Jacopo Bassano, Ultima cena, 1546, olio su tela, Galleria Borghese, Roma |
XX Domenica del Tempo Ordinario, “B”
La
mia carne è vero cibo, il mio sangue è vera bevanda.
Dal Vangelo secondo Giovanni (6, 51-58).
In quel tempo, Gesù disse
alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo
pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del
mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui
darci la sua carne da mangiare?».
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Parola del Signore.
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L’ultima
affermazione di Gesù: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se
uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne
per la vita del mondo” (6,51), già ascoltata domenica scorsa e
ripresa nel brano odierno, è la ragione per una nuova obiezione da parte dei
Giudei: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”.
Dopo
aver superato le altre difficoltà poste dai suoi interlocutori, quali la
necessità della fede per comprendere il vero significato del segno del pane, il
problema della sua origine divina e la necessità per ogni uomo di procurarsi un
nutrimento spirituale, oltre a quello materiale per il corpo, ora il dubbio
riguarda come sia possibile per Gesù
farsi cibo di vita eterna per l’umanità.
Questo
confronto tra Gesù e i Giudei ha avuto origine dal segno della moltiplicazione
dei pani e dei pesci. Coloro che erano presenti hanno “mangiato di quei pani”
e si sono “saziati”, e poi lo hanno inseguito fino a Cafarnao. Nel suo
discorso Gesù ribadisce per tutti, in modo inequivocabile, qual è il
significato, il valore e l’effetto di questo mangiare e bere: “Chi
mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui”.
Per mezzo del gesto del mangiare e del bere si realizza una unione tra Gesù ed
i discepoli, descritta come un “dimorare” l’uno nell’altro
reciprocamente: il discepolo è totalmente assimilato a Cristo e il Cristo vive
totalmente nella persona del discepolo, il “Christus
totus”.
Attraverso
le parole di Gesù e il segno del pane ci viene rivelata una realtà ed una
possibilità a noi del tutto sconosciuta ed inaccessibile, cioè il dono della
vita di comunione con Dio per mezzo di Cristo: “Come … io vivo per il Padre,
così anche colui che mangia di me vivrà per me”.
In
Giovanni, nonostante i cinque capitoli dedicati all’ultima cena (capp. 13-17),
non c’è il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, come nei tre sinottici e
in Paolo stesso (cfr 1 Cor 11,23ss), dove Gesù indica chiaramente come ciò sia
possibile attraverso il gesto sacramentale del pane spezzato e del calice condiviso
con tutti i convitati, in cui si perpetua la viva memoria del sacrificio della
sua vita e segno della nuova ed eterna alleanza, che sostituisce quella antica.
Senza anticipare ciò che sarebbe successo durante l’ultima cena, Gesù fa
apertamente riferimento al gesto del mangiare la sua carne e bere il suo sangue
come momento di comunione di vita con Dio e di partecipazione alla salvezza
realizzata con il suo sacrificio.
Siamo
al punto d’arrivo di tutto il discorso. E’ importante riflettere sia sulla
grandezza straordinaria del sacramento dell’Eucaristia, sia sulla realtà di
comunione che Gesù ci ha rivelato. La sostanza e l’assoluta novità
dell’esperienza cristiana è riassunta in questo “dimorare in me e io in lui”.
Il nostro credere non consiste quindi nel far nostra una particolare visione
del mondo, né tanto meno nell’assoggettarsi ad una specialissima dottrina
morale, oppure inseguire chissà quali illusorie promesse. Si tratta piuttosto
di acconsentire a questa unione, che si realizza soprattutto attraverso il
sacramento dell’Eucaristia, per mezzo del quale Gesù si unisce a noi e rende la
nostra vita “eterna”, non soltanto perché durevole, per sempre, ma
soprattutto perché partecipe della vita stessa di Dio. Buona Domenica!
don
Marco Belladelli.
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