venerdì 22 settembre 2023

Il Vangelo della salute

Francesco Ubertini detto il Bacchiacca, Parabola degli operai nella vigna, prima metà del XVI sec. 

XXV Domenica del Tempo Ordinario, “A”.

Sei invidioso perché io sono buono?

DAL VANGELO SECONDO MATTEO  (20, 1-16).
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.

Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi». Parola del Signore.

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Ancora una parabola sul regno dei cieli, con la quale Gesù continua la polemica contro i farisei e tutti coloro che oggi, come ieri, rifiutano la sua persona e il suo Vangelo.  

Il racconto è incluso dentro la sentenza: “gli ultimi saranno primi e i primi ultimi”, parole con cui Gesù conclude la sua risposta alla domanda di Pietro circa la ricompensa riservata a coloro che hanno lasciato tutto per seguirlo. Quindi segue la parabola degli operai.

Il centro di tutto il racconto è il comportamento del padrone, che va in cerca di operai non soltanto di prima mattina, ma anche nel pomeriggio e per un’ora sola di lavoro. Quest’uomo è ancora più sorprendente quando al momento della paga dà a chi ha lavorato un’ora soltanto lo stesso salario chi ha lavorato tutto il giorno. Invece che cominciare a dare la paga dagli ultimi, sarebbe bastato rispettare l’ordine di chiamata al lavoro e probabilmente nessuno si sarebbe accorto di nulla. Particolari che ci fanno capire quanto Gesù volesse mettere in evidenza il comportamento del tutto assurdo del padrone.

Di fronte alle prevedibili rimostranze degli operai delle prime ore, il padrone giustifica il proprio operato come espressione della sua bontà: “Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Alla fine del racconto ritroviamo il detto già citato: “gli ultimi saranno primi e i primi ultimi”.

Nel capitolo precedente Gesù è già entrato in forte polemica con i farisei su altri temi come il divorzio e le ricchezze. Davanti alla radicalità del comandamento di Dio, si tendeva ad ammorbidirlo con interpretazioni indulgenti, oppure suggerendo comportamenti che assecondavano le debolezze umane. Essi poi si sentivano privilegiati davanti a Dio, rispetto a tutti gli altri uomini, perché membri del popolo eletto.

Nella vigna del Signore, immagine del regno dei cieli, tutti possono entrare in qualsiasi momento e ciò che conta non sono i diritti acquisiti per nascita o per razza, ma lavorare nella vigna del Signore. Alla fine la ricompensa sarà giusta e generosa, perché Dio è buono e “non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga.” (At 10,34-35).

Nelle parole: “li hai trattati come noi” si intravede la sdegnosa accusa dei farisei a Gesù che non riconosce loro né diritti e né privilegi per la speciale elezione del popolo d’Israele, rispetto ai pagani e ai peccatori, perché nel regno dei cieli conta accogliere la chiamata di Dio ed operare di conseguenza.

Con questa parabola si acuisce la polemica tra la Sinagoga, cioè Israele, il popolo dell’antica alleanza, e la Chiesa, il nuovo popolo di Dio, “uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione” (Ap 5,9), un conflitto non del tutto superato e che spesso e volentieri, per ragioni più politiche che religiose, torna di attualità. D’altra parte, il fariseismo è una patologia che ha contagiato anche la Chiesa: “Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!”, diceva il Cardinal Ratzinger nella famosa Via Crucis al Colosseo del 2005, con cui stigmatizzava i comportamenti gravemente immorali di molti ecclesiastici, per i quali nessuno può chiamarsi fuori.

Ma più grave è il fatto che oggi lo scontro si è spostato addirittura dentro la Chiesa. Dietro le questioni di carattere dottrinale e pastorale si intravede una vera e propria lotta di potere. Se fosse così vuol dire che siamo arrivati all’annunciata apostasia:

L’opera del diavolo si insinuerà anche nella Chiesa in una maniera tale che si vedranno cardinali opporsi ad altri cardinali, vescovi contro vescovi. I sacerdoti che mi venerano saranno disprezzati e ostacolati dai loro confratelli … chiese ed altari saccheggiati; la Chiesa sarà piena di coloro che accettano compromessi e il Demonio spingerà molti sacerdoti e anime consacrate a lasciare il servizio del Signore. Il demonio sarà implacabile specialmente contro le anime consacrate a Dio.” (Dal messaggio della terza e ultima apparizione della Madonna a Sr. Agnese Sasagawa, 13 ottobre 1973, Akita – Giappone, ufficialmente riconosciute nel 1988).

Quando si arriva al conflitto aperto vuol dire che si è andati ben oltre ogni limite e soprattutto che non si è più in sintonia con la onnipotente Divina Misericordia.  

Buona Domenica!

don Marco Belladelli.

 

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