El Greco, Cacciata dei mercanti dal tempio, 1610-14, chiesa di S. Gines - Madrid. |
III
Domenica di Quaresima “B”
Distruggete
questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere.
Dal Vangelo secondo Giovanni (2,13-25).
Si avvicinava la Pasqua dei
Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi,
pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di
cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a
terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di
colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre
mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per
la tua casa mi divorerà».
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo. Parola del Signore.
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Ritroviamo l’evangelista Giovanni che ci farà
compagnia dal giorno di Pasqua fino a Pentecoste. Oggi descrive un Gesù
collerico che grida, rovescia banchi e con una frusta caccia dal tempio di
Gerusalemme i vari venditori di animali necessari per i sacrifici, i
cambiavalute e tutto quel commercio introdotto dai sacerdoti che aveva
trasformato la sacralità del tempio in “un mercato”.
Non dobbiamo scambiare Gesù per un contestatore ante
litteram, con il gusto della rivoluzione fine a se stessa. La reazione dei
Giudei del resto non va nel senso della tutela dell’ordine pubblico con
l’arrivo di guardie o soldati per riportare la calma. Il gesto compiuto da Gesù
evoca un contesto profetico ben preciso (vedi Malachia 3,1-4 in cui si parla
della venuta dell’inviato di Dio nel suo tempio; e Zaccaria 14,21 dove si parla
della fine di ogni mercanteggiamento nel tempio), con un chiaro senso
messianico. I Giudei infatti lo interrogano: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”.
Più che sul danno arrecato si concentrano sul quale autorità consenta a Gesù di
comportarsi in quel modo. La risposta di Gesù non è il segno richiesto, perché
la domanda nasconde un rifiuto pregiudiziale. Affermando: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo
farò risorgere”, Gesù annuncia la sua passione, morte e
soprattutto la sua risurrezione, a cui corrisponderà la sostituzione del tempio
con la sua persona, attorno a cui si riunirà il nuovo Israele, la Chiesa, per
il nuovo culto (cfr. anche Gv 12,32: “E
io, quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me”). Ovviamente, dopo
queste parole, i Giudei deridono Gesù, perché equivocando tra il segno del
tempio di Gerusalemme e la realtà del “farlo
risorgere” riferito al suo corpo nel momento della risurrezione, si rifiutano
di riconoscerlo come Messia.
Per gli Ebrei il tempio era il luogo in cui Dio
aveva stabilito la sua dimora sulla terra per ascoltare le preghiere di ogni
uomo, a qualunque popolo appartenesse. Era l’unico luogo in cui essi potevano
compiere i sacrifici a Dio. Insomma, era il Santuario per eccellenza, il luogo
più sacro della terra, orgoglio del popolo.
Quando Giovanni afferma che “egli parlava del tempio del suo
corpo”, vuole dirci che il tempio è superato,
decaduto per sempre e non è riformabile come pensavano di fare quelli della
comunità di Qumran. Il corpo di Gesù è
il nuovo tempio che sostituisce quello fatto di pietre e il suo sacrifico sulla
croce è l’unico vero sacrifico gradito a Dio Padre, per mezzo del quale ogni
uomo viene giustificato e salvato.
Nel segno del suo corpo risorto, Gesù annuncia
il superamento del vecchio e inaugura la novità del nuovo culto per mezzo di
lui. Come dice san Paolo nella seconda lettura di oggi: “noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i
Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei
che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio”.
Lo scandalo e la stoltezza riassumono l’incapacità umana di comprendere l’amore
di Dio che arriva a mandare “il Figlio
amato” della trasfigurazione sulla croce per la nostra salvezza. Il Cristo
crocifisso è la potenza e la sapienza con cui Dio salva il mondo. Come per il
popolo ebraico (vedi la 1° lettura) l’osservanza della legge, i dieci
comandamenti, era il segno concreto della liberta acquistata unicamente per la
potenza e per l’amore di Dio, così anche per il nuovo popolo di Dio, non c’è
altra possibilità di libertà e di salvezza se non nella croce di Gesù,
affermazione che presuppone come fondamento una fede assoluta nella
risurrezione.
Oggi siamo chiamati a riflettere su queste
realtà, di cui siamo partecipi per mezzo della fede, soprattutto nel momento
della celebrazione del mistero della salvezza.
La Quaresima ci aiuti a capire che non c’è altra
via di salvezza che quella di raccoglierci attorno all’altare del Signore, dove
si rende presente il mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo,
come facciamo ogni Domenica celebrando insieme l’Eucaristia.
Buona Domenica!
don Marco Belladelli.
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