IV
Domenica di Quaresima “B”
Dio ha
mandato il Figlio perché il mondo si salvi per mezzo di lui.
Dal Vangelo secondo Giovanni (3,14-21).
In quel tempo, Gesù disse a
Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia
innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita
eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché
chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti,
non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo
sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non
crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito
Figlio di Dio.
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La quarta Domenica di
Quaresima è detta anche “Domenica laetare”
(leggi letare), cioè della letizia, dalla
prima parola latina dell’antifona d’ingresso: “Rallegrati,
Gerusalemme, (Laetáre, Jerúsalem,)
e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella
tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione.”
(Is 66,10-11).
La ragione dell’esultanza
è data dal fatto che siamo ormai giunti a metà del nostro cammino penitenziale,
la Pasqua è più vicina e con essa anche la certezza della salvezza di tutta
l’umanità. Come segno dell’attenuarsi del rigore quaresimale, dove è possibile,
il celebrante indossa paramenti rosacei, un colore più tenue rispetto al mortificante
violaceo quaresimale, per indicare la prossimità dell’irruzione della luce del
risorto.
Per noi oggi “l’abbondanza della nostra consolazione”
non dipende da una particolare vittoria sul nemico di turno, ma dall’essere al
centro dell’amore misericordioso di Dio Padre. Ce ne parla san Paolo nella
seconda lettura, che partendo dalla comune condizione di morte di pagani e
giudei a causa dei loro peccati, evoca l’atto redentivo di Dio, che ci ha fatti
rinascere in Cristo: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati,
da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con
Cristo: per grazia infatti siete stati salvati.”
(Ef 2,4). Nella ricchezza della divina Misericordia abbiamo il perdono dei
peccati, la salvezza dell’anima e del corpo e soprattutto il dono della vita
divina.
San Giovanni nel
vangelo riprende il tema in modo piuttosto sorprendente: “Dio
infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché
chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”.
Un’affermazione che fa parte del dialogo notturno avvenuto a Gerusalemme tra
Gesù e Nicodemo (Gv 3,1-21). Vista la difficoltà del suo interlocutore a comprendere
la possibilità di una nuova nascita dall’acqua e dallo Spirito Santo, Gesù afferma
che la ragione ultima per credere è l’amore di Dio, che ha tanto amato il mondo
fino a sacrificare il proprio Figlio, perché chi crede in lui abbia la vita
eterna. Abitualmente Gesù parla del mondo come di una realtà contrapposta a Dio
e in un atteggiamento di odio verso tutto ciò che lo rappresenta: “Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati,
perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo”.
(Vedi anche Gv 15,18-19; 1Gv 3,13). Che cosa significa allora questo amore
infinito di Dio per il mondo, , se non l’onnipotenza con cui Dio, attraverso il
sacrificio del Figlio sulla croce, riesce a volgere a sé l’orientamento del
mondo, nel rispetto della libertà umana, perché chiunque crede non muoia, ma
abbia la vita eterna. Un rapporto assolutamente inconcepibile dallo spirito
mondano, quello di Dio con il mondo, il quale pur mantenendo tutta la propria
libertà di autodeterminazione fino alla propria perdizione, non riesce a
sottrarsi alla “ineffabile carità di Dio
in Cristo superiore a ogni conoscenza” (Ef3,19).
“Nella croce di Cristo, nel suo totale abbandono e nella sua discesa
agli inferi, Dio si rivela quello che è sempre stato, cioè amore eterno. In quanto
uno e trino, Dio è talmente amore eterno, che all’interno di questa vita anche
la morte e la perdizione infernale della creatura, se accettate con amore,
possono essere trasformate in un’espressione d’amore” (H. U. vov Bathasar, Perché sono ancora cristiano, Queriniana
– BS 1971/2005).
Il percorso spirituale
della Quaresima ci costringe ancora una volta a confrontarci con l’evento
fondamentale della nostra salvezza, il mistero della passione, morte e
risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, per accoglierlo come il più grande
atto di amore di cui siamo stati oggetto. Prima ancora di essere dottrina, questo
atto di infinita misericordia da parte di Dio è grazia che salva e rigenera la
vita dell’uomo e di tutto l’universo.
Non posso
assolutamente dimenticare le parole di fra
Elia degli Apostoli di Dio che un Venerdì santo, al culmine della sua
sofferenza, quando rivive annualmente il mistero della passione morte e
risurrezione di Gesù sul suo corpo, disse a tutti coloro che erano raccolti
attorno al suo letto di dolore: “Voi non
potete neppure immaginare quanto Dio ci voglia bene, quanto grande sia il suo
Amore”. E’ con la forza dell’amore che Dio ci riconquista a sé, a prezzo
della vita del suo Figlio Unigenito. Ecco che cosa significa confrontarsi con questo
grande mistero nel quale si manifesta tutta la misericordia di Dio.
Papa Benedetto XVI con
la sua prima enciclica Deus caritas est, intendeva “suscitare nel mondo un rinnovato dinamismo di impegno
nella risposta umana all'amore divino”. L’esistenza cristiana
si riassume essenzialmente nell’aver creduto all’amore di Dio, il cristianesimo
è l’amore di Gesù che irrompe nella nostra vita non con la prepotenza di chi si
impone in modo arrogante, ma con l’umile tenacia di chi non si dà per vinto di
fronte a qualsivoglia ostacolo o rifiuto, perché superiamo le nostre paure,
diffidenze, resistenze e via dicendo. Insieme con l’annuncio sorprendente della
grandezza dell’amore di Dio, c’è anche l’annuncio della salvezza del mondo,
cioè che niente andrà perduto. Il traguardo della nostra penitenza, e non
soltanto di quella quaresimale, è la nostra resa incondizionata all’AMORE di
Dio. Buona
Domenica!
don
Marco Belladelli.
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