venerdì 9 febbraio 2024

Santi, Beati e Testimoni/28


 RICORDO DI UN AMICO E DI UN MAESTRO
Nel 15° anniversario della morte di don Pompeo Piva (06/02/2009), mi sento in dovere di ricordare un amico e un maestro e di riproporre l'omelia che ho pronunciato in occasione della sua S. Messa esequiale nel Duomo di Mantova il 09/02, insieme ad una sua breve biografia. Senza nessuna particolare enfasi, è certo che nella sua vita e nel suo ministero sacerdotale don Pompeo è stato per molti un testimone di fede ed un umile servo della vigna del Signore. Per meglio conoscerlo è sempre disponibile sul blog la pagina a lui dedicata, dove trovate alcuni suoi scritti, attraverso i quali è possibile entrare in sintonia con il suo pensiero e la sua spiritualità.
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  Omelia per le esequie di Mons. Pompeo Piva

Duomo di Mantova, 09/02/09.

 

LETTURE

1° Apocalisse 7,9-10.15-17.

2° Romani 6,3-9.

+Vg  Matteo 5,1-12

 

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Ecc. Revv.me, Confratelli nel ministero, Religiose e Religiosi e carissimi Sorelle e Fratelli nella fede in Cristo, anche a nome dei Familiari di don Pompeo innanzitutto vi ringrazio per la vostra presenza numerosa ed affettuosa, che davanti a Dio rende onore e gloria a don Pompeo per tutto quello che egli è stato per se stesso ed ha rappresentato per ciascuno di noi.

Siamo qui per un gesto di misericordia, qual è secondo la fede cristiana il pregare per i morti e il consolare gli afflitti, perché, come abbiamo ascoltato dal Vangelo: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”, anche noi andiamo giorno per giorno mendicando da Dio quella stessa misericordia.

 

Sono qui a pronunciare queste parole di commiato per esplicito mandato di don Pompeo e vorrei farlo a modo suo, cioè senza quella retorica vanagloriosa, figlia del narcisismo, dell’esibizionismo stucchevole e del politicamente corretto proprio dei nostri tempi, che non gli è mai appartenuta, ma con la semplicità, la sincerità e l’autenticità dell’uomo che non teneva a distanza il suo prossimo, perché non aveva secondi fini, né prioritari interessi personali da perseguire, se non quello di annunciare il Vangelo. E per questo ha saputo accompagnarsi a chiunque lo incontrasse, indipendentemente dalla condizione sociale, culturale e tanto meno quella economica. A tal proposito  voglio ricordare una caratteristica del suo temperamento, forse non a tutti nota: la sua facilità a stringere amicizia con i bambini, ultimo dei quali, il piccolo Denis, il figlio di Michele ed Elena, che affettuosamente lo hanno assistito e sostenuto in questi ultimi tempi di fragilità e di incertezza. I bambini si accompagnano a chi dà loro sicurezza e non s’impone con la forza, ma, rispettandoli, li aiuta a crescere in sapienza, età e grazia, ma soprattutto in piena libertà. Per questo Pompeo non è mai stato un uomo di potere. E non soltanto perché non ha mai ricoperto responsabilità che comportassero il compito di decidere della vita altrui. Non è neanche mai stato un pastore in senso stretto, come lo può essere un parroco o un curato. Eppure la sua dedizione per attirare gli uomini a Cristo non è stata meno incisiva e feconda. Anzi tutt’altro! La nostra presenza oggi qui, tanto numerosa, socialmente, culturalmente e per generazione trasversale, e sinceramente commossa per la sua morte ne è il segno più evidente.

Mi viene da pensare: che cosa sarebbe stato il suo ministero in termini di fecondità pastorale, se questo suo carisma avesse incrociato quelle responsabilità a cui di volta in volta è stato candidato senza mai raggiungerle? Forse non si è capita, e quindi nemmeno valorizzata, questa sua capacità di stare con gli uomini del suo tempo e di camminare insieme con loro per condurli a Cristo, tanto che a volte è bastato poco, una predica, una lezione, una conferenza, il confronto per un consiglio, una confessione o anche un incontro fortuito per diventare per molti un punto di riferimento certo, chiaro, forte e soprattutto che non tradisce. Si è preferito dire che non era capace di occuparsi delle cose concrete. Meglio lasciarlo in mezzo ai suoi libri.

Affidiamo tutto ciò che non è stato a quella Divina Misericordia alla quale ci appelliamo sempre all’inizio di ogni nostra celebrazione eucaristica, e che ora tutti ci comprende, e veniamo a ciò che realmente sono stati la vita e il ministero di don Pompeo.

 

Una vita consumata nello studio e per l’insegnamento. Trentacinque anni di docenza in Seminario. Oltre alla sua competenza specifica della Filosofia e Teologia morale, ha insegnato anche Storia della Chiesa, Patristica, Sacramentaria, per formare intere generazioni di preti ad essere in grado di fare propria quella che era stata la grande sfida del Concilio Vaticano II, coniugare per l’uomo di oggi quel rapporto tra fede e ragione, tra Chiesa e modernità, che a causa di quel processo sempre più incalzante, che va sotto il nome di secolarizzazione, si era così profondamente e sostanzialmente incrinato. Fu l’allora Vescovo di Mantova, Mons. Poma, nella sua qualità di Padre Conciliare, a renderlo partecipe, nel pieno del suo vigore giovanile insieme ad altri confratelli, di quella straordinaria e storica stagione che fu il Concilio Vaticano II per la Chiesa e per il mondo. Si trattava di far passare quello spirito nella mente e nel cuore del clero, compito per il quale erano necessari competenza, preparazione, entusiasmo, passione e spirito di sacrificio, non alieni all’animo di don Pompeo.

Ma si sa: come in medicina i peggiori pazienti sono i medici, così in pastorale le pecorelle più difficili da guidare ordinatamente all’ovile siamo proprio noi preti. Strada facendo cambiarono prima le persone e poi le circostanze. Le resistenze iniziali si trasformarono in un vero e proprio conflitto. Furono anni difficili per la Chiesa di Mantova, nei quali all’entusiasmo si sostituì la disillusione, e al coraggio delle scelte si preferì la routine di sempre. E’ inutile nasconderlo qui, davanti alla sua bara: in tutto questo don Pompeo pagò un prezzo alto, quasi da capro espiatorio.

Ma come si dice, il Signore chiude una finestra, per aprire una porta. Così cominciò il secondo grande capitolo della sua vita, l’impegno nell’ecumenismo. Chiamato dai Padri Francescani della provincia Triveneta diventa uno dei principali animatori dell’Istituto di Scienze ecumeniche di “San Bernardino” di Venezia, ricoprendo fino alla fine l’incarico di docente e per molti anni anche quello di vice-Preside. Oltre all’insegnamento istituzionale, i rapporti ecumenici lo proiettano in un orizzonte europeo: da Ginevra a Istanbul, da Bucarest a SanPietroburgo. Nel frattempo non abbandona Mantova, dove sempre in collaborazione con i Padri Francescani fonda e dirige l’Istituto di Scienze religiose “S. Francesco”, indicato a suo tempo ad esempio per tutta l’Italia.

Da ultimo è venuto l’impegno nell’UCID, il confronto con il mondo dell’imprenditoria e dell’economia e la sua animazione cristiana. Una realtà lontana e distante da tutto quello che abitualmente occupa l’agire pastorale di un prete ed apparentemente refrattaria all’incontro con il Vangelo. Anche in questo caso, sull’esempio del Seminatore evangelico, la sua carità pastorale, unita alla sapienza e competenza di sempre, ha saputo trarre dal buon terreno frutti abbondanti, tanto da suscitare un processo virtuoso di emulazione a livello nazionale.

In tutti gli ambiti in cui don Pompeo si è impegnato, ci ha sempre testimoniato il suo amore per la Chiesa. Quella Chiesa sacramento di salvezza e mistero dell’incontro degli uomini con Dio, che si realizza e si manifesta non in astratto, ma nella concretezza della vita e della storia di ciascun credente e in particolare nella comunione umana e mistica che ci lega gli uni gli altri nella Comunità locale. Sì, in questa Chiesa di Mantova per la quale ha speso la sua vita e che non ha mai voluto abbandonare, anche quando con lui si è mostrata più matrigna che Madre. A volte nei suoi confronti ho fatto la parte della moglie di Giobbe, incitandolo alla ribellione: “Rimani ancor fermo nella tua integrità?” (Gb 2,9). A questo proposito voglio far risuonare ancora tra noi le sue stesse parole. Era il 1 settembre 1988, era stato incaricato di dettare le meditazioni iniziali durante la Settimana di Pastorale. Parlava della perseveranza nella fedeltà a Dio e, parafrasando le lettere alle sette chiese dell’Apocalisse, disse:

Su coraggio! Alza la testa Chiesa di Dio che sei in Mantova!

Il tuo Dio, nella sua infinita misericordia, si è ricordato di te.”.

Un accorato grido di amore che scosse i presenti, come lo Spirito Santo che a Pentecoste ha riempito il cuore degli Apostoli per infiammarli dell’ardore divino. Fu la sua ultima partecipazione ad un incontro solenne ed ufficiale della Chiesa mantovana. Quello che seguì fu solo l’oblio. In quegli anni per un prete, frequentarlo o essergli anche semplicemente amico, non giovava.

 

Gli ultimi dieci anni sono stati segnati dal graduale e inesorabile peggioramento della salute. Prolungati ricoveri per patologie sempre diverse e sempre più complesse, fino all’epilogo di venerdì scorso. Il peso della malattia lo ha ancor più affinato spiritualmente, ben oltre il valore stesso della sua cultura e della competenza teologica. Se ne sono accorti in tanti che ascoltavano la sua predicazione settimanale, in Sant’Andrea prima e in Duomo poi. Un vero dono di grazia attraverso il quale ci si sentiva docilmente conquistati nel cuore e nella mente alle ragioni della fede e della speranza nel Signore Gesù.

 

L’Apocalisse ha detto che il Signore tergerà ogni lacrima dai loro occhi.

Ora che le mortificanti esperienze della sofferenza fisica e morale sono finite, ora che stai al cospetto del tuo e nostro Redentore e del vero Consolatore, ora che hai trovato la pienezza della consolazione, vivi sereno in quella mitezza evangelica, che non hai mai perso, nemmeno nei giorni più duri della prova fisica e morale. Vivi per sempre in quel Regno di Dio, che con tanto ardore ci hai insegnato a desiderare sopra ogni cosa, preparato dal Signore Gesù per i piccoli e i poveri in spirito come te. E non dimenticarti di noi. Ci aspettano tempi di prova e di difficoltà forse ancora maggiori. Ottienici dal Signore la tua stessa docilità, mitezza, laboriosità e intelligenza pastorale.

Ciao Pompeo!

 

Don Marco Belladelli.

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BIOGRAFIA DI DON POMPEO PIVA

Nasce a Quingentole (Mantova) il 20 giugno 1933, è il terzogenito di Aldo e Annita Maccari. Nel 1948 muore il Padre per le conseguenze di una aggressione subita da parte di squadristi fascisti negli anni del regime, alla quale Pompeo aveva assistito personalmente. Trascorre gli anni delle Medie e del Ginnasio presso i Salesiani di Ferrara. La positiva influenza del giovane parroco, don Alvaro Mani, lo orienta alla vita sacerdotale. Nell’ottobre del 1952 entra nel Seminario diocesano di Mantova, dove conclude il Liceo e inizia la Teologia. Nell’autunno del 1958 viene mandato al Collegio Lombardo di Roma dove completa i corsi istituzionali e consegue la licenza in Teologia Dogmatica presso l’Università Pontificia Gregoriana. Il 23 Settembre del 1961 l’allora Vescovo, in seguito cardinal Antonio Poma, lo ordina sacerdote per la Diocesi di Mantova, nella sua parrocchia di origine, a Quingentole, diversamente da tutti gli altri compagni di corso. Dopo la Licenza, nel Settembre del 1963, appena tornato da Roma, comincia il suo lungo percorso di insegnante di filosofia e teologia morale presso il Seminario Vescovile, fino al Giugno 1999.
Nel 1976 inizia la collaborazione con i Padri Francescani della provincia Triveneta, con l’insegnamento della Teologia morale Fondamentale, e dei Sacramenti della Riconciliazione e del Matrimonio presso lo Studio Teologico “S. Bernardino” di Verona,  fino al 2003. Quando nel 1982 nasce l’Istituto di Studi Ecumenici "S. Bernardino", con sede prima a Verona e poi a Venezia, gli vengono affidati l’insegnamento dell’ Ermeneutica e metodologia ecumenica, e dell’ Etica ecumenica. Nel 1984 discute la tesi di Dottorato in Teologia presso il Pontificio Ateneo "Antonianum" di Roma, dal titolo: “La fondazione critica della Norma di moralità alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana”,  pubblicata successivamente dalla editrice  LIEF  di Vicenza (1987). Per lungo tempo ricoprirà anche la responsabilità di vice-Preside dello stesso Istituto. Nel 2002, per la riconosciuta competenza in campo ecumenico, fu chiamato a far parte delle delegazione cattolica che a Venezia, sotto la guida dell'allora Cardinale Joseph Ratzinger, il futuro Papa Benedetto XVI, discusse con quella Ortodossa, inviata dal patriarca di Mosca Alessio II, per ricucire i rapporti tra le due Chiese.
Nel frattempo in Diocesi, oltre all’insegnamento in Seminario, ricopre i seguenti incarichi: nel 1970 fu nominato Presidente della Commissione per la Liturgia, l’Arte e la Musica sacra; nel 1971 Esanimatore pro-Sinodale, nel 1974 Canonico Penitenziere, nel 1977 Presidente della Commissione per l’Educazione della Fede, nel 1975 Delegato Vescovile per l’Istituto di “Maria Immacolata delle Oblate dei Poveri” (comunemente conosciuto come le Suore del Gradaro). Nel 1981 fonda e dirige lo Studio teologico per Laici “S. Francesco”, elevato nel 1986 a Istituto di Scienze religiose. Dopo molti anni che ne ricopriva la responsabilità ad actum, finalmente nel 1989 arriva anche il decreto che lo investe quale Vicario Giudiziale della Diocesi.
Nel 1993 in forte dissenso con il Vescovo e per dissociarsi dai metodi ambigui e confusi con cui viene governata la Diocesi, rinuncia a tutti gli uffici diocesani. Ma non resta inattivo. Sono gli anni della feconda collaborazione con l’UCID, l’Associazione degli Imprenditori e Dirigenti Cristiani. L’esperienza mantovana diventa un esempio per tutta l’Italia e nel 2005, cooptato direttamente dall’Assistente Nazionale, il Cardinal Antonelli, viene nominato Consulente nazionale UCID per i problemi culturali.
Nell’estate 2006 cominciano a manifestarsi i seri problemi di salute, che con alterne vicende non lo abbandoneranno mai, fino al momento della morte, avvenuta il 6 Febbraio 2009, presso l’Ospedale “Carlo Poma” di Mantova.

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