L'obolo della vedova, Mosaico di S. Apollinare nuova, Ravenna. |
XXXII del Tempo Ordinario, “B”
Questa
vedova, nella sua povertà, ha dato tutto quello che aveva.
In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Parola del Signore.
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Siamo
prossimi alla conclusione dell’anno liturgico. Queste ultime domeniche rappresentano
come una sezione particolare all’interno del tempo Ordinario per il denominatore comune che li caratterizza,
cioè la prospettiva della fine di tutte le cose umane. Davanti alla consapevolezza di
vivere negli ultimi tempi, nell’eschaton, o comunque dell’avvicinarsi
inesorabile della fine della nostra esistenza terrena è necessario decidersi in
modo chiaro e inequivocabile da che parte stare, se con Dio o contro di Lui, e
liberarsi sempre più dalle incertezze, dai compromessi, dagli equivoci, che
fanno parte della nostra vita quotidiana, prima che qualcun altro lo faccia al
posto nostro, come per esempio è accaduto agli scribi nel brano di oggi: “essi
riceveranno una condanna più grave”.
Nel
cieco Bartimeo che lo segue senza condizioni, nell’unicità del comandamento dell’amore
di Dio e del prossimo e nel gesto della vedova che offre a Dio tutto quanto ha
per vivere, Gesù indica tre punti fermi ed irrinunciabili per ogni discepolo
del regno. L’alternativa è quella degli scribi, per i quali è riservata “una
condanna più grave”.
Gesù
ha chiuso la bocca a tutti i suoi oppositori. Ora è nel tempio dove insegna
alla folla, recuperando un rapporto che sembrava essersi raffreddato (cfr
10,46ss). Se la prende con gli scribi, accusandoli di vanità, di approfittare
della loro posizione privilegiata per procacciarsi onori e vantaggi personali,
a cui si aggiunge l’accusa di sciacallaggio nei confronti delle vedove, delle
persone socialmente più deboli e dell’ostentazione di formalismo religioso.
Tutto ciò viene inesorabilmente e gravemente condannato, come qualcosa di
assolutamente contrario alle esigenze del regno di Dio.
Al
comportamento degli scribi, Gesù contrappone l’esempio della povera vedova che
invece ha offerto a Dio “tutto quello che aveva, tutto quanto aveva
per vivere”. La povera vedova è il punto d’arrivo di quella schiera
di persone che nell’Antico Testamento sono chiamati “i poveri di Jahwè”(cfr.
Is 49,13 e parr.), la cui caratteristica comune era quella di avere soltanto
Dio come unico loro bene a cui ricorre nelle necessità, perché pure unico a
farsi carico e a prendesi cura di loro. La vedova di Zarepta, di cui ci parla
la prima lettura (cfr 1Re 17,10ss), che nella sua assoluta indigenza non si
rifiuta di soccorrere l’uomo di Dio, il grande profeta Elia, è uno dei tanti
esempi dei poveri di Jahwè.
Ad
ogni credente è chiesto di abbandonarsi a Dio allo stesso modo. Gesù infatti
sottolinea che la povera vedova “ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri”.
Essa non ha messo del proprio “superfluo”, come i ricchi, ma ha
offerto a Dio “tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.
Nel
mettere in evidenza il gesto della povera vedova, Gesù annuncia quanto egli
stesso sta per fare consegnandosi “nelle mani degli uomini” per
essere ucciso. Un evento evocato per ben tre volte consecutive durante il suo
viaggio verso Gerusalemme. Abbandonarsi completamente a Dio significa rinnegare
se stessi, prendere la propria croce e perdere la propria vita per causa di
Gesù e del Vangelo, come abbiamo meditato qualche mese (cfr Mc 8,34-35, XXIV
Dom del T. O. ‘B’). Di fronte a tale prospettiva, una religione vissuta soltanto
per procurarsi onori, privilegi e vantaggi personali, disposti perfino ad
approfittare dei più deboli con ogni mezzo, non ha niente a che vedere con il
Vangelo. E’ bene ricordarlo, perché la Chiesa di oggi, sia ai suoi vertici, che
nella sua base, non è purtroppo al riparo da questo malcostume. Lo ha denunciato
l’allora cardinal Ratzinger nella famosa Via Crucis del Venerdì santo
2005 (cfr il commento alla 9° stazione). Lo ha rimarcato Papa Francesco in
occasione dello scambio di auguri per il Natale nel Dicembre scorso quando ha
elencato le 15 patologie della Curia romana. Lo si sperimenta quotidianamente
anche nelle nostre diocesi, nelle nostre parrocchie e nelle nostre associazioni
cattoliche, dove apparentemente non sembra esserci niente di cui
avvantaggiarsi, eppure c’è sempre chi, anche nelle situazioni più impensabili,
ritiene più importante trarre profitti e tornaconti personali, piuttosto che
abbandonarsi totalmente a Dio e mettersi al suo servizio.
Buona Domenica!
don
Marco Belladelli.
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