”.
Prese a mandarli.
Dal Vangelo secondo Marco (6, 7-13)
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici
e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E
ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane,
né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due
tuniche.
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano. Parola del Signore.
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La resistenza incontrata a Nazareth non
scoraggia Gesù, al contrario, lo induce ad allargare il suo raggio d’azione, tanto
da associare i Dodici al suo ministro.
Già in occasione della chiamata degli Apostoli, d’ora
in poi distinti dal gruppo dei discepoli, Gesù pensava di inviarli in missione:
“Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché
avessero il potere di scacciare i demòni.” (Mc 3,14-15). Ora è arrivato il momento
di mandarli “a due a due” e di investirli pure del potere necessario per la
missione che devono compiere e sopratutto per sconfiggere “gli spiriti immondi”.
Nel contesto ebraico erano i discepoli a
scegliersi il proprio maestro, il rabbi, assecondando la propria
inclinazione ad appartenere ad una scuola, piuttosto che a un'altra, come per
esempio è stato per san Paolo (cfr. Atti 22,3). Attraverso la chiamata, invece
nella Chiesa l’iniziativa è assolutamente di Gesù. E’ lui stesso che ha scelto
“quelli
che voleva” (3,13), come sottolinea Marco. Il soggetto ultimo di
ogni vocazione è la libera iniziativa di Dio. Se manca questo elemento
fondamentale, qualsiasi vocazione nella Chiesa si trasforma in un servizio
autoreferenziale, cioè un servizio a se stessi.
Il “dodici”
evoca il numero dei figli di Giacobbe e le dodici tribù di cui era composto il
popolo d’Israele. Per Gesù l’invio dei Dodici non ha quindi soltanto lo scopo
di potenziare la sua opera evangelizzatrice. Il gruppo degli Apostoli è il
fondamento della una nuova comunità di salvezza escatologica, a cui tutti
potranno appartenere per la fede e non per l’appartenenza etnica o altra
ragione.
Sono mandati due a due per confermarsi e soccorrersi
reciprocamente. Il potere sugli spiriti immondi non è altro che il dono dello
Spirito Santo, senza del quale non è possibile contribuire in modo efficace
alla edificazione del regno di Dio. Come abbiamo già visto anche nel racconto
di Marco (cfr. 1,21-27), l’annuncio del Vangelo ha come primo effetto quello di
stanare gli spiriti immondi dal cuore dell’uomo e liberarlo da questa presenza
malefica per disporlo ad accogliere la Parola. Il prendersi cura degli infermi
è un gesto che mostra la novità della presenza del regno di Dio e nello stesso
tempo serve a confermare la Parola ascoltata nel cuore dei discepoli.
Lo stile di vita e l’equipaggiamento dei
missionari devono imitare la sobrietà del loro Maestro, portando con sé
soltanto l’essenziale, senza cercare nessun vantaggio personale, se non per le
necessità vitali, come per esempio accettare l’ospitalità che viene loro
offerta.
Il fatto che la missione degli Apostoli abbia
inizio dopo il fallimento di Nazareth, ci fa capire che per Gesù non ci sono
condizione di natura psico-sociologiche più favorevoli di altre. Il dovere e l’urgenza dell’evangelizzazione sono
assolutamente prioritari rispetto a qualsiasi altro pre-requisito pastorale,
ecclesiale o di altra natura. La Chiesa vive perché è missionaria e muore
quando smette di esserlo.
Dopo venti secoli la Chiesa non ha ancora
esaurito la sua missione. Nonostante l’annuncio del Vangelo abbia raggiunto
ogni punto della terra, sono ancora più di cinque miliardi e mezzo gli uomini e
le donne da evangelizzare. Inoltre, soprattutto in questi ultimi decenni, la
Chiesa continua a interrogarsi sulla necessità di un nuovo slancio
evangelizzatore, come se al proprio interno a sua insaputa fossero sorti
ostacoli e resistenze che frenano la sua azione missionaria fino a renderla inefficace,
a volte addirittura irrilevante, nell’indifferenza generalizzata per la
religione che contraddistingue la cultura del nostro tempo, soprattutto in
Europa, che per secoli è stata il centro propulsore del Vangelo nel mondo. Una
situazione che per certi aspetti ricorda la parabola della zizzania (cfr. Mt
13,24ss), nella quale Gesù parla della subdola azione del nemico, il diavolo,
che nottetempo, mentre tutti dormivano, ha pensato bene di seminare la zizzania
nel campo del buon grano per soffocarne la crescita.
Una delle cause di questa situazione è
certamente il fraintendimento del programma di rinnovamento proposto dal
Concilio Vaticano II, denunciato da Benedetto XVI nella sua lettera alla Chiesa
d’Irlanda in occasione dello scandalo della pedofilia. Fraintendimento che
consiste nel dare troppa importanza all’opera dell’uomo, con una conseguente
burocratizzazione della vita ecclesiale, a scapito della centralità del mistero
di Cristo, vivo e presente in mezzo a noi. Una situazione che rende assolutamente
urgente e necessaria prima la conversione personale e poi quella pastorale.
Non si può andare in missione se non con la
guida e pieni della forza dello Spirito Santo, prima ancora di qualsiasi competenza,
risorsa o iniziativa umane. E’ lui che fa la differenza, e non la nostra
intelligenza o qualche altra nostra particolare abilità o strategia.
Infine, pur tenendo conto degli evidenti
cambiamenti dei tempi, la Chiesa deve distinguersi per la sua sobrietà nel modo
di essere e nel modo di fare, simile a quella del suo Maestro. Purtroppo mi
pare invece che tanti nostri organismi ecclesiali, non escluse le nostre
parrocchie, tendano sempre più ad assomigliare a delle complesse macchine
burocratiche, più che alle agili truppe, munite soltanto di un bastone, a cui
aveva pensato Gesù per la diffusione capillare del Vangelo nel mondo. Buona Domenica!
don
Marco Belladelli.
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