Anonimo, Indemoniato di Cafarnao, affresco sec. XI, abbazia di Lambach - Linz. |
Dal Vangelo secondo Marco (1, 21-28)
In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.
Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro,
straziandolo e gridando forte, uscì da lui.Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».
La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea. Parola del Signore.
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Dopo l’annuncio del regno di Dio e la chiamata
dei primi quattro Apostoli, Marco ci racconta una giornata tipo di Gesù, nella
quale sono presenti le linee fondamentali di quella che sarà la sua attività. Siamo
a Cafarnao, la città sulle rive del lago di
Galilea dove abitano Pietro e suo fratello Andrea. E’ sabato e Gesù si reca in sinagoga
per insegnare, accompagnato dai discepoli. Contrariamente a quanto ci
aspetteremmo, san Marco non ci riporta le parole di Gesù, ma si sofferma sulla
reazione dei presenti, i quali rimangono profondamente colpiti dal suo insegnamento,
letteralmente ‘tratti fuori da se stessi’,
perché - annota l’evangelista - a differenza degli scribi egli parla loro “come uno che ha autorità” (v. 22). Una diversità
che diventerà materia per accusarlo di blasfemia (cfr. 2,7; 3,22; 14,53ss). Ma
le sorprese non finiscono qui. Improvvisamente uno dei suoi ascoltatori lo aggredisce
verbalmente, gridandogli contro: “Che
vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo
di Dio!” (v. 24). A Gesù bastano poche parole, pronunciate con forza, cioè
con tono ‘autoritario’, per mettere a tacere chi lo stava sfidando, e
soprattutto per liberare il posseduto dalla schiavitù dello spirito immondo.
Lo stupore iniziale del
popolo si è trasformato ora in “timore”,
sentimento all’origine degli innumerevoli interrogativi su chi fosse realmente
Gesù e sulla sua missione. Un crescendo emotivo più volte presente nella Bibbia,
quando la creatura umana si viene a trovare a diretto contatto con la realtà
soprannaturale stessa di Dio. La sottolineata differenza della predicazione di
Gesù rispetto a quella degli scribi, non consiste quindi in una diversa qualità
retorica dei suoi discorsi, ma nell’evidenza di parlare con la stessa autorità
di Dio. Quando poi quella stessa autorità diventa ‘potenza’ che comanda anche
agli ‘spiriti impuri’ - notoriamente superiori agli uomini, fino a dominarli e
far loro del male, sempre in aperto
contrasto con Dio e con tutto ciò che lo rappresenta - davanti a un simile
gesto di Gesù che libera l’indemoniato dalla schiavitù del male e lo
restituisce alla propria disponibilità, ai presenti non resta che perdersi nel
timore della propria pochezza e fragilità, interrogandosi su quanto sta
accadendo davanti a loro.
Fin dall’inizio il
ministero pubblico di Gesù si caratterizza per il suo particolare rapporto con
Dio, che nessun altro maestro della legge poteva rivendicare. La parola che Gesù rivolge agli uomini apre immediatamente
l’accesso al volere del Padre e alla verità di se stessi. La potenza dei segni
che l’accompagnano, è la conferma della vicinanza del regno di Dio (cfr. Mc
1,15). All’efficacia della parola, Gesù unisce la potenza dei segni di
liberazione dal male. Non accadeva la stessa cosa per gli scribi, la cui
predicazione era il frutto di loro riflessioni e ricerche per interpretare il
vero senso delle Sacre Scritture.
Paradossalmente sono
proprio i demoni i primi a parlare di questa relazione di Gesù con Dio Padre: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a
rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!” (v. 24), evidenziando
soprattutto l’identità di Gesù e il senso della sua missione, non certo con lo
scopo di suscitare consenso attorno a lui, ma nel tentativo di ostacolarne l’opera
in mezzo agli uomini. Gesù impedisce ai demoni stessi di parlare di lui.
E’ in gioco la riuscita della sua stessa missione, da cui dipende la nostra
salvezza. Egli sa già infatti che per liberare l’umanità dal dominio del
peccato, dovrà essere sacrificato sulla croce. Il diavolo, da parte sua, cerca
di distoglierlo dall’acconsentire alla divina volontà per dirottarlo verso
logiche umane del facile successo. La croce di Cristo sarà la rovina del
demonio, ed è per questo che Gesù insegnerà ai suoi discepoli che per entrare
nella sua gloria ‘deve’
patire molto, essere rifiutato, condannato e crocifisso (cfr. Mc 8,31), una
sofferenza parte integrante della sua missione.
Nella Parola che abbiamo ascoltato e nel sacrificio dell’altare
si ripropone a noi oggi in tutta la sua attualità questo mistero di ‘potenza’ divina e di ‘amore grande’, “fino alla morte e a una morte di
croce” (Fil 2,8), per essere di nuovo
accolto per mezzo della grazia che salva e che trasforma tutta la nostra vita,
perché, come ci raccomanda oggi san Paolo nella seconda lettura: “vi comportiate degnamente e
restiate fedeli al Signore, senza deviazioni.”
(1Cor 7,35). Buona
Domenica!
don Marco Belladelli
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