Tintoretto, Ultima cena, 1594, Chiesa di S. Martino - Lucca |
Il Vangelo della salute del Triduo Pasquale
Giovedì santo, S. Messa In coena Domini.
Li
amò sino alla fine
DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI
(13, 1-15).
Prima
della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da
questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino
alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di
Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto
nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose
le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò
dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli
con l’asciugamano di cui si era cinto.
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».
Parola del Signore.
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La celebrazione del Giovedì
santo “in coena Domini” è la
celebrazione dell’AMORE per eccellenza, prima come carità divina e poi come agape
fraterna. Con essa ci immergiamo nel cuore pulsante della Chiesa, l’Eucaristia,
mistero dell’infinito Amore di Dio donato e mistero di Amore accolto, realtà
costitutiva del nostro vivere cristiano.
“Prima
della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da
questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino
alla fine.” (Gv 13,1). Con queste parole Giovanni esprime la straordinaria
consapevolezza di Gesù per ciò che egli è e sta per fare e per ciò che accadrà
a compimento della sua missione terrena. “Li amò fino alla fine” è il sentire di un uomo che
è vissuto soltanto per amore degli altri e ora tradito pure dalle stesse
persone vicine a lui, non cambia sentimenti, ma porta a compimento il suo atto
di amore nella stretta mortale dei prossimi tragici eventi.
Invece di ribellarsi ad un
destino tanto infame, come è possibile “amare
fino alla fine”? Cosa significa questo amore? Chi non sarebbe caduto nella
depressione o non sarebbe fuggito abbandonando tutto e tutti, frustrato in un
auto commiserazione da incompreso? Nessuno di noi è capace di amare fino alla fine. Per
questo Gesù ci ha donato l’Eucaristia.
L’Amore è fondamentale per
la vita di ciascuno. Tutti ne siamo alla ricerca, perché tutti abbiamo bisogno
di essere amati, più dell’aria che respiriamo. La maturità umana si misura in
base alla capacità di amare qualcuno fino al dono della vita, secondo l’insegnamento
di Gesù: “Nessuno ha un amore più grande di questo:
dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13), e di esserne
ricambiati. Il desiderio di amare è più forte della rischiosa incertezza di non
essere ricambiati. Nell’intricato universo della nostra interiorità non è
sempre facile però distinguere tra egoismo ed amore, quando finisce uno e
comincia l’altro. Il nostro amore spesso è il risultato di un misto tra
emozioni, sentimenti e passioni che lasciano il tempo che trovano. E pur
tuttavia non si po’ far a meno di esporsi ad una relazione amorosa. Ne va della
nostra stessa vita!
Abbiamo bisogno dell’amore
di Gesù perché il suo è un Amore che non ricatta e non schiavizza, anzi guarisce
le ferite, genera libertà e rinnova profondamente l’animo di chi lo accoglie per
renderlo capace di amare allo stesso modo. E’ il Dono di Dio, che non soltanto
salva l’uomo, ma lo innalza alla dignità ad “immagine e somiglianza” divina, “perché Dio è amore” (1Gv 4,8). E così la
vita misteriosamente e inesorabilmente si trasforma in un atto di amore, senza
soluzione di continuità.
La lavanda dei piedi è il
gesto con il quale Gesù trasmette alla Chiesa il comandamento della Caritas
divina come regola fondamentale di vita da imitare sempre e dovunque. Il contesto è quello dell’ultima cena. Sappiamo
che Giovanni, diversamente dai Sinottici e da Paolo, non riporta i gesti e le
parole sul pane e sul calice per mezzo dei quali Gesù ha istituito il
sacramento dell’Eucaristia, a cui però fa esplicito riferimento nel famoso
discorso sul pane di vita nella sinagoga di Cafarnao al capitolo 6°, dopo la
moltiplicazione dei pani. L’Eucaristia è la via maestra attraverso cui
diveniamo partecipi del Dono di Dio, più per le peculiarità intrinseche del
sacramento, che non per un atto di ragionevole consapevolezza. L’Eucaristia è
la fonte inesauribile di quell’amore fraterno di cui il mondo è eternamente
assetato: “fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno” ( Gv 7,38). Il
comandamento dell’amore, a imitazione dello stesso amore del Signore Gesù, non
è altro che la conseguenza dell’avvenuta partecipazione all’Eucaristia, il segno
distintivo della condotta di ogni cristiano: “Da
questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli
altri”
(Gv 13,35). Che non manchi mai Amore nei vostri cuori!
don Marco Belladelli.
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