XI Domenica del tempo ordinario “A”.
Dopo la solennità del Corpus Domini torniamo al “Tempo Ordinario”, riconoscibile dal colore verde dei paramenti del celebrante e caratterizzato dalla celebrazione del mistero di Cristo nell’ordinarietà del quotidiano, che consiste nel progredire della Chiesa e di ciascun singolo fedele nella comunione di vita con il Signore, vivo e presente in mezzo a noi, mistero attualizzato nell’Eucaristia, tra le gioie e le speranze, le angosce e i dolori di ogni giorno. Torniamo anche alla lettura continuata del Vangelo di Matteo. Il brano odierno è tratto dal discorso missionario, il secondo dei cinque raggruppamenti che caratterizzano la narrazione evangelica dell’apostolo.
DAL VANGELO SECNDO MATTEO, (9, 36 - 10, 8).
In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
I
Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». Parola del Signore.
Nel ‘discorso della montagna’ (cfr. capp 5-7) è stato annunciato il regno di Dio con le sue caratteristiche e nei capitoli successivi (cfr. capp. 8-9) è stata manifestata la sua presenza in mezzo a noi attraverso la narrazione di numerosi segni e miracoli. Ora Matteo ha raccolto tutto quello che Gesù ha detto sulla missione, sia su quella affidata agli apostoli durante il suo ministero pubblico, sia su quella che sarà la futura missione della prima Chiesa verso il mondo intero, in quello che viene chiamato “il discorso missionario”. Gesù osserva la folla stanca e sfinita che lo segue e ne prova profonda compassione, paragonandola ad un gregge senza pastore. Non si tratta di uno sguardo indagatore e nemmeno di una pietosa commiserazione per la nostra misera condizione umana, ma di una osservazione generale sulla situazione di tutto il popolo d’Israele, privato della adeguata guida religiosa da parte di coloro che ne erano stati investiti, gli scribi e i sacerdoti. L’immagine della compassione trae origine dalla tenerezza del grembo materno e sta ad indicare quel particolare sentimento che lega per sempre una madre al proprio figlio, premessa che rende il cuore umano capace di agape, cioè di dare la vita per chi si ama (cfr. Gv 15,13). Segue un nuovo pensiero sulla vastità della missione da compiere e sulla necessità che ogni uomo sia raggiunto da questa missione. Lavorare per Dio e servirlo nella missione non è da tutti, ma soltanto per coloro che sono espressamente ‘mandati’ dal Padre: “Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!”. Se siamo convinti della bontà e della necessità di quest’opera di salvezza divina, preghiamo e chiediamo a Dio che mandi tanti operai a lavorare in questa messe sconfinata, fino a quando le pecore smarrite riconosceranno il loro unico pastore (cfr. Gv 10,4). Quindi Gesù associa i Dodici alla sua missione e li manda “alle pecore perdute della casa d’Israele”, non quindi indistintamente a tutti, ma per ora soltanto a coloro del popolo d’Israele che sono stati abbandonati da quelli che dovrebbero prendersi cura della loro vita religiosa. Prima di essere inviati, gli apostoli sono stati investiti dello stesso potere divino di Gesù per compiere le stesse opere che ha fatto lui nel più assoluto disinteresse, cioè: “predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni”. E’ la stessa missione escatologica a cui saranno mandati dopo la risurrezione, con davanti l’orizzonte del mondo intero, perché ogni uomo accolga il dono della propria salvezza nell’incontro con Dio. Oggi lo sguardo compassionevole del Signore si posa su di noi, sullo scoraggiamento di pastori avviliti e sul vuoto spirituale dei tanti uomini e donne del nostro tempo lontani da Dio. E’ lo stesso sguardo che ha cambiato la vita di Matteo, il pubblicano (cfr. Mt 9,9), oggi ricordato tra coloro che sono inviati in missione, lo stesso sguardo che mosse Pietro a piangere amaramente il suo peccato, dopo il rinnegamento (cfr. Lc 22,61), per poi rimettersi in cammino per la missione, fino al martirio sul Gianicolo. Andare in missione significa prima di tutto farsi dispensatori della divina misericordia per il mondo di oggi, a cominciare dalle pecore pure oggi sperdute a causa della negligenza di chi deve guidarle. Preghiamo, perché il Signore mandi pastori secondo il suo cuore, pronti a dare la propria vita per questa sconfinata missione. Buona Domenica!
don Marco Belladelli.
Buona domenica,
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