Bernardino Luini, Cristo tra i dottori, 1515-1530, National Gallery - Londra. |
XXXI Domenica del Tempo Ordinario, “B”.
Questo
è il primo comandamento, il secondo poi gli è simile.
Dal Vangelo secondo Marco (12, 28-34)
In quel tempo, si accostò a Gesù uno degli scribi e gli domandò:
«Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico
Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la
tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo
tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi».
Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo. Parola del Signore.
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Il
brano odierno ci presenta un esempio e un modello del dialogo interreligioso.
Un confronto non polemico tra Gesù e uno scriba, quello che si potrebbe definire
un dialogo sereno e costruttivo, privo di ambiguità.
Gesù
è giunto a Gerusalemme, dove lo scontro con i capi del popolo si è fatto ancora
più aspro. In seguito ad una di queste controversie uno scriba, avendo
apprezzato le varie risposte di Gesù, pone una delle questioni più dibattute
tra le varie scuole rabbiniche del tempo: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?”.
Gli scribi infatti, preoccupati di non tralasciare nulla nell’osservare la
Legge di Mosè, hanno suddiviso i dieci comandamenti in 630 precetti. In seguito
sorse l’esigenza opposta, e quella cioè di stabilire delle priorità all’interno
di questo complesso corpus giuridico-morale, soprattutto per definire il
primo di tutti i comandamenti.
Nella
sua risposta, Gesù cita prima il testo dello ‘Shemà Israel’ dal Deuteronomio, che la liturgia
oggi ci propone nella prima lettura: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio,
il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore,
con tutta l'anima e con tutte le forze.” (Deut 6,5). Poi aggiunge un
“secondo”
comandamento, non richiesto dalla domanda del suo interlocutore: “Amerai
il prossimo tuo come te stesso”.
Lo
Shemà è una formula di fede usata ogni giorno come preghiera dal pio
israelita. In esso ritroviamo il principio del primato assoluto di Dio, proprio
del primo comandamento: “Non avrai altro Dio di fronte a me”, contro
ogni forma di possibile contaminazione del monoteismo giudaico, e soprattutto
la definizione della fede, come rapporto dell’uomo con Dio. La fede ha origine
dall’ascolto e, attraverso l’obbedienza, cioè l’atteggiamento di colui che ha
ascoltato e si dispone ad agire di conseguenza, il legame si trasforma in un
amore che interessa tutte le facoltà umane. A tutto ciò Gesù associa il
comandamento dell’amore del prossimo.
Più
che limitarsi a rispondere a tono alla domanda posta dallo scriba, Gesù indica
in una sintesi straordinaria la via per il regno di Dio per tutti coloro che lo
vogliono seguire, come si evince dalla sua ultima affermazione: “Non
sei lontano dal regno di Dio”. Il discepolo del regno è colui che
nel corso della sua vita si dispone ad amare Dio sopra ogni cosa e con tutte le
sue facoltà. L’autenticità del rapporto con Dio si manifesta nell’amore che
abbiamo verso il nostro prossimo: “Chi dice di essere
nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi
è in lui occasione di inciampo” (1Gv 2,9-10). Tutto il nuovo Testamento è
concorde su questo punto: “Insensato, vuoi capire che la fede senza
le opere non ha valore?” (Gc 2,20).
L’amore
è l’unico vero compimento della nostra vita e sarà anche il criterio di
giudizio ultimo della nostra esistenza terrena (cfr Mt 25,31). Parliamo dell’ “amore-agape”, cioè di quell’amore che, come dice Benedetto XVI nella sua
enciclica, Deus caritas est, “diventa cura
dell'altro e per l'altro. Non cerca più se stesso, l'immersione nell'ebbrezza
della felicità; cerca invece il bene dell'amato: diventa rinuncia, è pronto al
sacrificio, anzi lo cerca.” (n.6). Parliamo
dell’amore che ha origine e fine in Dio stesso, un amore che può essere
comandato, “perché non è soltanto esigenza”, in quanto “prima è donato.” (DCE n.14). La vita cristiana si riassume nell’obbedienza
a questo unico comandamento dell’amore. A Dio che ci ama per primo si corrisponde
con l’amare Lui stesso con tutte le nostre facoltà e con l’amore al prossimo.
Ci
stiamo avviando verso la conclusione dell’anno liturgico. Se volessimo in
qualche modo fare il punto della situazione a proposito della nostra vita
spirituale e di fede, dovremmo valutarci in rapporto alla maggiore o minore
capacità di amare. Proviamo a pensare, per esempio, alle nostre relazioni
interpersonali, alla sensibilità e disponibilità verso le sempre maggiori
esigenze di giustizia e solidarietà a cui ci obbligano i poveri del mondo, al
dovere della Verità verso noi stessi, gli altri e il mondo, anch’esso quanto
mai disatteso nella confusione mediatica di oggi. Siamo cresciuti nella fede,
perché siamo cresciuti nell’amore. L’amore allora non è soltanto una questione
morale, un dovere di coscienza personale, ma riguarda la salvezza stessa di
tutta l’umanità. Buona Domenica!
don Marco Belladelli.
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