Pietro Cavallini, Giudizio universale, Convento di S. Cecilia Roma.
XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, “B”
Il Figlio dell'uomo radunerà i suoi eletti dai quattro venti.
Dal Vangelo secondo Marco (13, 24-32)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei
giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la
sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno
sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e
gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti,
dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa
tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi:
quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo
avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo
né il Figlio, eccetto il Padre». Parola del Signore.
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Nel brano di oggi, un
passaggio del discorso escatologico al capitolo 13 di Marco, vengono evocati i
temi della fine del mondo, del ritorno del Signore Gesù e del giudizio finale,
con il quale si conclude anche la lettura continuata del secondo vangelo.
Abbiamo cominciato con la testimonianza del Battista, che annunciava la venuta
di “uno che è più forte” di lui, e
terminiamo con l’immagine sfolgorante del Figlio dell’uomo che verrà “sulle
nubi con grande potenza e gloria” per radunare i suoi eletti da un
capo all’altro dell’universo. In mezzo ci sta il “vangelo di Gesù Cristo,
Figlio di Dio”, le cui “parole non passeranno”, per annunciare
per sempre all’uomo il suo destino di unico essere vivente creato per
l’eternità, come ci ricordava l’allora cardinal Ratzinger nell’omelia di
apertura del conclave del 2005: “L’unica cosa, che rimane in eterno, è
l’anima umana, l’uomo creato da Dio per l’eternità.”.
Il racconto evangelico
di san Marco si presenta come una lotta continua per affermare la grazia della
salvezza, dove le forze ostili non sono mai definitivamente domate, anzi a
volte sembrano addirittura prevalere, come per i racconti di Pasqua che si
risolvono con il timore delle donne e dei discepoli e non con la gioia della
risurrezione. Ma contrariamente alle apparenze il seme gettato dal Figlio
dell’uomo nella terra “dorma o
vegli, di notte o di giorno, germoglia e cresce.” (cfr 4,27) in un modo
a noi del tutto sconosciuto.
Tornando al contesto del
nostro brano, come ho già ricordato, siamo a Gerusalemme e Gesù ha superato la
prova dello scontro dialettico con i suoi oppositori, i quali di conseguenza
hanno deciso di ucciderlo. Consapevole di ciò che lo attende, Gesù prima di
affrontare la passione, provocato da alcune domande dei suoi discepoli, parla
delle cose che dovranno accadere in futuro. Ecco la ragione delle immagini
apocalittiche dello sconvolgimento cosmico, prese in prestito dai profeti, relativamente
ai temi che abbiamo elencato sopra.
Prima di questi eventi ci sarà la “tribolazione”
dell’abominio della desolazione, cioè una specie di apostasia generale,
causa di grandi sofferenze per tutta l’umanità, che tanto fa pensare ai tempi
che stiamo vivendo. Ricordo ancora che ‘apostasia’ significa non credere più in Dio, nella viva presenza
di Gesù Cristo in mezzo a noi e nei mezzi di grazia con i quali il Signore
ci unisce a sé nella Chiesa, pur continuando formalmente a professare tutto
questo come se niente fosse.
Gesù poi ricorre ad una parabola per invitarci a
riconoscere i segni dei tempi: come la fioritura del fico annuncia la
prossimità dell’estate, così quando accadranno le cose di cui Gesù sta parlando,
vorrà dire che la storia umana è arrivata anch’essa alla sua fine, ha raggiunto
il suo traguardo, e che il Figlio dell’uomo “è vicino, è alle porte”.
“Figlio dell'uomo” è
un titolo messianico usato soprattutto dal profeta Daniele. Dopo la
deportazione a Babilonia e il fallimento della monarchia davidica, il
messianismo ebraico evolve in senso escatologico. Invece di un nuovo Re ad
immagine del grande Davide, come Messia si attende il Figlio dell’uomo,
cioè una figura che si sarebbe manifestata alla fine della storia che avrebbe
reso ragione in modo manifesto e definitivo delle promesse fatte da Dio a
Israele.
Prendiamo ora in
considerazione i significati della prospettiva escatologica del mondo.
Per
i discepoli del regno di Dio la storia è lotta e tribolazione, spesso
incontreranno sofferenze e persecuzioni, tanto da sembrare sempre sul punto di
soccombere.
La
venuta del Figlio dell’uomo segnerà la fine di questa situazione, la
manifestazione di Gesù come Salvatore dell’umanità e il riconoscimento
universale della sua Signoria.
La riunione universale
degli eletti, cioè il giudizio finale di Dio sulla storia umana, evidenzia che
l’unica realtà che veramente merita di essere salvata è l’uomo creato da Dio e
tutto quanto è in relazione con la sua salvezza.
Spesso parliamo delle
difficoltà che incontra il discepolo del regno nella storia. Per ciascuno di
noi la fine del mondo corrisponde immediatamente con la nostra morte. Essa è
qui presentata come la fine delle tribolazioni, l’incontro con il Figlio
dell’uomo e la trasformazione della nostra condizione umana ad immagine e
somiglianza di quella del Signore risorto.
Oltre alla nostra fine
personale è prevista anche una fine di tutto, cioè la totale consumazione del
presente umano/storico, a cui seguirà il giudizio universale, descritto da
Marco come la riunione dei “suoi eletti”, cioè di coloro che
sono stati fedeli e che saranno liberati dalla tribolazione e finalmente
resi partecipi della beatitudine promessa.
Sono aspetti della
nostra fede che sembrano lontani dalla nostra quotidianità, invece
rappresentano il fondamento della nostra esperienza cristiana. Il venire meno
della Speranza nelle cose future, che si realizzeranno dopo la nostra morte,
significa diventare schiavi del presente, delle sue ambiguità, delle sue
contraddizioni e soprattutto del suo limite. Preghiamo perché la parabola del
seme che germoglia da solo, citata sopra, sia il fondamento della nostra
speranza e l’icona della nostra fede.
Buona Domenica!
don Marco Belladelli.
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