Gesù entra a Gerusalemme, dittico del secolo V, Museo del Duomo di Milano |
Domenica
delle Palme e
della Passione del Signore “B”
Benedetto
colui che viene nel nome del Signore.
Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano:
«Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!
Osanna nel più alto dei cieli!». Parola del Signore.
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Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo
Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo.
Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli
davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.
Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte
su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo
crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei
Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua
sinistra.
Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e
dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni,
salva te stesso scendendo dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con
gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e
non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce,
perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui
lo insultavano.
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il
centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel
modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le
quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome,
le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che
erano salite con lui a Gerusalemme.
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La Domenica delle Palme inizia con la benedizione dei rami d’ulivo e la processione che ricorda l’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme, salutato dalla folle come il figlio di Davide, il Messia atteso. Poi continua con la lettura del racconto della passione di uno dei tre sinottici. Questa articolazione della liturgia è il risultato dell’incontro di due tradizioni, quella di Gerusalemme nella quale si rivivevano passo dopo passo gli ultimi giorni della vita di Gesù, e quella di Roma nella quale invece, con la proclamazione del racconto della passione, si metteva al centro della celebrazione l’evento doloroso e scandaloso della morte in croce di Gesù.
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La Domenica delle Palme inizia con la benedizione dei rami d’ulivo e la processione che ricorda l’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme, salutato dalla folle come il figlio di Davide, il Messia atteso. Poi continua con la lettura del racconto della passione di uno dei tre sinottici. Questa articolazione della liturgia è il risultato dell’incontro di due tradizioni, quella di Gerusalemme nella quale si rivivevano passo dopo passo gli ultimi giorni della vita di Gesù, e quella di Roma nella quale invece, con la proclamazione del racconto della passione, si metteva al centro della celebrazione l’evento doloroso e scandaloso della morte in croce di Gesù.
Sta per compiersi l’evento fondamentale per la
salvezza dell’umanità. La Settimana santa è dominata dalla croce, simbolo che
riassume tutti i momenti e gli aspetti della sofferenza di Gesù, dal tradimento
all’abbandono, dalle umiliazioni alle torture, dalla crocifissione fino alla
morte. Sofferenze che esprimono il “se
tradidit” di Gesù, cioè il suo consegnarsi nelle mani degli uomini per
essere ucciso, nella più assoluta fedeltà alla volontà del Padre. Il più grande
gesto di Amore donatoci da Dio, che non avremmo mai potuto meritare, né tanto
meno immaginare, come dice Gesù stesso nel Vangelo di Giovanni:
“Nessuno
ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.”
(15,13).
Con in mano i rami d’ulivo, accompagniamo Gesù
fino al Calvario, in attesa della sua risurrezione, perché sappiamo bene che in
nessun altro c’è salvezza. Una partecipazione che chiede anche a noi di
disporci a condividere la stessa sorte del Signore. Infatti: “Se qualcuno vuol venire dietro a me,
rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34).
Nel racconto della passione, Marco ci ricorda
che fu il centurione sotto la croce ad esclamare: “Davvero quest’uomo era Figlio
di Dio!”. La fede di un pagano opposta alla durezza di cuore di
coloro che lo hanno condannato a morte, gridando alla “Bestemmia!”, per la stessa ragione, e cioè perché si è fatto Figlio
di Dio.
Coloro che attendevano la sua venuta e lo
riconobbero come il Salvatore del mondo, lo hanno voluto morto. Pietro, impaurito
dalle chiacchiere di una servetta, lo ha rinnegato. Giuda addirittura si è
compromesso a tal punto con satana fino a tradirlo. Tutti gli altri apostoli
sono fuggiti. Accanto a Gesù sono rimasti soltanto Maria, sua Madre, alcune
donne del gruppo, Giovanni, il più giovane degli apostoli e un drappello di
soldati romani, che dopo averlo crocifisso e visto morire in quel modo, si
convertirono. Nella desolazione generale, la fede del Centurione è la luce che
squarcia le tenebre che avvolgono la terra. Anticipa la fede di molti altri
uomini che in ogni parte del mondo seguiranno il suo esempio. Si realizza la
promessa fatta da Gesù e che abbiamo ascoltato nella liturgia la scorsa
settimana: “Quando sarò innalzato da
terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,31).
Gesù è il dono più grande che Dio ci abbia
fatto, più grande della nostra stessa vita. Concludiamo il nostro cammino
quaresimale lasciandoci attrarre da Cristo. Prostrati davanti alla sua croce
apriamo i nostri cuori per accogliere questo dono d’amore e chiediamo
sinceramente perdono dei nostri peccati. Questa è la nostra conversione. Infine,
come nel giorno del Battesimo proclamiamo: “Questa
è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa. E noi ci gloriamo di
professarla in Cristo Gesù, nostro Signore!”.
Buona
Settimana Santa!
don
Marco Belladelli.
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