sabato 7 marzo 2015

FOTONOTIZIA/26

 
50 ANNI FA LA PRIMA S. MESSA IN ITALIANO,
7 MARZO 1965
Avevo 10 anni e frequentavo la quinta elementare. Don Lindo, il vecchio parroco, da alcune settimane aveva cominciato a istruirci in merito. Veniva a scuola una volta la settimana e ci insegnava le risposte per i dialoghi con il celebrante. Sì, perché ora non bastava che rispondesse soltanto il chierichetto, ma tutta l'assemblea in coro. Anche se si trattò della pura e semplice traduzione del messale del 1962 di Giovanni XXII, quello fu l'inizio dei vari passaggi della riforma liturgica, un cambiamento conciliari più importanti ed evidenti per tutto il Popolo di Dio e non soltanto gli addetti ai lavori.
Cliccando sul link potete leggere l'omelia di quel giorno del Papa Paolo VI: http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/homilies/1965/documents/hf_p-vi_hom_19650307.html

Celebrare in italiano fu indubbiamente una grande novità, soprattutto per quel che riguarda l'ascolto della Parola di Dio. Paradossalmente, a quel tentativo della Chiesa di aprirsi al secolo corrispose negli anni successivi una sempre maggiore tiepidezza dei fedeli e un graduale allontanamento dalla fede e dalla Chiesa.  Per ora mi accontento di queste poche suggestioni, mi ripropongo in seguito di tornare 
su questi temi per un approfondimento.   

2 commenti:

  1. Penso che tiepidezza e allontantamento dipendano anche da una certa mancanza di sacralità e di mistero...mi è capitato di assistere a pochi riti ortodossi;beh ,guardando le persone che partecipavano alle funzioni , ho visto con i miei occhi la loro sentita partecipazione e concentrazione! Nelle nostre chiese capita spesso che la gente chiacchieri o si distragga..salvo eccezioni, sembra che che non si veda l'ora che la S Messa finisca!! Non so se sia un bene celebrare in italiano....la mia è una riflessione senza capo né coda...grazie di tutto!

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  2. Si dicevano le stesse cose quando si celebrava in latino come argomento per il cambiamento. Suscitare fervore e partecipazione, come pure esprimere la sacralità dell'atto liturgico non dipende dalla lingua usata, ma soprattutto dal celebrante, da come si pone nei confronti di Dio e del popolo che ha davanti.

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