Marco Basaiti, Vocazione dei figli di Zebedeo, 1510 Galleria dell'Accademia - VE. |
XXIX del Tempo Ordinario, “B”.
Il
Figlio dell'uomo è venuto
per
dare la propria vita in riscatto per molti.
Dal
Vangelo secondo Marco (10, 35-45)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i
figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello
che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?».
Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e
uno alla tua sinistra».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Parola del Signore.
Dopo
la sessualità e la ricchezza, non poteva mancare il tema del potere, sono le
tre realtà su cui abitualmente fa leva il demonio per tentarci e allontanarci
da Dio.
Sono
gli apostoli, Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, a suscitare il problema
con la loro richiesta: “Concedici di sedere nella tua gloria uno alla
tua destra e uno alla tua sinistra”. Pretesa umanamente giustificabile
per il fatto che sono al seguito di Gesù dalla prima ora e insieme con Pietro
hanno partecipato a eventi dai quali sono stati esclusi gli altri apostoli,
come nel caso della risurrezione della figlia di Giàiro e della
trasfigurazione.
Siamo
sempre in viaggio verso Gerusalemme. Come abbiamo visto, l’episodio del giovane
ricco ha suscitato tra gli Apostoli perplessità. Gesù ha appena parlato loro
per la terza volta della sua prossima passione, morte e risurrezione e subito
dopo i due fratelli chiedono di poter occupare nel futuro regno i posti più
importanti. Una vera e propria contrapposizione, come essere su sponde opposte.
Gesù è concentrato su ciò che l’attende a Gerusalemme per la salvezza
dell’umanità, mentre gli Apostoli pensano alla loro affermazione personale e
alla gloria. Nel suo “camminare avanti a loro” (v. 32) Gesù
è solo. Dietro di lui ci sono i Dodici, che nonostante il tempo passato al suo
fianco, sono ancora incerti e confusi, e del tutto fuori strada su ciò che li
aspetta.
Gesù
non rigetta la richiesta dei figli di Zebedeo, ma contesta l’errata
comprensione della sua gloria: “Potete bere il calice che io bevo, o ricevere
il battesimo con cui io sono battezzato?”, riproponendo invece la
necessità di condividere il passaggio obbligato della sua umiliazione. Nel
regno di Dio chi vuol primeggiare deve fare proprio il mistero della passione,
come è stato per Gesù. L’ambizione per i primi posti è tale da spingerli a
rispondere subito affermativamente, senza sapere bene che cosa significasse ‘ricevere lo stesso battesimo di Gesù’.
Gesù però conferma che pure loro andranno incontro a persecuzioni e al martirio,
ma i posti a cui ambiscono sono assegnati da Dio: “per coloro per i quali è stato
preparato”, anticipando quello che lui stesso dirà davanti a Pilato,
e cioè che ogni autorità viene dall’alto (Gv 19,11).
Questo
vale per qualsiasi autorità, soprattutto dentro la Chiesa, dal Santo Padre fino
all’ultimo prete appena ordinato, ovviamente dando per scontate onestà, dirittura
morale e fedeltà al Vangelo delle persone in questione. Qualora però gli uomini
nel corso del discernimento contravvenissero a questo principio, scegliendo
persone ‘per i quali non è stato
preparato’, ci troveremo ad essere guidati da persone e pastori che come
dice il profeta: “… pascono se stessi!”
(Ez 34,2). Una situazione veramente disastrosa per la Chiesa e la società, a
cui non voglio neanche pensare, ma purtroppo non siamo molto lontani da una
simile.
Proseguendo
nell’analisi del nostro testo, Gesù si fa carico del risentimento degli altri
dieci Apostoli e nel suo argomentare dice che per la Chiesa non deve accadere
quello che avviene in ambito civile, dove spesso il potere è oppressivo nei
confronti dei cittadini. ‘Tra voi’ invece l’autorità va sempre esercitata come un
servizio e il primato è per colui che sa farsi servo degli altri. Il modello da
imitare è il Figlio dell’uomo, che è venuto “non per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in
riscatto per molti” (v. 45). Chiunque nella Chiesa è investito di autorità
o di un ministero oppure di un qualsiasi compito deve sempre prendere a modello il servizio del
Signore Gesù. Oggi che da più parti si
rimprovera alla Chiesa carrierismo, connivenza con i poteri forti della
politica e dell’economia e soprattutto l’incoerenza di chi predica bene e razzola
male, senza reticenze va affermato con più forza che chi comanda deve essere
pronto ad offrire tutto se stesso sull’esempio di Gesù. Altrimenti si diventa
come i grandi del mondo, in continua lotta tra di loro per prevalere gli uni su
gli altri e a perseguire i loro interessi di parte. Una riflessione che
meriterebbe ben altro approfondimento e sviluppo.
don
Marco Belladelli.
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