Giovanni Paolo Pannini, Purificazione del tempio, 1750. |
III
Domenica di Quaresima “B”
Distruggete
questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere.
Dal Vangelo secondo Giovanni (2,13-25).
Si avvicinava la Pasqua dei
Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi,
pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di
cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a
terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di
colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre
mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per
la tua casa mi divorerà».
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo. Parola del Signore.
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Ritroviamo l’evangelista Giovanni che, fatta
qualche eccezione, ci farà compagnia fino a Pentecoste. Oggi ci parla di un
Gesù collerico che grida, rovescia banchi e con una frusta caccia dal tempio di
Gerusalemme i vari venditori di animali necessari per i sacrifici, i cambiavalute
e tutto quel commercio introdotto dai sacerdoti, che aveva trasformato il luogo
sacro in “un mercato”. Secondo i vangeli quello di Gesù è un
gesto ripetuto più volte, ma questa reiterazione non dobbiamo scambiarla per una
intenzione rivoluzionaria o sovversiva fine a se stesse. La reazione dei Giudei
del resto non va nel senso della tutela dell’ordine pubblico con l’arrivo di
guardie o soldati per riportare la calma, ma alla ricerca del senso per quanto
avvenuto, come se il gesto compiuto da Gesù non fosse poi così fuori luogo. Infatti
lo interrogano: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”.
Più che sul danno arrecato ci si concentra sul perché Gesù abbia compiuto un
gesto simile? Come lo giustifica? Quel suo comportamento è un segno della sua
identità e della sua missione. Essi capiscono le sue intenzioni, ma quando
afferma: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo
farò risorgere”, lo irridono e si rifiutano di riconoscerlo
come Messia, equivocando tra il segno del tempio di Gerusalemme e la realtà della
distruzione del suo corpo nel momento della morte in croce e della successiva
risurrezione.
Per gli Ebrei il tempio era il luogo in cui Dio
aveva stabilito la sua dimora sulla terra per ascoltare le preghiere di ogni
uomo, a qualunque popolo appartenesse. Era l’unico luogo in cui essi potevano
compiere i sacrifici a Dio. Insomma, era il Santuario per eccellenza, il luogo
più sacro della terra, orgoglio del popolo.
Soltanto il Messia avrebbe costruito un nuovo
santuario, di straordinaria magnificenza e destinato a durare per sempre. Quando
Giovanni dice che “egli parlava del tempio del suo corpo” comprendiamo
ciò che Gesù dice ai Giudei, e cioè che quando essi avrebbero ucciso quel
corpo, egli l’avrebbe restituito alla vita, dimostrando cosi il proprio potere
e autorità. Nel nuovo ordine delle cose, il corpo di Gesù glorificato nella
risurrezione sostituirà il tempio di pietre e il suo sacrifico sulla croce è
l’unico vero sacrifico gradito a Dio Padre, per mezzo del quale ogni uomo viene
giustificato e salvato. Gesù annuncia il superamento del vecchio ordine e
inaugura la novità del nuovo culto per mezzo di lui. Come dice san Paolo nella
seconda lettura di oggi: “noi invece annunciamo
Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza stoltezza per i pagani; ma
per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e
sapienza di Dio”. Il Cristo crocifisso è la potenza e
sapienza con cui Dio salva il mondo. Come per il popolo ebraico la legge dei
dieci comandamenti (vedi la 1° lettura) era il segno concreto della libertà
acquistata unicamente per la potenza e per l’amore di Dio, così anche per il
nuovo popolo di Dio, non c’è altra possibilità di libertà e di salvezza se non
nella croce di Gesù. Essere cristiani significa quindi credere a questo
mistero, del quale siamo partecipi soprattutto nel momento della celebrazione
eucaristica. La penitenza quaresimale ci aiuti a capire che non c’è altra via
di salvezza che quella di accogliere nella nostra vita l’evento della passione,
morte e risurrezione come il dono più grande che Dio ci potesse offrire: “E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi
di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche
alla sua gloria.” (Rm 8,17). Buona Domenica!
don
Marco Belladelli.
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