Duomo di Mantova, 09/02/09.
LETTURE
1°
Apocalisse 7,9-10.15-17.
2°
Romani 6,3-9.
+Vg Matteo 5,1-12
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Ecc. Revv.me, Confratelli nel ministero, Religiose e
Religiosi e carissimi Sorelle e Fratelli nella fede in Cristo, anche a nome dei
Familiari di don Pompeo innanzitutto vi ringrazio per la vostra presenza
numerosa ed affettuosa, che davanti a Dio rende onore e gloria a don Pompeo per
tutto quello che egli è stato per se stesso ed ha rappresentato per ciascuno di
noi.
Siamo qui per un gesto di misericordia, qual è secondo la
fede cristiana il pregare per i morti e il consolare gli afflitti, perché, come
abbiamo ascoltato dal Vangelo: “Beati i misericordiosi, perché troveranno
misericordia”, anche noi andiamo giorno per giorno mendicando da Dio quella
stessa misericordia.
Sono qui a pronunciare queste parole di commiato per
esplicito mandato di don Pompeo e vorrei farlo a modo suo, cioè senza quella retorica
vanagloriosa, figlia del narcisismo, dell’esibizionismo stucchevole e del
politicamente corretto proprio dei nostri tempi, che non gli è mai appartenuta,
ma con la semplicità, la sincerità e l’autenticità dell’uomo che non teneva a
distanza il suo prossimo, perché non aveva secondi fini, né prioritari
interessi personali da perseguire, se non quello di annunciare il Vangelo. E
per questo ha saputo accompagnarsi a chiunque lo incontrasse, indipendentemente
dalla condizione sociale, culturale e tanto meno quella economica. A tal
proposito voglio ricordare una
caratteristica del suo temperamento, forse non a tutti nota: la sua facilità a
stringere amicizia con i bambini, ultimo dei quali, il piccolo Denis, il figlio
di Michele ed Elena, che affettuosamente lo hanno assistito e sostenuto in
questi ultimi tempi di fragilità e di incertezza. I bambini si accompagnano a
chi dà loro sicurezza e non s’impone con la forza, ma, rispettandoli, li aiuta
a crescere in sapienza, età e grazia, ma soprattutto in piena libertà. Per
questo Pompeo non è mai stato un uomo di potere. E non soltanto perché non ha
mai ricoperto responsabilità che comportassero il compito di decidere della
vita altrui. Non è neanche mai stato un pastore in senso stretto, come lo può
essere un parroco o un curato. Eppure la sua dedizione per attirare gli uomini
a Cristo non è stata meno incisiva e feconda. Anzi tutt’altro! La nostra
presenza oggi qui, tanto numerosa, socialmente, culturalmente e per generazione
trasversale, e sinceramente commossa per la sua morte ne è il segno più
evidente.
Mi viene da pensare: che cosa sarebbe stato il suo ministero
in termini di fecondità pastorale, se questo suo carisma avesse incrociato
quelle responsabilità a cui di volta in volta è stato candidato senza mai
raggiungerle? Forse non si è capita, e quindi nemmeno valorizzata, questa sua
capacità di stare con gli uomini del suo tempo e di camminare insieme con loro
per condurli a Cristo, tanto che a volte è bastato poco, una predica, una
lezione, una conferenza, il confronto per un consiglio, una confessione o anche
un incontro fortuito per diventare per molti un punto di riferimento certo, chiaro,
forte e soprattutto che non tradisce. Si è preferito dire che non era capace di
occuparsi delle cose concrete. Meglio lasciarlo in mezzo ai suoi libri.
Affidiamo tutto ciò che non è stato a quella Divina Misericordia
alla quale ci appelliamo sempre all’inizio di ogni nostra celebrazione
eucaristica, e che ora tutti ci comprende, e veniamo a ciò che realmente sono
stati la vita e il ministero di don Pompeo.
Una vita consumata nello studio e per l’insegnamento. Trentacinque
anni di docenza in Seminario. Oltre alla sua competenza specifica della
Filosofia e Teologia morale, ha insegnato anche Storia della Chiesa, Patristica,
Sacramentaria, per formare intere generazioni di preti ad essere in grado di
fare propria quella che era stata la grande sfida del Concilio Vaticano II,
coniugare per l’uomo di oggi quel rapporto tra fede e ragione, tra Chiesa e
modernità, che a causa di quel processo sempre più incalzante, che va sotto il
nome di secolarizzazione, si era così profondamente e sostanzialmente incrinato.
Fu l’allora Vescovo di Mantova, Mons. Poma, nella sua qualità di Padre
Conciliare, a renderlo partecipe, nel pieno del suo vigore giovanile insieme ad
altri confratelli, di quella straordinaria e storica stagione che fu il
Concilio Vaticano II per la Chiesa e per il mondo. Si trattava di far passare
quello spirito nella mente e nel cuore del clero, compito per il quale erano
necessari competenza, preparazione, entusiasmo, passione e spirito di
sacrificio, non alieni all’animo di don Pompeo.
Ma si sa: come in medicina i peggiori pazienti sono i
medici, così in pastorale le pecorelle più difficili da guidare ordinatamente all’ovile
siamo proprio noi preti. Strada facendo cambiarono prima le persone e poi le
circostanze. Le resistenze iniziali si trasformarono in un vero e proprio conflitto.
Furono anni difficili per la Chiesa di Mantova, nei quali all’entusiasmo si
sostituì la disillusione, e al coraggio delle scelte si preferì la routine di
sempre. E’ inutile nasconderlo qui, davanti alla sua bara: in tutto questo don
Pompeo pagò un prezzo alto, quasi da capro espiatorio.
Ma come si dice, il Signore chiude una finestra, per aprire una
porta. Così cominciò il secondo grande capitolo della sua vita, l’impegno
nell’ecumenismo. Chiamato dai Padri Francescani della provincia Triveneta
diventa uno dei principali animatori dell’Istituto di Scienze ecumeniche di “San
Bernardino” di Venezia, ricoprendo fino alla fine l’incarico di docente e per
molti anni anche quello di vice-Preside. Oltre all’insegnamento istituzionale,
i rapporti ecumenici lo proiettano in un orizzonte europeo: da Ginevra a
Istanbul, da Bucarest a SanPietroburgo. Nel frattempo non abbandona Mantova,
dove sempre in collaborazione con i Padri Francescani fonda e dirige l’Istituto
di Scienze religiose “S. Francesco”, indicato a suo tempo ad esempio per tutta
l’Italia.
Da ultimo è venuto l’impegno nell’UCID, il confronto con il
mondo dell’imprenditoria e dell’economia e la sua animazione cristiana. Una
realtà lontana e distante da tutto quello che abitualmente occupa l’agire
pastorale di un prete ed apparentemente refrattaria all’incontro con il
Vangelo. Anche in questo caso, sull’esempio del Seminatore evangelico, la sua
carità pastorale, unita alla sapienza e competenza di sempre, ha saputo trarre
dal buon terreno frutti abbondanti, tanto da suscitare un processo virtuoso di
emulazione a livello nazionale.
In tutti gli ambiti in cui don Pompeo si è impegnato, ci ha
sempre testimoniato il suo amore per la Chiesa. Quella Chiesa sacramento di
salvezza e mistero dell’incontro degli uomini con Dio, che si realizza e si
manifesta non in astratto, ma nella concretezza della vita e della storia di
ciascun credente e in particolare nella comunione umana e mistica che ci lega
gli uni gli altri nella Comunità locale. Sì, in questa Chiesa di Mantova per la
quale ha speso la sua vita e che non ha mai voluto abbandonare, anche quando
con lui si è mostrata più matrigna che Madre. A volte nei suoi confronti ho
fatto la parte della moglie di Giobbe, incitandolo alla ribellione: “Rimani ancor fermo nella tua integrità?” (Gb
2,9). A questo proposito voglio far risuonare ancora tra noi le sue stesse
parole. Era il 1 settembre 1988, era stato incaricato di dettare le meditazioni
iniziali durante la Settimana di Pastorale. Parlava della perseveranza nella
fedeltà a Dio e, parafrasando le lettere alle sette chiese dell’Apocalisse,
disse:
“Su
coraggio! Alza la testa Chiesa di Dio che sei in Mantova!
Il tuo
Dio, nella sua infinita misericordia, si è ricordato di te.”.
Un accorato grido di amore che scosse i presenti, come lo
Spirito Santo che a Pentecoste ha riempito il cuore degli Apostoli per
infiammarli dell’ardore divino. Fu la sua ultima partecipazione ad un incontro
solenne ed ufficiale della Chiesa mantovana. Quello che seguì fu solo l’oblio. In
quegli anni per un prete, frequentarlo o essergli anche semplicemente amico,
non giovava.
Gli ultimi dieci anni sono stati segnati dal graduale e inesorabile
peggioramento della salute. Prolungati ricoveri per patologie sempre diverse e
sempre più complesse, fino all’epilogo di venerdì scorso. Il peso della
malattia lo ha ancor più affinato spiritualmente, ben oltre il valore stesso
della sua cultura e della competenza teologica. Se ne sono accorti in tanti che
ascoltavano la sua predicazione settimanale, in Sant’Andrea prima e in Duomo
poi. Un vero dono di grazia attraverso il quale ci si sentiva docilmente
conquistati nel cuore e nella mente alle ragioni della fede e della speranza
nel Signore Gesù.
L’Apocalisse ha detto che il Signore tergerà ogni lacrima
dai loro occhi.
Ora che le mortificanti esperienze della sofferenza fisica e
morale sono finite, ora che stai al cospetto del tuo e nostro Redentore e del
vero Consolatore, ora che hai trovato la pienezza della consolazione, vivi
sereno in quella mitezza evangelica, che non hai mai perso, nemmeno nei giorni più
duri della prova fisica e morale. Vivi per sempre in quel Regno di Dio, che con
tanto ardore ci hai insegnato a desiderare sopra ogni cosa, preparato dal
Signore Gesù per i piccoli e i poveri in spirito come te. E non dimenticarti di
noi. Ci aspettano tempi di prova e di difficoltà forse ancora maggiori. Ottienici
dal Signore la tua stessa docilità, mitezza, laboriosità e intelligenza
pastorale.
Ciao Pompeo!
Don
Marco Belladelli.
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BIOGRAFIA DI DON POMPEO PIVA
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