La lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
Dal Vangelo secondo Marco (1, 40-45)
In quel tempo, venne da Gesù
un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi
purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo
voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu
purificato.
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte. Parola del Signore.
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Dopo l’intensa
giornata di Cafarnao, Marco ci racconta la guarigione di un lebbroso, che non
sappiamo dove e quando è avvenuta, ma ciò che interessa è il fatto in sé. La
lebbra infatti non era una malattia come le altre, oltre a sfigurare e deturpare orribilmente
la persona, era il segno di una punizione divina, come accadde a Maria, la
sorella di Mosè, diventata improvvisamente lebbrosa per la sua superbia (cfr.
Num. 12,10). Per questo il lebbroso era considerato peggio di un pubblico
peccatore. Ancora ai tempi di Gesù, l’unico rimedio consisteva nell’isolare i
lebbrosi lontano dai centri abitati, in luoghi deserti, per evitare il
diffondersi del contagio. Quando qualcuno di loro si aggirava nelle vicinanze di
città o villaggi in cerca di cibo o di qualche altro aiuto, doveva gridare: “Immondo!”.
Guarire dalla lebbra era praticamente impossibile,
se non per un miracolo, come nel caso del generale siriano Naamàn (cfr. 2Re
5,1-14). Per questa sua valenza religiosa, spettava al sacerdote costatare
l’eventuale guarigione.
Tenuto conto di un tale contesto, il gesto
compiuto da Gesù è davvero clamoroso. Oltre a dare ascolto al lebbroso, gli
tende la mano fino a toccarlo. Non si tratta di un azzardo provocatorio, ma di
una precisa volontà divina: “Lo voglio,
sii purificato!”. Gesù manifesta che nell’atto redentivo è compresa anche
la “purificazione” dell’uomo da tutto
ciò che lo teneva lontano da Dio, riabilitandolo di nuovo al rapporto con Dio.
La guarigione dalla lebbra non è soltanto una
semplice reintegrazione umana e sociale, ma è qualcosa di più profondo e
radicale che ha a che fare con la dimensione religiosa dell’uomo, una realtà,
come dice Sant’Agostino, più intima di quanto io lo sia a me stesso. Viene in
mente la beatitudine di Matteo: “Beati i
puri di cuore perché vedranno Dio” (5,8). Il rapporto con Dio è il
fondamento della vera dignità dell’uomo. Gesù non soltanto guarisce lo spirito
e il corpo, come abbiamo visto nella giornata di Cafarnao, ma guarisce anche
l’anima dell’uomo, riscattandola da ogni di marginalità e discriminazione.
Se, per grazia di Dio, almeno qui in Occidente
non corriamo il pericolo del contagio fisico, rimane molto diffusa la lebbra
del cuore. Nell’immaginario collettivo il lebbroso oggi individua una persona
socialmente nociva, da tenere a debita distanza per il pericolo di contagio. Pensate
a tutte le forme di discriminazioni e di emarginazioni, spesso anche
motivate religiosamente, che la storia
ci ha fatto conoscere, tutt’altro che superate. In una società senza Dio, più
si afferma il principio di uguaglianza di tutti gli esseri umani e più si vanno
affermando forme di discriminazioni sempre nuove e sempre più umilianti.
Facciamo nostro l’invito di san Paolo nella 2°
lettura: “Diventate miei imitatori, come
io lo sono di Cristo” (1 Cor 11,1). Per superare discriminazioni ed
emarginazione è necessario un atto di profonda solidarietà, che inizia con il
toccare il lebbroso e finisce con la morte in croce con cui si è realizzata la
salvezza, perché la via della purezza rituale o legale, fatta di separazioni e
distanze, si è già rivelata fallimentare con Israele.
Alla fine del racconto troviamo di nuovo l’ammonimento
a non dire niente a nessuno, se non ai sacerdoti, ai quali Gesù invia l’ex
lebbroso per accertare l’avvenuta guarigione e per dare loro un messaggio circa
la sua persona e la sua missione. Gesù, non vuole essere scambiato per un
qualsiasi guaritore, come la divulgazione di certi fatti lascerebbe intendere,
ma vuole essere creduto come il Figlio di Dio fatto uomo per la salvezza del
mondo. Coloro che invece potevano capire che cosa stava realmente succedendo
attraverso i segni compiuti da Gesù, erano proprio i sacerdoti. Oggi questo segno
è per noi, perché crediamo che Gesù è il Figlio di Dio e accogliamo il regno di
Dio, presente in mezzo a noi.
Per la Giornata Mondiale del Malato ricordiamoci di pregare tutti i giorni per gli ammalati e per chi li assiste e meditiamo su un passaggio del messaggio del Santo Padre:
"In questo cambiamento d’epoca che viviamo, specialmente noi cristiani siamo chiamati ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù. Prendiamoci cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato e scartato. Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione.".
Buona Domenica!
don Marco Belladelli
Signore sostieni col tuo Spirito gli ammalati e infondi speranza chi li assiste
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