venerdì 26 aprile 2024

Il Vangelo della salute del 28/04/2024

Lorenzo Lotto, Gesù, la vite e i tralci, 1524, Trescore (BG). 

V Domenica di Pasqua “B”

Chi rimane in me ed io in lui fa molto frutto.

Dal Vangelo secondo Giovanni  (15, 1-8)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.

Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Parola del Signore. 

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Oggi Gesù usa parole metaforiche molto significative per rappresentare il rapporto esistente tra lui ed i discepoli, quello della vite e dei tralci. Siamo nel contesto dell’ultima cena, uno dei momenti più solenni di tutta la vita di Gesù, ed egli si paragona alla vite mentre i discepoli sono i tralci. Come la fecondità del tralcio dipende dal suo rimanere attaccato alla vite, la stessa cosa vale anche per la vita del discepolo: “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”. La fecondità della vita cristiana dipende quindi dal rapporto che ci unisce a Gesù. In alternativa c’è il giudizio di condanna e di perdizione, rappresentato con l’immagine del tralcio secco, gettato nel fuoco e bruciato.

All’inizio e alla fine del nostro brano di oggi si fa riferimento alla persona del Padre, paragonato al vignaiolo, cioè all’agricoltore, che si prende cura della vigna. E’ Lui che pota il tralcio perché porti più frutto e sia ancor più fecondo, mentre quello infruttuoso viene tagliato e gettato via. La gloria e il vanto del Padre consistono nell’abbondanza dei frutti prodotti dalla vita dei discepoli.

Viene spontaneo chiederci: siamo un tralcio che porta frutto o invece siamo un tralcio secco? E soprattutto: quanto è vitale il nostro rapporto con Cristo?

Vengono in mente le ormai famose parole con cui l’allora cardinal Ratzinger, prima di essere eletto Papa, paragonava la vita dei cristiani di oggi ad una barca sballottata dalle turbolenze del pensiero moderno, dominato dalla dittatura del relativismo, dove unico criterio di giudizio della realtà è il proprio “io”. Per verificare la supponenza del nostro narcisismo non c’è bisogno di ricorre a sofisticate analisi psico- socio- filosofiche, è sufficiente una minima capacità introspettiva per prendere coscienza di quanto il nostro spirito sia intasato da un individualismo soffocante.

Molto spesso nel dialogo spirituale della confessione o della direzione spirituale capita di incontrare persone che sono sinceramente alla ricerca di Dio, ma incapaci di raggiungerlo, per quel circolo vizioso che li porta continuamente, nel bene e nel male, a ritenere se stessi la misura del mondo. La realtà della Pasqua, cioè la risurrezione di Cristo con la sua prospettiva del “Rimanete in me e io in voi, è la possibilità concreta per trascendere il nostro “io” e portare frutto secondo il comandamento dell’ “amore più grande” (cfr. Gv 15,13). Accogliendo in noi la grazia di Dio attraverso la preghiera personale, l’ascolto della Parola, la vita sacramentale e comunione fraterna diventiamo capaci di quelle opere che indicano la presenza del Regno di Dio in mezzo a noi: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra …”.  E se quando ci raccogliamo in preghiera il nostro animo è segnato dalla sofferenza o provato dalla conflittualità della vita, ricordiamoci di iniziare sempre e comunque il nostro incontro con Dio con la lode della sua grandezza, la benedizione per le opere meravigliose da lui compiute, il ringraziamento per tutti i doni ricevuti, un atteggiamento che ci dispone ad entrare immediatamente in sintonia con Gesù. Allora, la promessa del “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto” diventerà realtà.

Buona Domenica!

 DON MARCO BELLADELLI.



 

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