Morte ed eternità
(pubblicato su LA VOCE DI MANTOVA del 02/11/2016).
Al
mese di Novembre è tradizionalmente legata l’annuale commemorazione dei defunti, che come tutti
sanno cade al giorno due, ricorrenza caratterizzata dal mesto pellegrinaggio di
molte persone sulle tombe dei loro cari.
Anche
coloro che si sottraggono a questa tradizione in questi giorni non possono fare
a meno di lasciarsi sfiorare dalla nostalgia per chi non è più tra noi e di
abbandonarsi, magari semplicemente con il fugace pensiero di qualche istante,
all’onda mesta dei ricordi che bene o male, nel silenzio attonito della
coscienza, costringe a fare i conti con il mistero della morte.
Dopo aver ricordato che la cremazione è approvata dalla
Chiesa Cattolica fin dal 1963, a condizione che questa pratica non sia voluta
come negazione dei dogmi cristiani dell’immortalità dell’anima e della
risurrezione dei corpi, e che la risurrezione di Cristo, per la quale anche noi
siamo destinati alla vita eterna e alla risurrezione, è il mistero essenziale
della fede cristiana, seguano le direttive per i fedeli. La Chiesa continua a
preferire la sepoltura alla cremazione. Laddove si scelga quest’ultima forma,
le ceneri del defunto vanno conservate in un luogo sacro per essere oggetto di
rispetto e di preghiera, allo stesso modo dei corpi sepolti, perché attraverso
la memoria si rinnova e si prolunga quel particolare vincolo tra vivi e morti
che la Chiesa chiama ‘la comunione dei santi’ e si rafforza la speranza nelle
realtà eterne. E’ così proibita la conservazione delle ceneri in casa, la loro
dispersione nella natura e ancor di più la loro trasformazione in oggetti,
quale per esempio la ‘diamantizzazione’, dove a fronte di una spesa di circa
3.500 €, si ottiene un oggetto dal valore dieci volte superiore. Tutte pratiche
che palesano il disagio dell’uomo moderno di fronte alla morte, come il
più grande tabù della nostra società secolarizzata. Comunque essa si presenti,
resta sempre l’ospite sgradita e un assurdo assolutamente inconciliabile con la
vita umana. Pur affermando la necessità di dare dignità al morire, si vanno
affermando comportamenti che si propongono la sua totale rimozione
dall’orizzonte dell’esistenza umana. Soprattutto la pratica della dispersione
delle ceneri nasconde il goffo tentativo di esorcizzare la drammaticità della
morte, riducendola al livello del determinismo ciclico naturale, e così
sottrarsi al dovere di darle un senso, cioè di rispondere al perché del suo
accadere storico, nella prospettiva di un destino aperto all’eternità, in cui
tutto verrà purificato e rinnovato.
Marco Belladelli.
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