Cosimo Rosselli, Guarigione di un lebbroso, 1481-2; Cappella Sistina - Città del Vaticano |
VI
Domenica del tempo Ordinario “B”.
La lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
Dal Vangelo secondo Marco (1, 40-45)
In quel tempo, venne da Gesù
un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi
purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo
voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu
purificato.
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte. Parola del Signore.
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La guarigione di un
lebbroso, che oggi la liturgia ci propone, evoca una situazione umana e
spirituale molto simile a quella che abbiamo vissuto in questo ultimo anno
caratterizzato dalla pandemia del coronavirus.
Nel mondo ebraico la
lebbra non era una malattia come le altre. Oltre a sfigurare e deturpare orribilmente
le persone contagiate, era considerata una punizione divina per una grave
mancanza, come accadde a Maria, la sorella di Mosè, diventata improvvisamente
lebbrosa per la sua superbia (cfr. Num. 12,10). Il lebbroso era quindi ritenuto
peggio di un pubblico peccatore. Lontano da Dio e allontanato dagli uomini era
totalmente abbandonato alla sua malattia e a se stesso. Ancora ai tempi di
Gesù, l’unico rimedio consisteva nell’isolare i lebbrosi lontano dai centri
abitati, in luoghi deserti, per evitare il diffondersi del contagio. Quando si
aggirava vicino alle città o ai villaggi doveva gridare: “Immondo!”. Per questa sua valenza religiosa, spettava al sacerdote
costatare l’eventuale guarigione. Guarire dalla lebbra era praticamente
impossibile, se non per un miracolo, come nel caso del generale siriano Naamàn
guarito dal profeta Eliseo (cfr. 2Re 5,1-14).
E’ il lebbroso a mettersi sulle tracce di Gesù,
fino a raggiungerlo prima di tutto con la sua fede e la sua preghiera: “lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se
vuoi, puoi purificarmi!". ” (v.40). Gesù si trova davanti l’umana miseria in persona,
sfigurata dalla malattia e disumanizzata da un contesto socio-culturale e
religioso che pensa soltanto a difendersi e a proteggersi. I gesti compiuti da
Gesù sono indotti dalla sua profonda compassione. Oltre a dare ascolto al
lebbroso, stende la mano e lo toccarlo. Quello che potrebbe sembrare un azzardo
provocatorio, esprime invece una precisa volontà divina, come si comprende
dalle stesse parole pronunciate da Gesù: “Lo
voglio, sii purificato!”, una “purificazione”
non soltanto dalla malattia, ma soprattutto da tutto ciò che lo tiene lontano
da Dio. La guarigione dalla lebbra non è soltanto una semplice reintegrazione
umana e sociale, ma è qualcosa di più profondo e radicale che ha a che fare con
la dimensione religiosa dell’uomo, una realtà, come dice Sant’Agostino, più
intima di quanto io lo sia a me stesso. Gesù riabilita l’uomo al rapporto con
Dio.
Viene in mente la beatitudine di Matteo: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”
(5,8). Il rapporto con Dio è il fondamento della vera dignità dell’uomo. Gesù
non soltanto guarisce lo spirito e il corpo, come abbiamo visto nella giornata
di Cafarnao, ma guarisce anche l’anima dell’uomo, riscattandola da ogni di
marginalità e discriminazione.
Se, per grazia di Dio, almeno qui in Occidente
non corriamo il pericolo del contagio fisico, rimane molto diffusa la lebbra
del cuore. Ne abbiamo fatto esperienza in questi tempi di della pandemia,
quando siamo stati costretti alle stesse condizioni di vita dei lebbrosi. Il
distanziamento sociale ha impedito le relazioni umane e condizionato il nostro
rapporto con Dio, obbligandoci ad un isolamento del tutto innaturale e dannoso al
nostro equilibrio psico-fisico.
Nell’immaginario collettivo il lebbroso oggi
individua una persona socialmente nociva, da tenere a debita distanza per il
pericolo di contagio. Pensate a tutte le forme di discriminazioni e di marginalità,
spesso anche religiosamente motivate, che la storia ci ha fatto conoscere,
tutt’altro che superate. In una società senza Dio, più si afferma il principio
di uguaglianza di tutti gli esseri umani e paradossalmente più si vanno
affermando forme di discriminazioni sempre nuove e sempre più umilianti.
Facciamo nostro l’invito di san Paolo nella 2°
lettura: “Diventate miei imitatori, come
io lo sono di Cristo” (1 Cor 11,1). Per superare discriminazioni ed
emarginazione è necessario una profonda compassione come quella del Signore
Gesù, che inizia con il toccare il lebbroso e finisce con la morte in croce con
cui si è realizzata la salvezza, perché la via della purezza rituale o legale,
fatta di separazioni e distanze, si è già rivelata fallimentare con Israele.
Alla fine del racconto troviamo di nuovo l’ammonimento
a non dire niente a nessuno, se non ai sacerdoti, ai quali Gesù invia l’ex
lebbroso per ne accertino l’avvenuta guarigione. Gesù non vuole essere
scambiato per un semplice guaritore e rifugge la popolarità che la divulgazione
di certi fatti gli procura, come degli ostacoli al suo ministero,
costringendolo a non “entrare pubblicamente in una città, ma
rimaneva fuori, in luoghi deserti”. Vuole essere accolto come il Figlio di Dio, fatto
uomo per la salvezza del mondo e coloro che potevano capire tutto questo attraverso
i segni da lui compiuti erano proprio i sacerdoti. Oggi questo segno è per noi,
perché crediamo che Gesù è il Figlio di Dio e accogliamo il regno di Dio,
presente in mezzo a noi. Buona Domenica!
don Marco Belladelli
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