Raffaello Sanzio, Crocifissione Gavari, 1503 - National gallery - Londra. |
V Domenica di Quaresima “B”
Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto.
Dal
Vangelo secondo Giovanni (12,20-33)
In quel tempo, tra quelli che
erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi
si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono:
«Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù.
Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In
verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non
muore, rimane solo; se invece muore,
Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire. Parola del Signore.
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Nel brano evangelico
che oggi la liturgia ci propone si fa continuamente riferimento alla passione,
morte e risurrezione di Gesù, evento con il quale anche noi siamo chiamati a
confrontarci per accoglierlo nella nostra vita ed essere salvati.
Gesù è ormai giunto a
Gerusalemme, dove la trama preparata dai suoi avversari contro di lui per farlo
morire è più evidente e nel suo animo genera turbamento: “Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami
da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica
il tuo nome”. Una condizione spirituale paragonabile
all’agonia nel Getsemani, anche se il contesto descritto da Giovanni (Gesù è in
pubblico, probabilmente nel tempio, attorniato dalla folla) è molto diverso da
quello dell’orto degli ulivi ricordato dagli altri tre evangelisti. Il
turbamento è il sentimento che invade l’animo umano quando, nostro malgrado,
siamo costretti a fare i conti con la morte. Ci si sente sovrastati dalle tenebre e si percepisce,
tutta insieme e tutta in una volta, la precarietà costitutiva della nostra
umanità, a cui si unisce un senso di inquietudine esistenziale, e cioè la
consapevolezza di non essere padroni della propria vita, dall’inizio alla fine.
Il termine greco usato per esprimere il turbamento evoca il moto ondulatorio e perpetuo
delle onde del mare, equivalente quindi ad un sentirsi in balia di qualcuno che
potrebbe prendersi cura di te, ma anche infierire. Oltre la dimensione umana
del turbamento, per Gesù c’è anche la piena coscienza che dal suo sacrificio,
in obbedienza alla divina volontà, dipende la salvezza di tutta l’umanità, un
pesante carico di responsabilità unico e quanto mai decisivo per il corso presente,
passato e futuro degli eventi. Una condizione per noi difficile da immaginare,
spropositata ed insopportabile.
Il brano di oggi
inizia con l’apostolo Filippo che, insieme ad Andrea, si fa interprete presso
Gesù della richiesta di un gruppo di ebrei di origine greca: “Vogliamo vedere Gesù”,
a cui fa seguito un dialogo di Gesù con chi gli è attorno, nel quale si
alternano affermazioni molto forti e incomprensioni. Si comincia con: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato”,
intendendo con “glorificazione” il
prossimo sacrificio di Gesù sulla croce. Una risposta apparentemente illogica,
rispetto alla domanda, ma con la quale Gesù sposta l’attenzione sugli eventi
ormai prossimi della sua fine, nei quali si potrà realmente riconoscere chi
egli sia, come accadrà al Centurione sotto la croce: “Davvero
quest'uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39).
Segue la piccola
parabola del seme che muore e porta molto frutto, contrariamente a quello che
invece non muore e rimane solo, nella quale viene evocata la morte Gesù e il
suo significato salvifico, richiamato nella frase finale del nostro brano: “quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”,
a commento della voce venuta dal cielo.
Siamo ormai quasi alla
fine del nostro cammino penitenziale della Quaresima, il cui scopo era ed è di
aprirci ad accogliere Gesù Cristo nella nostra vita e stringerci a lui. Anche
noi, come i Greci del vangelo, attraverso la mediazione della Chiesa, siamo qui
a chiedere di vedere Gesù, per conoscerlo meglio e credere in lui. Se saremo
capaci di fare nostra la “gloria del Figlio dell'uomo”, cioè la sua croce,
porteremo frutti di vita, di comunione, di vera fraternità. Quando avremo
superato tutte le resistenze che ci impediscono di lasciarci attrarre dalla
croce di Cristo e avremo accolto appieno la logica del “chi odia la propria vita
in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”,
saremo pronti a seguire Gesù come suoi veri discepoli che producono molto
frutto, unendoci a lui per dare compimento a ciò che ancora manca nella sua
sofferenza (Col 1,24). Buona Domenica!
don Marco Belladelli.
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