Marko Rupnic, S. Giovanni Paolo II in adorazione della croce, Policlinico Umberto 1° Roma. |
VI Domenica di Pasqua “B”
Nessuno
ha un amore più grande di questo:
dare
la vita per i propri amici.
Dal Vangelo secondo Giovanni
(15, 9-17)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi
discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio
amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho
osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto
queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato
voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri
amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più
servi, perché il servo non sa
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri». Parola del Signore.
-----------------------------------------------
Da oggi
fino a Pentecoste la liturgia festiva e feriale si trasforma in una continua e
incessante invocazione al dono dello Spirito Santo. La colletta di oggi,
con riferimento al testo evangelico, prega così: “fa' che nel tuo Spirito
impariamo ad amarci gli uni agli altri come lui ci ha amati”. La prima lettura
tratta dagli Atti degli Apostoli, in cui si racconta della effusione dello
Spirito sui pagani in casa di Cornelio alla presenza di Pietro, ricorda a noi e
alla Chiesa la necessità della stessa disposizione d’animo del centurione
romano e dei suoi amici per accogliere lo Spirito Santo e vivere in pienezza la
fede cristiana. Il brano evangelico e la seconda lettura fanno riferimento al
frutto più grande dell’opera dello Spirito, e cioè renderci capaci di amare
come Gesù, fino a dare la vita per i propri amici.
Il
brano di oggi è la continuazione di quello della scorsa domenica. Siamo sempre
nel contesto dell’ultima cena e, liturgicamente, nella seconda parte del tempo
pasquale, caratterizzato, come abbiamo già detto, dal tema del nostro rapporto con
il Cristo risorto. La parabola della vite e dei tralci con cui Gesù ha
introdotto questo suo secondo discorso d’addio, è l’immagine concreta di quella che dovrebbe
essere la relazione feconda tra il discepolo e il suo Signore. Nella prima
parte del nostro brano si insiste sul “rimanere
in Cristo”: “Come il Padre ha amato me, anch'io ho amato voi.
Rimanete nel mio amore”. Dimorare nel suo amore significa accogliere,
prolungare ed imitare la comunione che unisce il Padre al Figlio e che si è a
noi manifestata nel sacrificio di Gesù sulla croce, amore pure e vero per i
discepoli e per il mondo. Nella seconda parte del discorso (vv. 12-17) Gesù
ripropone il comandamento dell’amore, che ha la sua origine nell’unione del
Figlio con il Padre. Il frutto che Dio vuole dal discepolo non è altro che un
amore ad immagine e somiglianza di quello del Figlio, fino al dono totale della
vita. All’origine di questo “amore più
grande” c’è l’amore del Padre per il Figlio, l’amore del Figlio per gli
uomini, e cioè l’essere (e sentirsi!) amati da Dio. Tutto ciò è opera dello Spirito
Santo, è lui che trasforma così profondamente la natura umana, purificandola da
ogni egoismo, fino a renderla capace di un amore simile a quello di Gesù: “Questo
è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati”,
fino a diventare ‘vita donata’: “nessuno ha un amore più grande di questo:
dare la vita per i propri amici”.
“Voi
siete miei amici se fate ciò che io vi comando”. Evocando questa
particolare relazione umana, l’amicizia, conosciuta o conoscibile da chiunque,
almeno per difetto, Gesù intende rappresentare il contesto nel quale coltivarsi
per realizzarsi nella comunione del suo amore. “Amici” non per una
affinità psicologica, culturale o di altra natura, ma unicamente e
semplicemente perché capaci di amare come lui. L’amico, pur essendo altro, è ‘il simile’ perché vive e gode della
solidarietà nella reciprocità. Attraverso l’amicizia con Gesù (rimanete nel mio amore) cresciamo
interiormente in amore e verità, fino ad imitarlo in tutto, cioè “nell’amore più grande”.
“Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la
vostra gioia sia piena” (v. 11). Il tema della gioia lega le due
parti del discorso. Una gioia che naturalmente è ben altro dalle esperienze
umane gratificanti che prima o poi tutti sperimentiamo. La gioia di Gesù
comincia quando comprenderemo concretamente che la croce non è una sconfitta,
ma è ‘gloria’ come lo è stato per
Gesù, per la sua e la nostra fedeltà a Dio. La gioia allora scaturisce dal riconoscere i gesti compiuti da Dio in
nostro favore e la sua fedeltà incrollabile, a dispetto dei significati della
storia umana, dal toccare con mano nella speranza il compimento della sue
promesse. Siamo veramente al cuore del
mistero cristiano e, senza presunzione, mi pare di poter dire che siamo anche
al centro del mistero della vita di ogni uomo e di tutta la storia umana.
L’orizzonte non è quello moralistico di fissare dei criteri o dei limiti
massimi o minimi, come per esempio il “quanto?” o il “fino dove?”. Quello che
Gesù ci ha comandato: “amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati”,
lo celebriamo e ci viene partecipato nell’Eucaristia per perpetuarlo nella
storia, portando a compimento la missione di Gesù. Nella docilità allo Spirito
Santo anche la Chiesa, e ciascuno di noi come sue membra, diventiamo corpo
donato e sangue versato. –Ciò che si proclama con la bocca è creduto dalla
mente, amato dal cuore per diventare ‘norma di vita’. Nella celebrazione
eucaristica maturiamo i sentimenti profondi di una mentalità di fede,
sufficiente perché una verità tanto sublime venga accolta non tutta in una
volta, ma anche per una sola volta nella nostra vita per sentirci veri uomini,
liberi di volersi soggetti di amore “come io vi ho amati”. Buona Domenica!
don Marco Belladelli.
Nessun commento:
Posta un commento