INTERVISTA DE “LA VOCE DI MANTOVA” A DON MARCO BELLADELLI PER IL 45° ANNIVERSARIO DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE
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Lei
è un manager in abito talare con la responsabilità di coordinare oltre 200
ospedali religiosi su tutto il territorio italiano. Che differenza c’è tra
un ospedale pubblico e uno religioso?
«Un recente censimento
svolto dalla Pontificia Commissione per le
Attività del Settore Sanitario delle Persone Giuridiche Pubbliche della Chiesa,
di cui sono Coordinatore, ha
evidenziato che l’attività sanitaria della Chiesa in Italia
conta 350 strutture, suddivise in 228 territoriali (RSA; RSD; Centri diurni;
ambulatori; hospice; ecc.); 64 di ricovero (ospedali classificati; case di
cura; istituti di ricerca; policlinici; ecc.) e 58 centri di riabilitazione, a
cui vanno sommate altre realtà con diverso profilo giuridico, ma ugualmente
ispirate cristianamente e partecipi della missione della Chiesa. Va sempre
ricordato infatti che la ragione fondamentale della presenza della Chiesa in
ambito sanitario è intrinsecamente legata alla missione che il Signore Gesù le
ha affidato, e cioè annunciare il Vangelo attraverso una testimonianza
misericordiosa verso malati e sofferenti. Nel complesso parliamo di circa il 7%
della attività sanitaria del Paese. I promotori di questa attività sono 45
Istituti Religiosi maschili e femminili e 35 Diocesi.
Le due differenze fondamentali tra una struttura pubblica e una religiosa sono la proprietà e la gestione, entrambe in carico all’Ente giuridico di riferimento, cioè un Istituto religioso (Suore e Frati) o una Diocesi. Di tutto questo sistema sanitario meno del 4% è strettamente privato, tutto il resto è attività equiparata al pubblico, oppure accreditata e convenzionata con il SSN (Sistema Sanitario Nazionale), quindi accessibile a qualsiasi cittadino. Un ultimo elemento da evidenziare è che l’80% di tutta questa attività si svolge in ambito riabilitativo e per l’assistenza delle fasce sociali più deboli ed emarginate, cioè di bambini, anziani, terminali, psichiatrici e via dicendo. ».
Con
la legge 23 dicembre 1978, 45 anni fa nasceva il Sistema Sanitario Nazionale.
Ai cittadini appare sempre di più come un "grande malato". Cosa
non funziona in questo sistema di welfare, è veramente tutta colpa del
Covid?
«Per come si era deciso di tradurre l’art.
32 della Costituzione, che tutela il diritto alla salute di ogni cittadino e
impegna lo Stato a garantire la gratuità delle cure agli indigenti, le premesse
del SSN erano incoraggianti. Coniugato con il principio dell’uguaglianza, per
superare la discriminante dalla disparità economica, e con il principio della
solidarietà, per integrare la sanità con l’assistenza sociale, ad ogni
cittadino fu garantito l’accesso libero e gratuito a tutti i servizi sanitari
offerti dallo Stato. Si è trattato di un momento di crescita umana, sociale,
civile, democratica e morale dell’Italia. Già agli inizi degli anni 90 ne furono
però denunciati limiti e lacune, dovuti ad una gestione troppo politicizzata,
ad un esagerato sviluppo della burocrazia e all’incremento incontrollato della
spesa. I susseguirsi poi dei numerosi scandali di malasanità aumentarono la
sfiducia dei cittadini verso il SSN per la sua scarsa efficacia ed efficienza.
La riforma degli anni 90,
che ha introdotto la regionalizzazione e l’aziendalizzazione, ha enfatizzato i
problemi già in precedenza denunciati e la pandemia COVID ha fatto esplodere la
situazione oltre ogni limite. Un alto Dirigente dell’AGENAS (ente nazionale, che offre supporto tecnico, di ricerca,
monitoraggio, valutazione, formazione e innovazione dei servizi sanitari per le
Regioni e lo Stato), in una conversazione confidenziale
affermava che oggi è impossibile fare debito in sanità. Come si spiega allora
che negli ultimi due anni 15 Regioni su 20 abbiano sforato il budget, tra cui
anche quelle tradizionalmente virtuose? La Regione Lazio denuncia oggi addirittura
un deficit di 23 miliardi, l’equivalente di una intera legge finanziaria. I
cittadine chiedono di essere curati bene e nel minor tempo possibile e a mio
parere un buon Sistema Sanitario deve saper coniugare una buona organizzazione
dei servizi, con la miglior qualità clinica possibile, escludendo tutto quello
è di ostacolo alla una buona sanità, a cominciare dalle interferenze politiche,
sempre accompagnate da pregiudiziali ideologiche, che non hanno niente a che
vedere con la buona pratica clinica. Questa è la strada per spendere bene in
sanità. ...».
I
cittadini si rivolgono sempre più alla sanità privata a causa delle lungaggini
delle liste d’attesa. È così anche per gli ospedali religiosi?
«La sanità privata oggi supera i 45 miliardi di fatturato ed
è in continua espansione proprio per il problema delle liste d’attesa. In
Veneto negli ultimi anni sono stati assunti più di 4.000 addetti per ridurre le
liste d’attesa e il problema invece di risolversi, si è ampliato. Faccio un
esempio molto concreto: se una visita cardiologica con EGC, in convenzione con
il SSN è pagata alla struttura € 20, tutto compreso, cioè prestazione medica,
infermieristica , uso della strumentazione e materiale di facile consumo, è
ovvio che se ne faranno il meno possibile. Si tratta di un problema
organizzativo, che tocca tanti interessi, per il quale gli ospedali religiosi
sono pronti a dare il loro contributo a condizioni di equità. ...».
I
pazienti passano ore o giorni sulle barelle dei pronto soccorso. È tollerabile
secondo lei questa situazione?
«Il problema delle barelle nei Pronto Soccorso è dovuto alla
riduzione dei posti letto, avvenuta da trent’anni a questa parte per
l’introduzione del pagamento delle prestazioni in base alla diagnosi, e non più
a retta giornaliera per posto letto occupato. Il problema è stato ancora più
drammatico durante la pandemia, quando nelle Rianimazioni si è arrivati a
scegliere chi curare e chi lasciare morire, sempre per la mancanza di posti
letto. Si tratta di trovare un punto di equilibrio tra l’offerta e la richiesta
di servizi sanitari del territorio».
Come si comportano gli ospedali religiosi di fronte alla
carenza di medici ed infermieri? Sempre meno medici vogliono lavorare nel
pubblico impiego. Cosa sta succedendo alla classe medica?
« Mentre qualche decennio fa gli Ospedali religiosi erano
più appetibili perché offrivano condizioni economiche più vantaggiose, oggi non
è più così e anche nelle nostre strutture si fa spesso ricorso ai cosiddetti “gettonisti”, cioè infermieri e medici
legati contrattualmente a società esterne, unicamente per ragioni economiche.
Negli anni Settanta molti miei coetanei hanno fatto il medico, quando le
condizioni economiche erano ancora vantaggiose. Oggi un medico comincia a
lavorare verso i 30 anni e il suo compenso non è molto più vantaggioso di
quello di un bancario. ...».
Mantova
è una provincia con un bacino d’utenza limitato, nonostante ciò vi è un solo
ospedale pubblico, tanti piccoli presidi ospedalieri privati accreditati e
un ospedale classificato religioso. Non vi è forse troppa concorrenza?
« Se si riferisce alla San Clemente, non si tratta di un
ospedale classificato, ma di una casa di cura convenzionata. Secondo me invece Mantova
e provincia avrebbe bisogno di una vera concorrenza, sul piano manageriale, su
quello della buona pratica clinica e soprattutto su quello di una assistenza al
paziente più umanizzata, un tema che meriterebbe ben altro sviluppo ...».
Come
vede la sanità in futuro di fronte all’invecchiamento della popolazione e
all’aumento delle patologie croniche legate all’invecchiamento della popolazione?
Ha ancora futuro il nostro Ssn?
«...Insieme all’invecchiamento della
popolazione e all’aumento della cronicità, il vero problema presente e futuro
sono le patologie degenerative, e cioè quelle oncologiche, cardiologiche e
neurologiche, a cui la ricerca sta cercando di dare risposte sempre più
efficaci. Uno degli ambiti da cui ci aspettiamo i risultati importanti è quello
delle cellule staminali, un vero bagaglio di scorta per la rigenerazione dei
vari tessuti umani.
Non è da trascurare il tema delle
migrazioni, inteso in senso molto ampio, veicolo per la diffusione di vecchie
patologie che pensavano superate, oppure di nuove infezioni sconosciute. La
recente pandemia insegna. Ricordo la superficialità di tanti che nel
Gennaio/Febbraio 2020 ci rassicuravano con un sorriso a 32 denti che non
saremmo mai stati coinvolti dal Covid. Come sono andate le cose lo sappiamo
tutti.
Di un SSN non si può fare ameno.
Secondo la Costituzione lo Stato dovrebbe garantire la gratuità delle cure agli
indigenti, ma una volta che si è voluto dare tutto a tutti, si fa fatica
tornare indietro. In Francia e in Germania, per esempio, è in vigore un sistema
misto, dove il cittadino con una sua assicurazione contribuisce alle spese
sanitarie. Come ho già detto, secondo me vanno coniugate insieme buona
organizzazione dei servizi e buona pratica clinica. ».
La
Chiesa cattolica ha fondato buona parte degli ospedali italiani, può avere
ancora un ruolo da protagonista nel rilancio della sanità?
«...Fin dai primi secoli, i Vescovi presiedevano la cattedra
della Parola e la cattedra della carità, da dove poi si è sviluppata la sanità
moderna. La Chiesa è il più grande gestore sanitario del mondo, non c’è paese
al mondo dove la Chiesa non svolga attività sanitaria. In Africa più del 90%
dell’attività sanitaria è in mano alla Chiesa. Negli Stati Uniti e in Belgio
più del 50% degli ospedali è gestito dalla Chiesa e nessuno si scandalizza,
come succede in Italia, dove molti politici gridano forsennatamente: “Sanità pubblica! Sanità pubblica!” e poi
vanno a farsi curare al Gemelli … Il mio compito è quello di dare sostenibilità
alla sanità religiosa italiana, perché non venga a mancare nella società
italiana questa testimonianza misericordiosa. ».
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