Mosaico della trasfigurazione, VI sec. Monastero di S. Caterina - monte Sinai. |
Questi
è il Figlio mio, l’amato
Dal Vangelo secondo Marco (9,2-10).
In quel tempo, Gesù prese con
sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro
soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti,
bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E
apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro
disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per
te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché
erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube
uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che
avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed
essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai
morti.
Parola del Signore.
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Dal deserto di Giuda,
il luogo delle tentazioni situato a sud di Gerusalemme, nei dintorni di Gerico,
ci spostiamo al centro della Palestina, sul monte Tabor, dove secondo la
tradizione è avvenuta la trasfigurazione. Siamo nella seconda parte del vangelo
di Marco, iniziata con la professione di fede di Cesarea di Filippo (8,27-30) e
che si concluderà a Gerusalemme con la passione, morte e risurrezione.
Gesù, dopo aver parlato
ai discepoli per la prima volta dei drammatici eventi che caratterizzeranno la
fine della sua vita terrena (cfr. Mc 8,31), prende con sé Pietro, Giacomo e
Giovanni e li porta sul monte dove si mostra loro nella sua immagine divina per
prepararli ad affrontare lo scandalo della croce, che metterà a dura prova la
fede di tutti coloro che lo seguono.
Per noi invece che
abbiamo appena iniziato il cammino penitenziale della Quaresima, il rischio più
probabile non è tanto di perdere la fede, quanto piuttosto della sua tiepidezza,
e cioè il ridurla a un fatto di abitudine o di semplice sentimento, il non
essere convinti di aver bisogno di conversione e la perplessità sull’efficacia
delle opere di penitenza, se le facciamo. Quante volte abbiamo pregato,
digiunato o scelto altre rinunce e fatta pure l’elemosina o altre opere di
carità e di misericordia, senza che questo abbia inciso minimamente nella nostra vita in modo
significativo. Uno scetticismo che si accompagna alla pretesa di non aver mai
fatto nulla di male a nessuno e al dubbio metodico e pregiudiziale per tutto
ciò che è soprannaturale e celeste, divino ed eterno. Pensieri che vanificano
il desiderio di una vera conversione. Sarebbe come per dire: “ci vuol ben
altro!”.
Arrivati sul monte è
Dio il protagonista che opera la trasformazione di Gesù, rendendo visibile ai
tre apostoli la persona divina del Figlio di Dio in compagnia delle figure
celesti di Mosè ed Elia, il mediatore dell’antica alleanza e il difensore della
stessa al tempo della monarchia. Davanti alla gloria divina del Figlio di Dio
Pietro, Giacomo e Giovanni sono “spaventati”,
cioè sono afferrati dal carattere divino dell’evento, stato d’animo confermato
dalla uscita senza senso di Pietro, che vorrebbe costruire delle tende per dei
personaggi ‘celesti’. La presenza di Mosè ed Elia evoca gli eventi del monte
Sinai-Horeb, a cui entrambi sono legati come servi di Dio presso il popolo a
sostegno dell’antica alleanza, realtà ora superata dalla presenza del Figlio di
Dio.
Alla apparizione
visiva, si aggiunge la voce del Padre che dal cielo indica Gesù come “il
Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”. Questa rivelazione
del Padre è la risposta a tutti gli interrogativi che di volta in volta si
raccolgono uno dopo l’altro riguardo alla persona di Gesù durante la sua vita
pubblica, fino alla domanda finale del sommo sacerdote: “Sei
tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?” (14,61). L’ordine di
ascoltarlo è invece l’indicazione dell’unico comportamento possibile per una
vita vissuta nell’obbedienza della fede e nel desiderio di una autentica
conversione. Attraverso la trasfigurazione Gesù rassicura gli apostoli che
vincerà la morte. Oggi rassicura anche noi non soltanto sulla sconfitta della
morte, ma soprattutto sulla necessità di obbedire al Vangelo per la nostra salvezza
e per quella di tutti gli uomini.
Come dice l’antifona
del “Benedictus” nella liturgia delle lodi di questa Domenica:
“Per mezzo del Vangelo risplende a
noi la luce di una vita immortale”.
Per mezzo del Vangelo anche
la nostra vita risplenderà della stessa luce di Gesù, fino ad esserne
trasfigurata. Ascoltiamo Gesù, seguiamolo senza timore sulla via da Lui
tracciata nel Vangelo, fino a quando anche in noi risplenderà quella stessa
luce di vita immortale che, come dice san Marco, non trova paragoni qui sulla
terra.
Il traguardo ultimo
del nostro cammino quaresimale non è l’umiliazione della morte, ma la vita
luminosa e senza fine, di cui già portiamo in noi la caparra. Operiamo con
umiltà e fiducia nel Signore, attendendo pazientemente alla nostra
trasfigurazione, cioè alla piena manifestazione della dimensione luminosa della
nostra vita. Buona
Domenica!
don
Marco Belladelli.
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