"Gesù cammina sulle acque" - Biblioteca del Monastero di San Millán de Yuso, La Rioja (Spagna). |
XIX
Domenica del Tempo Ordinario, “A”
Comandami che io venga da te sulle acque.
[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato
La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!». Parola del Signore.
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Dopo la moltiplicazione dei pani Gesù ordina ai
discepoli di attraversare il lago di Genesaret. Lui intanto congeda la folla e
finalmente riesce a ritirarsi in preghiera, dopo la morte del Battista. Poi,
nel cuore della notte compie un gesto tanto inatteso, quanto per lui insolito,
raggiungere la barca dei discepoli “camminando sul mare”.
Mai ha ceduto alla tentazione dell’esibizionismo,
per guadagnarsi facili plauso e consenso. (cfr Mt 4,5ss). Mai Gesù ha ostentato
la sua origine divina, nemmeno nei momenti più tragici della sua vita (cfr Mt
26,53pp). Da come si presenta ai discepoli impauriti, che pensavano di vedere un fantasma: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”,
comprendiamo la sua reale intenzione, rivelare ai discepoli il mistero della
sua Persona. Il “Sono io!”
richiama nel suo significato il tetragramma ebraico, JHWH, con il quale Dio ha
rivelato se stesso a Mosè sul monte Sinai. Camminando sulle acque, in barba
alle leggi di natura valide per ogni altra creatura, Gesù vuole manifestare in
modo sempre più pieno la sua identità divina.
Il gesto di rivelazione esige dai discepoli una
risposta di fede sempre più chiara e convinta, che verrà soltanto alla fine: “Davvero tu sei Figlio di Dio!”.
Il siparietto tra Gesù e Pietro prepara il terreno.
Il principe degli Apostoli chiede pure lui di camminare
sull’acqua. La sua richiesta: “Signore, se sei tu, … ”, assomiglia molto alle insinuanti
provocazioni di satana durante le tentazioni nel deserto (cfr. Mt 4,3ss). Pur
sapendo bene che Gesù era il Figlio del Dio vivente, il diavolo voleva
insinuare il dubbio nel suo cuore, per indurlo a comportamenti non consoni alla sua
identità, alla volontà di Dio e incrinare così la sua comunione con il Padre e
lo Spirito per far fallire la sua missione.
Pietro, che invece non ha la stessa certezza di
satana, chiede un segno per essere certo di ciò che percepisce con i sensi,
cioè di trovarsi davanti a Dio. Insomma la domanda di Pietro è comunque una
sfida a Gesù, così come lo sono i nostri dubbi, incertezze, difficoltà e
resistenze di fronte a Dio. A volte il dubbio sembra essere più forte
dell’esperienza che facciamo di Dio e spesso è pure accompagnato dalla
disperazione di salvarsi: “Signore, salvami!”.
La preghiera di Pietro è contraddittoria: da una parte esprime l’esperienza del
credere in Dio, “Signore!”;
dall’altra la paura che Dio ci abbandoni al nostro destino: “salvami!”.
Quante volte abbiamo vissuto la stessa
contraddizione: dubitare che Dio possa davvero aiutarci e invocarlo come unica
nostra salvezza. Come per Pietro, il nostro affidarci a Dio per mezzo di Gesù,
è sempre fortemente condizionato da noi stessi. La nostra resistenza alla fede
è qualcosa di radicalmente profondo. A che fare con il peccato originale, su
cui poi si è innestata la nostra personale complicità con il male. Soltanto in
un secondo momento diventa una questione soggettiva, legata alla nostra storia
e psicologia.
Se ci è chiara la natura della nostra resistenza
a Dio, allora possiamo intraprendere il cammino necessario per superarle,
giorno, per giorno, con pazienza, ma ben determinati a crescere nella fede e
nell’abbandono in Lui.
Come diceva S. Agostino: “Ex fide, in fidem”, la mia fede di oggi è la premessa per la sua
crescita di domani. In mezzo c'è l'ineffabile esperienza di Dio, che per mezzo
di Gesù, si offre a noi nei sacramenti o negli eventi della nostra vita, così
come si è presentato a Pietro, in questa notte ventosa sul lago di Tiberade. Il
Gesù che lo afferra, lo salva e lo rimprovera: “Uomo di
poca fede, perché hai dubitato?” è lo stesso che
incontriamo nell’Eucaristia, vivo e presente in mezzo a noi, a cui ci affidiamo
ogni giorno nella fede.
Concludo con il proemio dell’enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II,
nella quale è ben evidente la mano dell’allora cardinal Ratzinger:
“La fede e la ragione sono come le due ali
con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità.
E’ Dio ad aver posto nel cuore dell'uomo il desiderio di conoscere la verità e,
in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere
anche alla piena verità su se stesso”.
Per
crescere nella fede bisogna pregare: “O
mio cuore, prega! …” (vedi il post omonimo nel blog).
Buona Domenica!
don Marco Belladelli.
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