Melozzo da Forlì - Ingresso di Gesù a Gerusalemme - 1477-82 - Loreto, Santuario della Santa Casa, Sagrestia di San Marco |
Domenica delle Palme
e della Passione del Signore “B”
Benedetto
colui che viene nel nome del Signore.
Dal vangelo secondo Marco (Mc 11,1-10)
Quando
furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli
Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di
fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale
nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà:
“Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà
qui subito”».
Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano:
«Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!
Osanna nel più alto dei cieli!». Parola del Signore.
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Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco (Mc 15,16-41).
Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel
pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono
una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo:
«Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli
sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo
essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare
le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo
Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo.
Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli
davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.
Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte
su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo
crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei
Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua
sinistra.
Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e
dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni,
salva te stesso scendendo dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con
gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e
non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce,
perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui
lo insultavano.
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del
pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?»,
che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo,
alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di
aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo:
«Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte
grido, spirò.
Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il
centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel
modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le
quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome,
le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che
erano salite con lui a Gerusalemme.
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La Domenica delle Palme inizia con la
benedizione dei rami d’ulivo e la processione che ricorda l’entrata trionfale
di Gesù a Gerusalemme, salutato dalla folle come il figlio di Davide, il Messia
atteso e continua poi con la lettura del racconto della passione di uno dei tre
sinottici. Questa articolazione della liturgia è il risultato dell’incontro di
due tradizioni, quella di Gerusalemme nella quale si rivivevano passo dopo
passo gli ultimi giorni della vita di Gesù, e quella di Roma nella quale invece
si metteva al centro della celebrazione l’evento doloroso e scandaloso della
morte in croce di Gesù con la proclamazione del racconto della passione.
Sta per compiersi l’evento fondamentale per la salvezza dell’umanità. La Settimana santa è dominata dalla croce, nella quale si riassumono tutti i momenti e gli aspetti della sofferenza di Gesù, dal tradimento all’abbandono di tutti, dalle umiliazioni alle torture, dalla crocifissione fino alla morte, tutte sofferenze conseguenti al “se tradidit” di Gesù, cioè al suo consegnarsi nelle mani degli uomini per essere ucciso, nella più assoluta fedeltà alla volontà del Padre, nella quale si manifesta il grande gesto di amore di Dio, che non avremmo mai potuto meritare, né tanto meno immaginare, come dice Gesù stesso nel Vangelo di Giovanni: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.” (15,13).
Con in mano i rami d’ulivo, accompagniamo Gesù
fino al Calvario, in attesa della sua risurrezione, perché sappiamo bene che in
nessun altro c’è salvezza. Una partecipazione che chiede anche a noi di
disporci a condividere la stessa sorte del Signore, come lui stesso ci ha più
volte ricordato nel vangelo: “Se qualcuno
vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”
(Mc 8,34).
Nel vangelo di Marco i capitoli 14° e 15°,
dedicati al racconto della passione e morte, sono il vertice di tutta la narrazione
evangelica. Con molto realismo, Gesù è descritto come il Signore che sa tutto e
che tutto determina. Pienamente consapevole di quanto sta accadendo, con la
libera volontà che lo ha sempre contraddistinto, egli va per la sua strada per consegnarsi
nelle mani degli uomini. Egli non fa affidamento sui mezzi umani, ma conta soltanto
su Dio e la sua potenza. Una inerzia e una impotenza di fronte ai nemici che è causa
di scandalo per i discepoli, ma il cammino determinato da Dio porta alla vita,
non alla rovina. Tutto questo però non annulla la responsabilità di coloro che
si sono schierati contro di lui, a cominciare da Giuda, i capi del popolo, i
membri del sinedrio, Pilato, Erode e i soldati che lo hanno torturato e crocifisso.
Gesù decide di passare gli ultimi momenti della
sua vita con gli apostoli, una comunione che trova il suo vertice nella cena
pasquale preparata con meticolosità, quando nella novità dei gesti stabilirà
con loro una comunione ancora più stretta con lui e tra di loro, al centro
della quale c’è l’esperienza dell’amore di Dio, manifestato dai gesti e dalle
parole di Gesù stesso, che nei segni del pane e del vino dona tutto se stesso,
perché d’ora in poi tutti coloro che parteciperanno con fede al perpetuarsi di
questi gesti abbiano la pienezza della vita.
Il Getsemani rappresenta per Gesù le sue ultime
ore di libertà, caratterizzate da afflizione e angoscia mortale, che egli
trascorre nella preghiera in unione con il Padre. Nonostante la sua attenzione e
dedizione per i discepoli, essi lo hanno già abbandonato sopraffatti dal sonno,
prima ancora di fuggire di fronte ai soldati che verranno ad arrestarlo. La
cattura da parte dei soldati del sinedrio segna la fine della sua libertà
personale, ma soprattutto il momento in cui “il Figlio dell'uomo viene consegnato
nelle mani dei peccatori” (14,41), un passaggio di mano in mano, fino
alla morte di croce (cfr Fil 2,8).
Quello che per San Marco era la rivelazione più
importante che Gesù ha fatto di se stesso: “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo,
Figlio di Dio”
(Mc 1,1), confermata dai gesti e le parole compiuti durante il suo ministero
pubblico, dal battesimo di Giovanni fino ad ora, diventa la ragione della sua
condanna a morte. Proprio per affermato di essere ‘Figlio di Dio’, il sinedrio considera Gesù un bestemmiatore che
merita la morte (cfr. 14,61-64). Nel seguito del racconto, Gesù viene più volte
ridicolizzato in quanto Figlio di Dio, fin quando dopo la sua morte il centurione
sotto la croce farà propria questa espressione per manifestare la sua fede,
esclamando: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”.
Dopo la condanna a morte, il rinnegamento di
Pietro segna in qualche modo anche il fallimento della sua opera. Ora Gesù è
davvero ‘solo’ con se stesso. La
differenza tra Pietro e Giuda sta nel fatto che nel cuore del primo tra gli
Apostoli trovano ancora posto le parole di Gesù tanto da suscitare il suo
pentimento e l’attesa del ricongiungimento con lui in Galilea dopo la
risurrezione.
Pilato capisce subito che il problema Gesù non è
una questione giudiziaria, ma politica. Alla fine egli si limita a ratificare
le decisioni del sinedrio, che per dare forza alle loro ragioni hanno aizzato
la folla per intimorirlo. In tutto questo Gesù mantiene la sua libertà interiore,
rispondendo con franchezza soltanto per riaffermare la sua identità di Figlio
di Dio e la sua fedeltà al Padre.
Ora tocca ai soldati eseguire quanto stabilito dalle autorità. La crocifissione è l’ultimo atto del suo annientamento. Alla fine è stato più facile del previsto per i Giudei liberarsi di Gesù, il falso Messia. Non hanno incontrato nessuna opposizione da parte di chicchessia che abbia preso le sue parti, ma non hanno fatto i conti con Dio, con la sua sapienza e potenza che scaturisce proprio dalla croce del Figlio (cfr 1Cor 1,23-24). Paradossalmente, quello che viene detto sotto la croce non è altro che una proclamazione della potenza dell’uomo crocifisso. Proprio quando gli uomini hanno terminato la loro opera entra in azione Dio che avvolge il mondo di tenebre e impone il silenzio, squarciato soltanto dal grido di Gesù che chiede di essere liberato da quella condizione miserevole e viene esaudito. La fede di un pagano e l’attaccamento delle donne che non hanno mai abbandonato Gesù, è il punto di partenza per una nuova vita nella gloria di Dio.
La sepoltura è la conferma che Gesù è veramente morto e il segno della condivisione del cammino di ogni uomo fino alla passività del cadavere posto nel sepolcro. Ora però i suoi nemici si sono ritirati e Gesù è nelle mani affettuose dei suoi amici che si prendono cura di lui con i pietosi gesti della sepoltura, a cui segue il silenzio del sabato santo, evocatore dell’inquietudine del cuore umano quando è lontano da Dio, come disse S. Agostino: “il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te” (Confessioni 1,1.5).
La fede del Centurione anticipa la fede di molti altri uomini che in ogni parte del mondo seguiranno il suo esempio. Si realizza così la parola profetica di Gesù e che abbiamo ascoltato la scorsa settimana: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,31). Gesù è il dono più grande che Dio ci abbia fatto, più grande della nostra stessa vita. Concludiamo il nostro cammino quaresimale lasciandoci attrarre da Cristo. Prostrati davanti alla sua croce apriamo i nostri cuori ad accogliere questo dono d’amore e chiediamo sinceramente perdono dei nostri peccati. Nella sincera conversione del cuore, come nel giorno del Battesimo proclamiamo: “Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa. E noi ci gloriamo di professarla in Cristo Gesù, nostro Signore!”. Con l’augurio di una buona Settimana Santa!
don Marco Belladelli.
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