lunedì 22 gennaio 2024

LA VOCE DI MANTOVA/103

INTERVISTA DE “LA VOCE DI MANTOVA” A DON MARCO BELLADELLI PER IL 45° ANNIVERSARIO DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE

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Lei è un manager in abito talare con la responsabilità di coordinare oltre 200 ospedali religiosi su tutto il territorio italiano. Che differenza c’è tra un ospedale pubblico e uno religioso?

«Un recente censimento svolto dalla Pontificia Commissione per le Attività del Settore Sanitario delle Persone Giuridiche Pubbliche della Chiesa, di cui sono Coordinatore, ha evidenziato che l’attività sanitaria della Chiesa in Italia conta 350 strutture, suddivise in 228 territoriali (RSA; RSD; Centri diurni; ambulatori; hospice; ecc.); 64 di ricovero (ospedali classificati; case di cura; istituti di ricerca; policlinici; ecc.) e 58 centri di riabilitazione, a cui vanno sommate altre realtà con diverso profilo giuridico, ma ugualmente ispirate cristianamente e partecipi della missione della Chiesa. Va sempre ricordato infatti che la ragione fondamentale della presenza della Chiesa in ambito sanitario è intrinsecamente legata alla missione che il Signore Gesù le ha affidato, e cioè annunciare il Vangelo attraverso una testimonianza misericordiosa verso malati e sofferenti. Nel complesso parliamo di circa il 7% della attività sanitaria del Paese. I promotori di questa attività sono 45 Istituti Religiosi maschili e femminili e 35 Diocesi.

Le due differenze fondamentali tra una struttura pubblica e una religiosa sono la proprietà e la gestione, entrambe in carico all’Ente giuridico di riferimento, cioè un Istituto religioso (Suore e Frati) o una Diocesi. Di tutto questo sistema sanitario meno del 4% è strettamente privato, tutto il resto è attività equiparata al pubblico, oppure accreditata e convenzionata con il SSN (Sistema Sanitario Nazionale), quindi accessibile a qualsiasi cittadino. Un ultimo elemento da evidenziare è che l’80% di tutta questa attività si svolge in ambito riabilitativo e per l’assistenza delle fasce sociali più deboli ed emarginate, cioè di bambini, anziani, terminali, psichiatrici e via dicendo. ».

 

Con la legge 23 dicembre 1978, 45 anni fa nasceva il Sistema Sanitario Nazionale. Ai cittadini appare sempre di più come un "grande malato". Cosa non funziona in questo sistema di welfare, è veramente tutta colpa del Covid?

«Per come si era deciso di tradurre l’art. 32 della Costituzione, che tutela il diritto alla salute di ogni cittadino e impegna lo Stato a garantire la gratuità delle cure agli indigenti, le premesse del SSN erano incoraggianti. Coniugato con il principio dell’uguaglianza, per superare la discriminante dalla disparità economica, e con il principio della solidarietà, per integrare la sanità con l’assistenza sociale, ad ogni cittadino fu garantito l’accesso libero e gratuito a tutti i servizi sanitari offerti dallo Stato. Si è trattato di un momento di crescita umana, sociale, civile, democratica e morale dell’Italia. Già agli inizi degli anni 90 ne furono però denunciati limiti e lacune, dovuti ad una gestione troppo politicizzata, ad un esagerato sviluppo della burocrazia e all’incremento incontrollato della spesa. I susseguirsi poi dei numerosi scandali di malasanità aumentarono la sfiducia dei cittadini verso il SSN per la sua scarsa efficacia ed efficienza. 

La riforma degli anni 90, che ha introdotto la regionalizzazione e l’aziendalizzazione, ha enfatizzato i problemi già in precedenza denunciati e la pandemia COVID ha fatto esplodere la situazione oltre ogni limite. Un alto Dirigente dell’AGENAS (ente nazionale, che offre supporto tecnico, di ricerca, monitoraggio, valutazione, formazione e innovazione dei servizi sanitari per le Regioni e lo Stato), in una conversazione confidenziale affermava che oggi è impossibile fare debito in sanità. Come si spiega allora che negli ultimi due anni 15 Regioni su 20 abbiano sforato il budget, tra cui anche quelle tradizionalmente virtuose? La Regione Lazio denuncia oggi addirittura un deficit di 23 miliardi, l’equivalente di una intera legge finanziaria. I cittadine chiedono di essere curati bene e nel minor tempo possibile e a mio parere un buon Sistema Sanitario deve saper coniugare una buona organizzazione dei servizi, con la miglior qualità clinica possibile, escludendo tutto quello è di ostacolo alla una buona sanità, a cominciare dalle interferenze politiche, sempre accompagnate da pregiudiziali ideologiche, che non hanno niente a che vedere con la buona pratica clinica. Questa è la strada per spendere bene in sanità. ...».

I cittadini si rivolgono sempre più alla sanità privata a causa delle lungaggini delle liste d’attesa. È così anche per gli ospedali religiosi?

«La sanità privata oggi supera i 45 miliardi di fatturato ed è in continua espansione proprio per il problema delle liste d’attesa. In Veneto negli ultimi anni sono stati assunti più di 4.000 addetti per ridurre le liste d’attesa e il problema invece di risolversi, si è ampliato. Faccio un esempio molto concreto: se una visita cardiologica con EGC, in convenzione con il SSN è pagata alla struttura € 20, tutto compreso, cioè prestazione medica, infermieristica , uso della strumentazione e materiale di facile consumo, è ovvio che se ne faranno il meno possibile. Si tratta di un problema organizzativo, che tocca tanti interessi, per il quale gli ospedali religiosi sono pronti a dare il loro contributo a condizioni di equità.  ...».

I pazienti passano ore o giorni sulle barelle dei pronto soccorso. È tollerabile secondo lei questa situazione?

«Il problema delle barelle nei Pronto Soccorso è dovuto alla riduzione dei posti letto, avvenuta da trent’anni a questa parte per l’introduzione del pagamento delle prestazioni in base alla diagnosi, e non più a retta giornaliera per posto letto occupato. Il problema è stato ancora più drammatico durante la pandemia, quando nelle Rianimazioni si è arrivati a scegliere chi curare e chi lasciare morire, sempre per la mancanza di posti letto. Si tratta di trovare un punto di equilibrio tra l’offerta e la richiesta di servizi sanitari del territorio».

Come si comportano gli ospedali religiosi di fronte alla carenza di medici ed infermieri? Sempre meno medici vogliono lavorare nel pubblico impiego. Cosa sta succedendo alla classe medica?

« Mentre qualche decennio fa gli Ospedali religiosi erano più appetibili perché offrivano condizioni economiche più vantaggiose, oggi non è più così e anche nelle nostre strutture si fa spesso ricorso ai cosiddetti “gettonisti”, cioè infermieri e medici legati contrattualmente a società esterne, unicamente per ragioni economiche. Negli anni Settanta molti miei coetanei hanno fatto il medico, quando le condizioni economiche erano ancora vantaggiose. Oggi un medico comincia a lavorare verso i 30 anni e il suo compenso non è molto più vantaggioso di quello di un bancario. ...».

Mantova è una provincia con un bacino d’utenza limitato, nonostante ciò vi è un solo ospedale pubblico, tanti piccoli presidi ospedalieri privati accreditati e un ospedale classificato religioso. Non vi è forse troppa concorrenza?

« Se si riferisce alla San Clemente, non si tratta di un ospedale classificato, ma di una casa di cura convenzionata. Secondo me invece Mantova e provincia avrebbe bisogno di una vera concorrenza, sul piano manageriale, su quello della buona pratica clinica e soprattutto su quello di una assistenza al paziente più umanizzata, un tema che meriterebbe ben altro sviluppo  ...».

Come vede la sanità in futuro di fronte all’invecchiamento della popolazione e all’aumento delle patologie croniche legate all’invecchiamento della popolazione? Ha ancora futuro il nostro Ssn?

«...Insieme all’invecchiamento della popolazione e all’aumento della cronicità, il vero problema presente e futuro sono le patologie degenerative, e cioè quelle oncologiche, cardiologiche e neurologiche, a cui la ricerca sta cercando di dare risposte sempre più efficaci. Uno degli ambiti da cui ci aspettiamo i risultati importanti è quello delle cellule staminali, un vero bagaglio di scorta per la rigenerazione dei vari tessuti umani.

Non è da trascurare il tema delle migrazioni, inteso in senso molto ampio, veicolo per la diffusione di vecchie patologie che pensavano superate, oppure di nuove infezioni sconosciute. La recente pandemia insegna. Ricordo la superficialità di tanti che nel Gennaio/Febbraio 2020 ci rassicuravano con un sorriso a 32 denti che non saremmo mai stati coinvolti dal Covid. Come sono andate le cose lo sappiamo tutti.

Di un SSN non si può fare ameno. Secondo la Costituzione lo Stato dovrebbe garantire la gratuità delle cure agli indigenti, ma una volta che si è voluto dare tutto a tutti, si fa fatica tornare indietro. In Francia e in Germania, per esempio, è in vigore un sistema misto, dove il cittadino con una sua assicurazione contribuisce alle spese sanitarie. Come ho già detto, secondo me vanno coniugate insieme buona organizzazione dei servizi e buona pratica clinica.           ».

 

La Chiesa cattolica ha fondato buona parte degli ospedali italiani, può avere ancora un ruolo da protagonista nel rilancio della sanità?

«...Fin dai primi secoli, i Vescovi presiedevano la cattedra della Parola e la cattedra della carità, da dove poi si è sviluppata la sanità moderna. La Chiesa è il più grande gestore sanitario del mondo, non c’è paese al mondo dove la Chiesa non svolga attività sanitaria. In Africa più del 90% dell’attività sanitaria è in mano alla Chiesa. Negli Stati Uniti e in Belgio più del 50% degli ospedali è gestito dalla Chiesa e nessuno si scandalizza, come succede in Italia, dove molti politici gridano forsennatamente: “Sanità pubblica! Sanità pubblica!” e poi vanno a farsi curare al Gemelli … Il mio compito è quello di dare sostenibilità alla sanità religiosa italiana, perché non venga a mancare nella società italiana questa testimonianza misericordiosa.     ». 

 

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