venerdì 25 marzo 2016

Il Vangelo della salute del 25/03/2016

Ecce homo!
 II giorno del Triduo Pasquale, Venerdì santo,
solenne celebrazione della Passione del Signore.
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Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, secondo Giovanni (18,1-19,42)
All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».

Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato –, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
(Qui si genuflette e di fa una breve pausa)
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù. Parola del Signore.
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La celebrazione del Venerdì santo vive due momenti forti: la proclamazione del  racconto della Passione e l’atto di adorazione della croce, che ogni fedele compie inginocchiandosi davanti ad essa e baciando amorevolmente le piaghe del Signore, per le quali siamo stati guariti (cfr Is 53,12), collegati tra loro dalla preghiera universale, mai così autenticamente per tutti. Gesù ha detto di essere venuto “ perché io non perda nulla di quanto mi ha dato”(Gv 6,39). Nelle dieci intenzioni che si susseguono non si dimentica proprio nessuno.
Il racconto della Passione meriterebbe di essere commentato integralmente per il suo valore salvifico e per l’importanza che assume nel contesto di tutti e quattro i Vangeli. Mi limiterò al commento di un particolare, caratteristico di Giovanni: “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala.  …e il discepolo che egli (Gesù) amava” (Gv 19,25-26).
Lo “stare sotto la croce” mi pare l’immagine che meglio riassuma il senso della odierna celebrazione e nello stesso tempo metta in evidenza una dimensione fondamentale della nostra vita spirituale.
Stare sotto la croce non  è una scelta, ma la conseguenza del nostro dire di “Sì” a Dio che ci ha chiamati.
Stare sotto la croce vuol dire essere tra coloro che non sono fuggiti, abbandonando Gesù, solo,  nelle mani dei suoi aguzzini.
Stare sotto la croce vuol dire non aver fatto quello che hanno fatto i capi del popolo, i sacerdoti, gli scribi, i farisei, Pilato, Erode, i soldati e tutti coloro che più o meno consapevolmente ne hanno condiviso scelte e comportamenti.
Stare sotto la croce vuol dire non essere tra coloro che infliggono sofferenze al Signore Gesù.
Stare sotto la croce è il risultato della nostra fedeltà alla volontà di Dio.
Stare sotto la croce vuol dire aver fatto nostra la missione di Gesù e della Chiesa, di annunciare il Vangelo ai poveri con la Parola e la carità.
Stare sotto la croce è l’unico modo autentico per condividere la sofferenza di chi è in croce, sentendo, attraverso la solidarietà umana rivolte a noi stessi tutte quelle torture e supplizi a cui Gesù è stato sottoposto.
Stare sotto la croce significa andare oltre il muro ipocrita delle emozioni e dei sentimenti, forma patologica di una falsa spiritualità, che si commuove, ma non partecipa e tanto meno condivide le sofferenze altrui.
Stare sotto la croce vuol dire superare il dolorismo masochista di chi nella sofferenza sembra godere più che soffrire;
vuol dire smascherare il vittimismo di chi ritiene sempre di soffrire ingiustamente e alla fine ti presenta il conto del suo egoismo di cui pensa di essere immune;
vuol dire anche rompere il silenzio di chi prova disagio e senso di colpa per la sofferenza altrui.
Stare sotto la croce vuol dire avere il coraggio di amare nonostante tutto, fino alla fine, come Gesù.
Stare sotto la croce è partecipare al mistero della redenzione nostra e di tutti, come per Maria.
Il posto della Chiesa e del cristiano è sempre sotto la croce di Gesù.
Certo, lo sappiamo bene, il mondo è pieno di furbi che cercano sconti, facilitazioni e privilegi …
Che non manchi mai accanto a voi una croce, sotto cui trovare rifugio, come recita l’antifona mariana:
Sotto la tua protezione,
noi cerchiamo rifugio,
Santa Madre di Dio,

Perché SOTTO LA CROCE troverete sempre lei, Maria.

don Marco Belladelli.

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