P. P. Rubens, La famiglia Gonzaga in adorazione della SS. Trinità, 1605, Mantova palazzo ducale. |
Solennità della SS. Trinità “A”
Dio
ha mandato il Figlio suo perché il mondo si salvi per mezzo di lui.
DAL
VANGELO SECONDO GIOVANNI, ( 3, 16-18).
In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato,
perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio». Parola del
Signore. In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
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Dopo aver celebrato gli eventi fondamentali della salvezza, come l’incarnazione
del Verbo, la sua morte e risurrezione e l’invio dello Spirito Santo, la Chiesa
oggi contempla il mistero principale della nostra fede: l’unità e la trinità di
Dio. Mistero naturalmente non nel senso di realtà oscura e astrusa, ma a noi
superiore e che ci coinvolge fino ad esserne “compresi”, contrariamente a
quanto avviene per ogni altro processo conoscitivo, dove qualsiasi altro
oggetto è da noi “compreso”. In questo particolare percorso della conoscenza è
la fede a guidare la ragione, per aiutarla a riflettere sull’esperienza dell’incontro,
del rapporto e della comunione con Dio e quindi sul suo mistero.
Per non smarrirci in astruse elucubrazioni, partiamo dal brano
evangelico che oggi la liturgia ci propone. Siamo al terzo capitolo di
Giovanni, dove nella prima parte si racconta l’incontro notturno di Gesù con
Nicodemo, un membro del Sinedrio che prova stima nei confronti del Maestro,
nonostante alcune perplessità sul suo messaggio. Gesù risponde che tutto ciò
che lo riguarda viene dall’alto, viene dallo Spirito ed è opera di Dio (Gv3,3.5).
Lo può comprendere soltanto chi è disposto a rinascere “dall’alto” (Gv 3,7). Segue l’esempio
di Mosè che innalzò il serpente nel deserto, figura della crocifissione di
Gesù, per mezzo della quale chi crede avrà la vita eterna.
Dopo queste premesse, arriviamo al nostro brano composto di tre
affermazioni. Nella prima Gesù rivela il piano di salvezza di Dio, che: “ha tanto amato il mondo da
dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16) perché chi crede non vada perduto, ma
abbia la vita eterna. La seconda affermazione
riformula lo stesso concetto al negativo, secondo una figura retorica
tipicamente semitica detta del parallelismo sinonimico. Nella terza
affermazione si traggono le conseguenze di questo modo di essere e di agire di
Dio, e cioè: condanna e salvezza non sono conseguenze della discrezionalità
divina, ma dipendono dal rifiuto o dall’accoglienza dell’ “unigenito Figlio di Dio”.
La nostra attenzione si concentra sulla rivelazione di Dio come amore assoluto
ed infinito, fino a dare il suo Figlio unigenito: “Dio ha tanto amato il
mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada
perduto, ma abbia la vita eterna”. Il Dio che “ha tanto amato il mondo” si è manifestato a noi
nel ‘Figlio
unigenito’ che per amore del Padre si è reso disponibile a farsi
uomo fino alla morte di croce (cfr Fil 2,6-8), perché chi crede abbia la vita
eterna. L’atto di amore del Padre che offre “il Figlio unigenito” fa riferimento al “bisogna che il Figlio
dell'uomo sia innalzato”, sull’esempio di Mosè che aveva innalzato il
serpente nel deserto, richiamato poco sopra. Questo significa che in Gesù
crocifisso abbiamo la rivelazione di Dio che è ‘Amore’. Nell’offerta del Figlio,
il Padre rivela se stesso come “agape”,
cioè come amore oblativo, nel quale Dio si volge contro se stesso e si dona totalmente per rialzare
l'uomo e salvarlo, amore nella sua forma più radicale (cfr. Deus caritas est 12).
L’ “agape” non si risolve
nell’affetto o nell’amicizia e tantomeno nell’eros, ma consiste nel dono totale
di sé all’altro, senza nessuna contropartita, di nessun genere. Come ha detto
bene Benedetto XVI nella sua enciclica Deus caritas est, l’agape è amore che “cerca il bene dell'amato:
diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca.”(n. 6).
Siamo davanti ad una realtà
umanamente inimmaginabile ed assolutamente sorprendente in cui si sostanzia e si riassume l’essenza
stessa di Dio, il mistero a cui ho fatto riferimento all’inizio di questa mia
riflessione a proposito dell’unità della natura e della trinità delle persone.
E’ ancora Benedetto XVI a ricordarci quanto scriveva S. Agostino: “Se vedi la carità, vedi la
Trinità”
(DCE 19).
Nel nostro brano non c’è nessun riferimento allo Spirito Santo, evocato
invece nella prima parte del dialogo con Nicodemo, là dove Gesù ricorda che è
come il vento, del quale senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va (cfr
Gv 3,5-8). Lo Spirito divino, nella sua libertà simile a quella del vento, è
colui che ha reso possibile la realizzazione del disegno salvifico di Dio a
favore di tutta l’umanità e che con la sua potenza armonizza interiormente il cuore dell’uomo
con il cuore di Cristo, fino a renderlo capace di amare i fratelli come ci ha
insegnato Gesù (cfr. DCE 19).
Il mistero della Santissima Trinità è la novità cristiana che ha
cambiato la storia del mondo. La vita cristiana è sostanzialmente
partecipazione al mistero del Dio-Amore. La Chiesa e soprattutto il sacramento
dell’Eucaristia sono i luoghi nei quali fare l’esperienza di questo mistero,
perché ogni cristiano faccia della propria vita un dono d’amore nel quale si compie
per grazia il disegno salvifico di Dio. Questo è il senso della vita e la via
per la sua realizzazione, o per dirla in modo psicologico per raggiungere la
felicità.
Oggi viviamo in un mondo in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in
parte, dalla coscienza e dall’esistenza umana. Chi appartiene al mondo fa di
tutto per impedire l’esperienza del mistero di Dio. Questo è il nostro grande
problema di oggi: o riusciamo ancora a rendere accessibile a chiunque questo
mistero, oppure non ci resta che la condanna: “chi non crede è già stato
condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”. Buona festa della Ss. Trinità!
don Marco Belladelli.
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