venerdì 8 novembre 2024

Il Vangelo della salute del 10/1172024

XXXII del Tempo Ordinario, “B”

Questa vedova, nella sua povertà, ha dato tutto quello che aveva

Dal Vangelo secondo Marco (12, 38-44)
In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.

Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Parola del Signore. 

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Siamo prossimi alla conclusione dell’anno liturgico, le ultime domeniche del tempo Ordinario hanno come denominatore comune la prospettiva della fine di tutte le cose umane e il richiamo alla virtù della speranza. Davanti alla consapevolezza di vivere nell’eschaton, cioè negli ultimi tempi, o comunque dell’avvicinarsi inesorabile della fine della nostra esistenza terrena, la speranza diventa la virtù più necessaria. Avere speranza significa vivere intensamente la propria quotidianità e nello stesso tempo essere costantemente orientati verso la vera vita che ci attende nell’eternità, fiduciosi che Dio realizzerà quanto ha promesso. Sostenuti dai segni di grazia che ogni giorno il Signore ci dona, viviamo nella speranza dei beni eterni. La speranza si fonda su una scelta di fede in Dio chiara e inequivocabile, liberandoci gradualmente e progressivamente da incertezze, compromessi ed equivoci presenti nella nostra vita, prima di essere raggiunti dal giudizio divino, come nel caso degli scribi di cui parla il brano evangelico di oggi: “essi riceveranno una condanna più grave”.

Nel gesto della vedova che offre a Dio tutto quanto ha per vivere, Gesù indica quale deve essere l’atteggiamento fondamentale di ogni discepolo del regno, contrariamente al comportamento degli scribi, per i quali è riservata “una condanna più grave”. Dopo aver chiuso la bocca a tutti i suoi oppositori, ora Gesù si trova nel tempio dove insegna alla folla, recuperando un rapporto che sembrava essersi raffreddato (cfr. 10,46ss), e se la prende con gli scribi, in quali approfittavano della loro posizione privilegiata per procacciarsi onori e vantaggi personali, tanto da arrivare a forme di sciacallaggio nei confronti delle vedove e delle persone socialmente più deboli. Gli scribi erano delle persone dotte, seguaci del fariseismo, soprattutto nei suoi aspetti più formalistici, che si distinguevano oltre che per la loro cultura, anche per la loro avidità, ipocrisia, ambizione e vanità, inesorabilmente condannata da Gesù, come qualcosa di assolutamente contrario alle esigenze del regno di Dio. L’esempio della povera vedova che invece ha offerto a Dio “tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere” è l’esatto contrario del comportamento degli scribi. La povera vedova è il punto d’arrivo di quella schiera di persone che nell’Antico Testamento sono chiamati “i poveri di Jahwè”(cfr. Is 49,13 e parr.), la cui caratteristica comune era quella di avere soltanto Dio come unico loro bene e a cui ricorre nelle necessità, in quanto unico a farsi carico delle loro necessità. Uno dei tanti esempi di poveri di Jahwè è la vedova di Zarepta, di cui ci parla la prima lettura (cfr 1Re 17,10ss), che nella sua assoluta indigenza non si rifiuta di soccorrere l’uomo di Dio, il profeta Elia. Gesù sottolinea che la povera vedova “ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri”, non per la quantità, ma per la qualità del suo gesto, essa non ha infatti messo del proprio “superfluo”, come i ricchi, ma ha offerto a Dio “tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”. Nel gesto della povera vedova, Gesù annuncia quello che lui stesso sta per fare consegnandosi “nelle mani degli uomini” per essere ucciso, evento evocato per ben tre volte durante il suo viaggio verso Gerusalemme. Ad ogni credente è chiesto di abbandonarsi a Dio allo stesso modo, rinnegare se stessi, caricarsi della propria croce per seguire Gesù, fino a perdere la propria vita per il Vangelo. Di fronte a tale prospettiva, una religione vissuta soltanto formalmente, per procurarsi onori, privilegi e vantaggi personali a scapito dei più deboli, non ha niente a che vedere con il Vangelo. E’ bene ricordarlo, perché la Chiesa di oggi, dai vertici alla base, non è al riparo da questo malcostume, denunciato dall’allora cardinal Ratzinger nella famosa Via Crucis del Venerdì santo 2005 (cfr. il commento alla 9° stazione), e dallo stesso Papa Francesco qualche anno fa, quando ha elencato le 15 patologie della Curia romana (discorso alla Curia romana del 22/12/2014). Questo vale anche per le nostre comunità diocesane, parrocchiali e associazioni cattoliche, dove apparentemente non sembra esserci niente di cui avvantaggiarsi, eppure c’è sempre chi, anche nelle situazioni più impensabili, ritiene più importante il tornaconto personale, piuttosto che abbandonarsi totalmente a Dio, mettendosi al servizio del prossimo. Buona Domenica!

 don Marco Belladelli.

 

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