sabato 30 ottobre 2021

Il Vangelo della salute del 31/10/2021

Bernardino Luini, Cristo tra i dottori, 1515-1530, National Gallery - Londra.

XXXI Domenica del Tempo Ordinario, “B”.

Questo è il primo comandamento, il secondo poi gli è simile.

Dal Vangelo secondo Marco (12, 28-34)
In quel tempo, si accostò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». 
Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi». 

Allora lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v'è altri all'infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 
Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo. Parola del Signore.

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Il brano odierno ci presenta un esempio e un modello del dialogo interreligioso. Un confronto non polemico tra Gesù e uno scriba, quello che si potrebbe definire un dialogo sereno e costruttivo, privo di ambiguità.

Gesù è giunto a Gerusalemme, dove lo scontro con i capi del popolo si è fatto ancora più aspro. In seguito ad una di queste controversie uno scriba, avendo apprezzato le varie risposte di Gesù, pone una delle questioni più dibattute tra le varie scuole rabbiniche del tempo: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?”. Gli scribi infatti, preoccupati di non tralasciare nulla nell’osservare la Legge di Mosè, hanno suddiviso i dieci comandamenti in 630 precetti. In seguito sorse l’esigenza opposta, e quella cioè di stabilire delle priorità all’interno di questo complesso corpus giuridico-morale, soprattutto per definire il primo di tutti i comandamenti.

Nella sua risposta, Gesù cita prima il testo dello ‘Shemà Israel’ dal Deuteronomio, che la liturgia oggi ci propone nella prima lettura: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze.” (Deut 6,5). Poi aggiunge un “secondo” comandamento, non richiesto dalla domanda del suo interlocutore: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”.

Lo Shemà è una formula di fede usata ogni giorno come preghiera dal pio israelita. In esso ritroviamo il principio del primato assoluto di Dio, proprio del primo comandamento: “Non avrai altro Dio di fronte a me”, contro ogni forma di possibile contaminazione del monoteismo giudaico, e soprattutto la definizione della fede, come rapporto dell’uomo con Dio. La fede ha origine dall’ascolto e, attraverso l’obbedienza, cioè l’atteggiamento di colui che ha ascoltato e si dispone ad agire di conseguenza, il legame si trasforma in un amore che interessa tutte le facoltà umane. A tutto ciò Gesù associa il comandamento dell’amore del prossimo.

Più che limitarsi a rispondere a tono alla domanda posta dallo scriba, Gesù indica in una sintesi straordinaria la via per il regno di Dio per tutti coloro che lo vogliono seguire, come si evince dalla sua ultima affermazione: “Non sei lontano dal regno di Dio”. Il discepolo del regno è colui che nel corso della sua vita si dispone ad amare Dio sopra ogni cosa e con tutte le sue facoltà. L’autenticità del rapporto con Dio si manifesta nell’amore che abbiamo verso il nostro prossimo: “Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo” (1Gv 2,9-10). Tutto il nuovo Testamento è concorde su questo punto: “Insensato, vuoi capire che la fede senza le opere non ha valore?” (Gc 2,20).

L’amore è l’unico vero compimento della nostra vita e sarà anche il criterio di giudizio ultimo della nostra esistenza terrena (cfr Mt 25,31). Parliamo dell’ “amore-agape”, cioè di quell’amore che, come dice Benedetto XVI nella sua enciclica, Deus caritas est, “diventa cura dell'altro e per l'altro. Non cerca più se stesso, l'immersione nell'ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell'amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca. (n.6). Parliamo dell’amore che ha origine e fine in Dio stesso, un amore che può essere comandato, “perché non è soltanto esigenza”, in quanto “prima è donato.” (DCE n.14). La vita cristiana si riassume nell’obbedienza a questo unico comandamento dell’amore. A Dio che ci ama per primo si corrisponde con l’amare Lui stesso con tutte le nostre facoltà e con l’amore al prossimo.

Ci stiamo avviando verso la conclusione dell’anno liturgico. Se volessimo in qualche modo fare il punto della situazione a proposito della nostra vita spirituale e di fede, dovremmo valutarci in rapporto alla maggiore o minore capacità di amare. Proviamo a pensare, per esempio, alle nostre relazioni interpersonali, alla sensibilità e disponibilità verso le sempre maggiori esigenze di giustizia e solidarietà a cui ci obbligano i poveri del mondo, al dovere della Verità verso noi stessi, gli altri e il mondo, anch’esso quanto mai disatteso nella confusione mediatica di oggi. Siamo cresciuti nella fede, perché siamo cresciuti nell’amore. L’amore allora non è soltanto una questione morale, un dovere di coscienza personale, ma riguarda la salvezza stessa di tutta l’umanità. Buona Domenica!

 don Marco Belladelli.

 

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