XXXIV Domenica del tempo ordinario “B”,
solennità di N. S. Gesù Cristo, Re dell’universo.
Tu
lo dici: io sono re.
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo
mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Parola del
Signore
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La 34° Domenica del tempo ordinario, ultima
dell’anno liturgico, è dedicata alla solennità di Cristo Re dell’universo. Istituita nell’Anno Santo del 1925, nel
pieno di uno straordinario fervore apostolico e missionario della Chiesa in
tutto il mondo, la si celebrava all’ultima Domenica di Ottobre. La riforma del
Concilio Vaticano II l’ha collocata al termine dell’anno liturgico per
evidenziarne meglio i significati teologico e pastorale.
Nel Nuovo Testamento il Signore Gesù viene
indicato con molti titoli, come per esempio Maestro,
Buon Pastore, Figlio dell’uomo, Luce del mondo, Via , Verità e Vita e via
dicendo. Quelli che meglio esprimono le dimensioni della sua missione salvifica
sono: Profeta, Sacerdote e Re. Il primo fa riferimento al suo essere
Verbo di Dio incarnato e autorevole annunciatore della Parola di Dio. Il
secondo al suo essere mediatore tra Dio e gli uomini, per mezzo del sacrifico
della croce. La Chiesa infatti offre il suo culto a Dio Padre con la mediazione
del Signore Gesù: “… per Cristo nostro
Signore”. Il terzo titolo, quello di Re,
oggi al centro della nostra celebrazione, fa riferimento al potere divino di
cui è investito ed al modo efficace con cui lo ha esercitato e ancora lo
esercita per l’edificazione del regno di
Dio e la realizzazione della salvezza per tutti gli uomini, secondo la
volontà del Padre.
Nella storia d’Israele Davide è il re per
eccellenza. Scelto da Dio, in sostituzione di Saul, figura del futuro Messia e
suo capostipite, governa in nome di Dio e lo rappresenta in mezzo al popolo.
Gesù però non è venuto nel mondo per conquistarsi un regno umano, ma per
inaugurare e istaurare il Regno di Dio, cioè un nuovo ordine delle cose,
regolate non secondo la logica del potere e della sottomissione degli umili ai
prepotenti, ma della giustizia, dell’amore e della pace.
Nella festa di Cristo Re dell’universo, la
Chiesa celebra questa potestà del Signore Gesù sui singoli e sulla storia umana
nel suo complesso. Chi l’accoglie, liberato da tutte le schiavitù che lo
opprimono, partecipa con la sua vita e le sue azioni alla edificazione del
Regno di Dio, che si risolverà nella salvezza universale. Tutte le volte che si
compie un gesto nel nome di Cristo, anche il più semplice, vuoi per rispetto,
oppure per imitazione, o per una più convinta e consapevole adesione alla sua
persona e al suo Vangelo, si contribuisce all’edificazione del Regno di Dio,
rendendo più vicina la rivelazione del Signore Gesù a tutti gli uomini. Di
fronte allo scandalo rappresentato dalla croce di Gesù, alla marginalità
culturale e sociale del Vangelo e alle difficoltà che ha incontrato e ancora
incontra la Chiesa, dentro e fuori di sé, nel suo cammino storico, c’è chi
obietta che il Regno di Dio rimane una realtà utopistica e illusoria.
E’ la stessa perplessità di Pilato, quando per
ben due volte, sorpreso dal tipo di regalità sui generis affermata da
Gesù in catene, non senza un pizzico di ironia e di sufficienza gli chiede: “Dunque tu sei re?”. Siamo nel contesto della passione. Dopo l’arresto
e il processo notturno davanti al Sinedrio, Gesù è stato consegnato ai Romani,
per la condanna a morte. Tutto lascia supporre che Pilato fosse ben informato
sul fenomeno Gesù, e visti i suoi
metodi repressivi (cfr. Lc 13,1ss), che lo avesse giudicato per nulla eversivo e
innocuo. Giovanni ce li presenta nel pretorio, uno di fronte all’altro, in un
faccia a faccia paradossale, dove ciò che appare è esattamente l’opposto della
realtà. Il rappresentante del potere umano, che deve decidere della vita o
della morte del Signore dell’universo, davanti a lui incatenato come un
malvivente qualsiasi. Il turbamento di Pilato è ancora oggi palpabile e
contagioso. L’accusa di lesa maestà non regge alla prova dei fatti. Il
governatore ascolta Gesù che parla del suo regno di “verità” che non è di
questo mondo: “Per questo io sono nato e
per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità.”. In
queste parole che implicitamente condannano ogni compromesso con la menzogna, la
“verità” a cui ci si riferisce non è
il risultato della ricerca filosofica o scientifica dell’uomo, ma la realtà
eterna e duratura, contrapposta a tutto ciò che è passeggero e destinato a
perire. E’ la realtà stessa di Dio, che si afferma e si espande attraverso
l’umile testimonianza di Gesù, agnello
immolato per noi.
Nell’omelia d’inizio pontificato, nell’Aprile
2005, Benedetto XVI disse: “Quante volte noi desidereremmo che Dio si
mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e
creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così,
giustificano la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla
liberazione dell’umanità. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno
abbiamo tutti bisogno della sua pazienza. Il Dio, che è divenuto agnello, ci
dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo
è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini.” .
Gesù conclude dicendo a Pilato: “Chiunque
è dalla verità, ascolta la mia voce”. Oggi ci siamo noi ad ascoltarlo,
non per decidere della sua vita o della sua morte, ma piuttosto della nostra
vita. Il regno di Dio e la nostra
salvezza dipendono infatti dalla scelta che facciamo ogni giorno tra la
menzogna e la Verità.
Buona Domenica!
don Marco Belladelli.
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