martedì 27 settembre 2011

UN OMAGGIO DI MONS. PIVA

 GRAZIE!
Grazie a tutti coloro che sono intervenuti numerosi sabato 24/09 alla celebrazione in memoria di Mons. Pompeo Piva, presso la cappella del convento di S. Maria del Gradaro a Mantova, in occasione del 50° della sua Ordinazione sacerdotale. Grazie anche a chi l'ha ricordato in qualsiasi modo, unendosi al nostro ringraziamento. Dal Cielo ci ricompenserà, come sanno fare coloro che già godono della visione beatifica di Dio. In segno di riconoscenza pubblico un suo nuovo inedito. Con riferimento a quanto ha detto ieri il Cardinal Bagnasco nella sua prolusione al Consiglio permanente della CEI, a proposito della crisi
politica e dell'emergenza morale, don Pompeo quattro anni fa scriveva quanto segue:  

QUESTIONE MORALE, CRISI DELLA POLITICA.
I COMPITI DELLA COMUNITÁ ECCLESIALE

Quando rifletto sulle questioni relative alla crisi della politica e i compiti delle comunità ecclesiali oggi, chissà perché mi vengono alla memoria i “gironi danteschi”. A costo di sembrare eccessivo nel semplificare problemi gravissimi, voglio tentare di esprimere il mio punto di vista nel modo più sintetico possibile. Dico: nel modo più sintetico possibile, perché la realtà in cui viviamo è confusamente complessa, per questo spesso incomprensibile; realtà del resto in continuo e contraddittorio movimento.

Il contesto generale si presenta come un grande campo di battaglia, in cui emergono gli interessi più contrastanti. Assistiamo ogni giorno ad un aspro dibattito tra le forze politiche, sindacali, imprenditoriali e altri attori sociali, caratterizzato da forti interessi di parte, come se l’ultima consultazione elettorale sia stata l’epilogo di una permanente e  patologica acredine di tutti contro tutti. Forse i grandi del potere delle diverse parti (quelli che veramente contano) hanno avuto l’ardire di pensare che fosse sufficiente riannodare discorsi interrotti fra le forze politiche, per “aggiustare” il risultato emerso dalle urne. L'aggiustamento dei vecchi discorsi sarebbe bastato per costruire un governo stabile e forte, usando le stesse tattiche logorate da decenni, con le stesse formule ad uso dei vecchi partiti, con l’esibizione arrogante delle medesime facce sempre più usurate. È continuato, ancora una volta, il vecchio teatrino delle comparse e delle contrattazioni tra i due schieramenti per l’occupazione dello Stato e delle sue Istituzioni.

A partire da questa elementare constatazione appare chiaro che la classe politica, che ha egemonizzato e soffocato lo Stato di diritto in questi ultimi decenni, non è più in grado di pensare alla gestione della cosa pubblica in maniera adeguata, al bene comune. Con un risultato disastroso per il Paese. Ora, con i partiti in rapida decomposizione che senso ha la strategia dell’aggiustamento? È l’ennesimo malcelato tentativo da parte dei partiti di mantenere intatto il proprio potere. Cosa insensata soltanto a pensarla. È così difficile capire che la gente si ribella a una simile prospettiva? Lo smarrimento è molto diffuso. Tutti quanti conosciamo la situazione di degrado in cui siamo piombati. Non passa giorno senza che personaggi di spicco, di diversa estrazione politica e sociale, oltrepassino i portoni dei tribunali o delle carceri. I giudici alla Di Pietro si sono moltiplicati in tutta Italia. Non è certo un mistero che sul parlamento, sul governo, su parecchi parlamentari, sull’attività economico-imprenditoriale del paese, pesa sempre di più la reazione popolare per porre fine all'immoralità di un costume generalizzato. Qualcuno dirà che i ladri ci sono sempre stati. Perché allora scandalizzarsi? È vero. Ma c'è una novità carica di pericoli: il latrocinio sistematico ha trovato forma concreta in un sistema perverso che ha messo in ginocchio le Istituzioni dello stato democratico. Insomma una specie di tacita legalizzazione. Pertanto si carica di una gravità morale enorme: porta dentro di sé una spinta eversiva. Per questo è senza dubbio più grave di qualsiasi furto perpetrato a scopo di vantaggio personale. Un ladro lo si mette in galera (quando scoperto e se accade) per il delitto compiuto: in qualche modo si assiste ad una sorta di difesa con l'emarginazione di chi turba la vita sociale. Nella politica la situazione è drammatica. Si devono denunciare i colpevoli; ma non per questo è ripristinata la legalità nel Paese. Le ferite sono profonde, a volte si ha l'impressione che siano mortali. Soltanto una forte iniziativa politica potrà farci uscire da tale marasma. Quale iniziativa? Da parte di chi? Quali sono le forze capaci di iniziare il cammino della restaurazione della legalità politica, condizione essenziale per affrontare tutti gli altri problemi del Paese? Si percepisce da più parti che la causa del nostro dissesto economico è attribuibile anche, se non del tutto, ma in certa parte sì, alla instabilità politica. L'immagine dell'Azienda Italia è danneggiata. Gli operatori economici stranieri girano al largo; non sono sicuri di essere tutelati da una politica complessiva capace di garantire i loro legittimi interessi. Ma torniamo alle domande poste.

A questo livello si svolge il movimento più complesso: si cercano le strade per uscire dalla situazione attuale. È un movimento che deve avere come soggetto attivo la gente comune. Cresce l'insofferenza per il modo di fare politica che ha condotto al disorientamento attuale, dando corpo al nuovo inganno della protesta antipartito, che rischia di trasformarsi in un rifiuto del sistema democratico. Occorre riflettere per trovare il modo di rovesciare queste tendenze perverse. Se il nuovo deve cominciare a nascere, esso non può assumere il volto dell'egoismo, del rifiuto della solidarietà, del separatismo comunque camuffato, che sta al fondo del più ottuso istinto di conservazione.

Come affrontare il discorso complessivo, sotto l'incalzare degli avvenimenti ormai a scadenza quotidiana? Io credo che non sia possibile, fin d'ora, ipotizzare tutti i passi da compiere nei diversi settori della vita pubblica, se prima non si passa attraverso la necessaria riforma del sistema elettorale. Guardando in faccia la realtà italiana, ritengo necessaria la soluzione prospettata dall'iniziativa referendaria, se si vogliono creare le condizioni democratiche di governo del Paese. Occorre costringere l'attuale Parlamento a provvedere il Paese di una legge elettorale che essenzializzi il quadro politico, definisca con sufficiente chiarezza gli schieramenti di governo e di opposizione. Percorrendo questa strada sarà possibile, forse, licenziare gran parte della classe dirigente attuale, incapace di fare gli interessi della collettività e di raggiungere una sufficiente stabilità legale entro termini temporali ragionevoli. Da qui si può partire per affrontare tutti gli altri problemi: la ripresa dello sviluppo economico, la salvaguardia dell'ambiente, la scuola, il lavoro, la sanità, il precariato la disoccupazione, la casa, la riforma sanitaria, la riforma burocratica dello Stato e delle sue strutture periferiche; e tanti altri nodi problematici.

La questione etica si pone soprattutto a questo livello. Con quale metodo? Occorre individuare le richieste che salgono dalla società, indicare i fini che si vogliono raggiungere per rispondere alle esigenze di giustizia della gente e individuare le risorse necessarie che si intendono impiegare. Il rapporto tra questi diversi fattori costituiscono l'eticità della politica, tesa al raggiungimento del bene comune. Ovunque troviamo, in forme e per cause storiche diverse, chiusure e individualismo di gruppo.  Si ha una spinta feroce a un «bene comune» che esclude «l'altro». L’annuncio cristiano dovrebbe essere ovunque presente, unito a tutti gli uomini di buona volontà: proclamazioni o appelli generici sono vani. Occorre una presenza attiva e capace di sacrifici che testimoni la passione per il con-vivere e il con-dividere.  Per il cristiano e per l'uomo di buona volontà il criterio così diffuso del do ut des (io do una cosa a te e tu dai una cosa a me) è da considerarsi quasi una bestemmia.  Il Vangelo ci insegna, ci impone di amare anche i nostri nemici, di dare senza sperare nulla in cambio, di fare del bene a chi ci perseguita. Non è questa la condizione indispensabile per parlare di bene comune?

E la Chiesa come si colloca nel contesto di tutti questi problemi? Certamente non è stata neutrale nel passato. Credo che, a maggior ragione, non lo possa essere oggi. Ma come? Questo è il problema. Non certo secondo le modalità già esperimentate, quali il collateralismo e l'affermazione ripetuta dell'unità politica dei cattolici, che ha portato ad una conclusione ovvia per tutti. La Chiesa deve liberarsi del convincimento, ormai quasi un postulato indiscutibile, di non potere attuare tutte le sue potenzialità pastorali se non possiede un referente partitico sicuro all'interno della società civile. Una condizione prioritaria nei fatti, anche se poi è ufficialmente negata. Noi cristiani dobbiamo essere i primi ad avere il coraggio di chiamare le cose per nome. Non intendo giudicare il passato; non mi interessa più di tanto. M’importa che sia chiara la prospettiva: indietro non si torna. Libera da questo legame, la comunità cristiana deve perseguire un suo discorso politico. Su quale piano? Non esiste comunità umana senza un ordine politico. Ciò significa che l'ordine politico è un'esigenza e un dono di Dio creatore. Il cristiano non può prescindere da questa affermazione di valore. Quindi l'ordine politico è necessario per l'uomo: permette a ciascuno di scoprire l'interdipendenza che lo lega agli altri, mette in evidenza l'importanza capitale della comunicazione nel progetto politico e del dialogo per combattere la menzogna, crea un possibile consenso su valori capaci di promuovere la vita umana. Questo nucleo dottrinale va affermato con forza dalla predicazione della comunità cristiana e dalla sua testimonianza, dovunque i singoli pensano di trovare lo spazio partitico per l'attuazione concreta di queste idealità. Insomma, una passione per il con-vivere e il con-dividere. 

Mi rendo ben conto che il rischio di queste affermazioni è di sostenere una posizione da osservatore idealista e alla fine di conservazione. Ma ciò che intendo dire è che ogni ricerca di etica politica chiama in causa il dialogo con coloro che sono più direttamente alle prese con l'ambiguità dell'esercizio concreto del potere. Il primo compito profetico della comunità cristiana in ambito politico è dialogare con tutte le componenti della società civile per smascherarne ambiguità. Non solo sul piano ideologico, ma anche e soprattutto a livello dei problemi concreti degli uomini e delle donne. Soltanto su questo terreno si riesce a coniugare i principi che stanno alla base dell'impegno politico dei credenti. Su questo terreno, ogni cristiano incontra uomini e donne che coltivano le stesse aspirazioni, pur partendo da presupposti vitali diversi. Accanto all'affermazione dei propri valori, la comunità cristiana non può ignorare l'esistenza di altre comunità di diversa natura ed estrazione culturale, conviventi nella società civile, che professano altri ideali o altre modalità concrete di realizzazione degli stessi. Come non dialogare? Come non ascoltare? Perché dividersi su tutto, quando è possibile un terreno comune dove possono convivere pacificamente diverse posizioni? Insomma, la comunità cristiana deve assumere il volto autenticamente ecumenico, proprio della carità del Cristo, maturando la coscienza di non essere sola a camminare sulle strade del mondo, e pur consapevole della verità di cui è depositaria, non vivere della presunzione di ritenersi l’unica capace di elaborare tutte le soluzioni per i problemi degli uomini. Se lo pensa, e soprattutto se lo fa, pecca.

Piva mons. Pompeo


Mantova, 29 ottobre 2007.

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