Peter Paul Rubens, La famiglia Gonzaga in adorazione della SS.ma Trinità, 1604/5, Mantova. |
Solennità della SS. Trinità “A”
Dio
ha mandato il Figlio suo perché il mondo si salvi per mezzo di lui.
DAL
VANGELO SECONDO GIOVANNI, ( 3, 16-18).
In
quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il
Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la
vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma
perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
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Dopo aver celebrato gli eventi fondamentali della salvezza, e cioè l’incarnazione,
la morte e risurrezione di Gesù e il dono dello Spirito Santo, la Chiesa
contempla il mistero principale della fede cristiana: l’unità e la trinità di
Dio. Diciamo “mistero” naturalmente non nel senso di una cosa oscura e astrusa,
ma di realtà a noi superiore, nella quale siamo personalmente “compresi”,
contrariamente a quanto avviene per ogni altro processo conoscitivo, dove
qualsiasi altro oggetto è da noi “compreso”. In questo percorso infatti è la
fede a guidare la ragione nell’esperienza spirituale-religiosa dell’incontro,
del rapporto e della comunione con il Dio-Amore. Per non smarrirci in
elucubrazioni che rischiano di portarci fuori strada, lasciamoci guidare dal
brano evangelico che oggi la liturgia ci propone.
Siamo al terzo capitolo di Giovanni, dove nella prima parte si racconta
l’incontro notturno di Gesù con Nicodemo, un membro del Sinedrio che, nonostante
alcune perplessità, stima il Maestro e si sente attratto dalla sua predicazione.
Nel loro dialogo, Gesù lo invita a considerare le cose dal punto di vista di
Dio, per comprendere la realtà del regno di Dio, che è venuto ad annunciare ed
ad istaurare. Ciò che viene dall’alto, cioè viene dallo Spirito, è opera di Dio
(Gv 3,3.5), e lo può comprendere soltanto chi è disposto a rinascere “dall’alto” (Gv 3,7). Realtà spiegate più concretamente con
l’esempio di Mosè che nel deserto innalzò il serpente, figura di Gesù crocifisso,
dal quale viene il dono della vita eterna per chi crede. Arriviamo così al
nostro brano evangelico proposto oggi dalla liturgia, composto di tre
affermazioni. Nella prima Gesù rivela il piano di salvezza di Dio, che “ha tanto amato il mondo da
dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16) perché chi crede non vada perduto, ma
abbia la vita eterna. Secondo la figura
letteraria tipicamente semitica del parallelismo sinonimico, segue la
riformulazione dello stesso concetto al negativo. Nella terza affermazione si evidenzia
il tema del giudizio, inteso non come iniziativa divina, ma come conseguenza dell’agire
umano, perché la condanna e la salvezza dipendono dal rifiuto o
dall’accoglienza da parte degli uomini del “l’unigenito Figlio di Dio”.
Ciò che a noi oggi principalmente interessa è la rivelazione del
mistero di Dio come amore infinito per il mondo, fino a dare il suo Figlio
unigenito: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché
chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Il Dio che “ha tanto amato il mondo” trova nel Figlio unigenito la necessaria
corrispondenza di amore al volere del Padre per rendersi disponibile a farsi
uomo fino alla morte, e alla morte di croce (cfr Fil 2,6-8), perché chi crede
abbia la vita eterna. L’amore del Padre, che offre “il Figlio unigenito”, e l’amore del Figlio che
corrispondere alla volontà del Padre, trovano nello Spirito Santo altrettanto e
identico amore per rendere attuale la realizzazione del disegno di salvezza
divino nell’evento storico della rivelazione.
Nella fedeltà di Gesù al Padre, fino alla morte di croce, resa
possibile dall’intervento dello Spirito Santo, abbiamo l’essenziale della
rivelazione cristiana, il ‘Dio-Amore’. Amore traduce il termine greco “agape”, il cui contenuto non corrisponde
all’affetto o all’amicizia e tantomeno all’eros, ma nel dono totale di sé
all’altro, senza nessuna reciprocità o contropartita di qualsiasi genere. Come
ha detto bene Benedetto XVI nella sua enciclica Deus caritas est, l’agape è amore che “cerca il bene dell'amato:
diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca.”(n. 6).
L’altro aspetto della rivelazione cristiana, non meno sorprendente per
la sua assurda paradossalità, è l’oggetto di questo amore, e cioè il mondo: “Dio
ha tanto amato il mondo …”. Le due realtà, sempre descritte in modo antitetico
e contrapposte nella riflessione di Giovanni: “Era
nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha
riconosciuto.” (Gv 1,10), ora s’incontrano in questa relazione di
amore. Una conflittualità, quella tra Dio e il mondo, che trova la sua
composizione nell’orizzonte della infinita misericordia divina. Siamo davanti
ad una realtà umanamente inimmaginabile, irraggiungibile ed assolutamente
sorprendente, in cui si sostanzia e si riassume l’essenza stessa di Dio e a cui
si può accedere soltanto per grazia, mistero richiamato all’inizio della mia
riflessione a proposito dell’unità della natura e della trinità delle persone
in Dio.
E’ ancora Benedetto XVI a ricordarci quanto scriveva S. Agostino: “Se vedi la carità, vedi la
Trinità”.
E’ la novità cristiana che ha cambiato la storia del mondo. La vita cristiana è
sostanzialmente partecipazione al mistero del Dio-Amore. La Chiesa, soprattutto con il sacramento
dell’Eucaristia, è il luogo dove fare l’esperienza di questo mistero. Di
conseguenza ogni cristiano dovrebbe fare della propria vita un dono d’amore nel
quale si compie per grazia il disegno salvifico di Dio. Questo è il senso della
vita e la via per la sua realizzazione o, per dirla con il linguaggio della
psicologia, per raggiungere la felicità. Oggi viviamo in un mondo in cui Dio è
di fatto assente, in tutto o in parte, dalla coscienza e dall’esistenza umana.
Chi appartiene più o meno consapevolmente al mondo ostacola l’incontro
dell’uomo con il mistero del Dio-Amore. Ci rassicura la promessa che “la luce
splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta” (Gv 1,5) e per chi non
vorrà arrendersi alla onnipotenza della divina misericordia c’è il giudizio: “chi non crede è già stato
condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.
Buona festa della Santissima Trinità!
don Marco Belladelli.
Grazie buona domenica
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