Pierpaolo Rubens, Crocifisso, 1577 - 1640. |
XXV Domenica del Tempo Ordinario, “B”
Il
Figlio dell'uomo sta per esser consegnato...
Se
uno vuol essere il primo, sia servo di tutti.
Dal Vangelo secondo Marco (9, 30-37)
In quel tempo, Gesù e i discepoli attraversavano la Galilea, ma
egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e
diceva loro: «Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli
uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni,
risusciterà».
Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli
spiegazioni.
Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Parola del Signore.
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Dopo
lo sconfinamento a Cesarea di Filippo, nei pressi del sito archeologico noto
come Baniyas, dove si trova la fonte sacra del dio Pan, alle sorgenti del
Giordano, oggi territorio siriano occupato dall’esercito israeliano, Gesù è
tornato in Galilea in incognito, dalle parti di Cafarnao. Vista la mala parata
di Pietro che prima riconosce Gesù come Messia e subito dopo cerca di
dissuaderlo dall’accettare la volontà di Dio, in questo momento la priorità è
diventata la formazione dei discepoli. Gesù torna a parlare loro della sua prossima
fine, ripetendo che il Figlio dell’uomo che “sta per esser consegnato nelle
mani degli uomini”. Non è soltanto la riformulazione di un qualcosa
già detto, ma la rivelazione di un aspetto nuovo e molto importante. Usando i
verbi al passivo, secondo il linguaggio biblico, Gesù indica che il soggetto di
quanto sta per accadere è Dio stesso. Gli eventi che determineranno la sua morte non sono
infatti soltanto il risultato contingente del libero intrecciarsi delle volontà
umane, ma è il Padre stesso che lo vuole. Insomma abbiamo a che fare con un
vero e proprio intervento di Dio, cioè un evento salvifico.
La
passione, la morte e la risurrezione sono eventi umanamente difficili da
accogliere per la loro drammaticità e straordinarietà. Lo sono ancor di più
quando ci viene detto che è Dio stesso a volerli, nella più assoluta obbedienza
del ‘Figlio dell’uomo’. Davanti a
questo mistero, i discepoli sono totalmente resistenti, tanto da vergognarsi
dal chiedere la benché minima spiegazione: come è possibile che Dio voglia la
morte violenta del proprio Figlio? La distanza tra loro e il Maestro è ancora
più evidente, quando veniamo a sapere che, mentre Gesù parlava loro di queste
cose, essi invece erano intenti a confrontarsi per decidere chi fosse tra loro
il più grande: “Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande.”.
Un episodio che ci rappresenta quello che molte volte succede anche a noi nel
nostro rapporto con Dio. La pazienza di Gesù verso i discepoli è la stessa
pazienza che Dio usa nei nostri confronti tutte le volte che ci contrapponiamo
più o meno consapevolmente alla sua volontà con durezza di cuore e grettezza di
spirito. Per nostra fortuna, Dio come Gesù non si arrende. Con pazienza Gesù
riprende il suo discorso, si siede davanti agli Apostoli e ricorda loro che nel
regno di Dio vale la legge dell’umiltà, e cioè che sul suo esempio il più
grande si deve fare “il servo di tutti”. E per non
essere frainteso mostra loro con un segno concreto in che modo è possibile
seguire la via dell’umiltà. Prende con grande tenerezza un bambino, lo mette in
mezzo davanti a tutti ed indica nel gesto dell’accoglienza di un bambino
l’esperienza che ci rende capaci di quella umiltà necessaria per accogliere in
noi Dio stesso e la sua opera di salvezza. Il bambino rappresenta gli umili, i
derelitti, i bisognosi di aiuto e tutti coloro che sono esposti ai pericoli. E’
utile ricordare che a quel tempo i bambini non erano al centro dell’attenzione
degli adulti, come lo sono oggi, coccolati, vezzeggiati e giustamente tutelati
e garantiti nei loro diritti da tutti i punti di vista, in nome della loro
fragilità costitutiva. Oltre le mutate condizioni socio-culturali, la forza dei
bambini consiste nel ridestare in noi adulti il sentimento della tenerezza,
sentimento che ci dispone quasi naturalmente alla più totale disponibilità e
alla massima generosità nei loro confronti. Se tutti fossimo animati da
tenerezza gli uni nei confronti degli altri, come lo siamo nei confronti dei
nostri bambini, il mondo sarebbe il paradiso terrestre. La tenerezza è la
premessa alla misericordia, sentimento proprio di Dio, per il quale “Dio infatti ha tanto
amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non
vada perduto, ma abbia la vita eterna.” (Gv 3,16). Nell’esempio portato da
Gesù, la catena dell’accoglienza infatti ha come termine l’accoglienza di Dio
stesso: “chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.
Attraverso l’insegnamento a farsi servo di tutti e l’esempio del bambino,
Gesù ci indica la strada per superare tutte le resistenze che nonostante la
fede ci oppongono a Dio. Non si tratta soltanto di una questione di umiltà, ma
di qualcosa di molto profondo e radicale, che ci rende capaci di accettare il
mistero della sofferenza, offerta per amore per la salvezza del mondo. Santa Teresa
del Bambin Gesù, insignita del titolo di Dottore della Chiesa, nell’esperienza dell’
“infanzia spirituale dell’anima”, ci
insegna cosa significa “accogliere me e
colui che mi ha mandato”. Buona Domenica!
don
Marco Belladelli.
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